tratto dal nuovo “ABC per l’APC, 2.0”

Nei miei seminari propongo quattro metafore relative alla gestione del pensiero, della motivazione, delle emozioni e della socializzazione.

Il Puzzle è un‘immagine del funzionamento (organizzare e padroneggiare la complessità).

Lo si sa: rispondere ad una domanda aperta, organizzare un pensiero, spiegare qualcosa, per un ragazzo APC può risultare difficile.

Sono molte le descrizioni tipo: “Sa molte cose, ma poi quando si tratta di spiegare od eseguire sembra che non sappia più nulla”.

Ebbene, eseguire un puzzle di 1000 pezzi esige competenze organizzative maggiori e differenti, rispetto l’esecuzione di un puzzle di 10 pezzi.

Ad un ragazzo APC, può risultare difficile spiegare una conoscenza, rispondere ad una domanda. Perché lui, invece di organizzare 10 tesserine, ne ha molte di più.
Addirittura magari gestisce contemporaneamente due puzzle mescolati fra loro (come mi è capitato di vedere) …

Se considerate poi il commento di una ragazza APC, a questa mia spiegazione del suo funzionamento cognitivo: “si ho capito, quindi si possono commettere molti più errori”, introduciamo il tema dell’ansia.

Considerando la gestione della quantità delle informazioni, la selezione, che deve attuare un ragazzo APC, possiamo attenderci ad una lentezza nella elaborazione di un nuovo pensiero?
O la pigrizia? Per realizzare un puzzle di 100 pezzi (anziché 10) ci vuole una bella motivazione. “E chi me lo fa fare?”

Prima di dire che il ragazzo è pigro, forse vale la pena capire se è sufficientemente motivato!Sappiamo che lo sviluppo operatorio si fa quando il ragazzo si stacca dal dato percettivo, per ragionare sulle proprie azioni. E cosa succede allora quando il dato percettivo è moltiplicato? Ci si può ben aspettare un momento di dubbio. Lo sviluppo intellettuale proviene dalla selezione e dall’inibizione (“dans la construction de l’objet, le nombre, la catégorisation et le raisonnement, le développement cognitif ne doit pas être conçu seulement comme l’acquisition progressive de structures de complèxité croissante, mais aussi comme relevant de la capacité d’ihibition de réactions qui entravent l’expression de connaissances déjà présentes, Houdé, 2000, p. 131).

Il castoro è una metafora della motivazione, dell’impegno, tra gesto ripetuto e creatività.
I castori sono dei roditori. Costruiscono delle dighe, per creare un loro habitat. Questo habitat viene poi ad essere visitato ed abitato da molti altri animali: anatre, folaghe, lontre, cervi, alci, pesci, volpi, lupi, uccelli di varie fogge, eccetera. Profittano del suo lavoro.

Lui, il castoro, poi se ne va ramingo per i fatti suoi. Deve stare attento ai suoi predatori.

Il castoro è un creatore di ecosistemi (in poche parole).

Ecco: date al ragazzo APC l’opportunità di costruire le sue dighe.

Se vogliamo poi inoltrarci un poco più nella metafora, vediamo che il castoro ha vita dura in un ambiente troppo antropizzato. L’uomo lo allontana e distrugge le sue dighe, perché il castoro, con esse, inonda terreni ad altro scopo destinati. Deve quindi regolamentarne l’esistenza.

Ciò significa che troppo disciplinamento lo rovina.

La sindrome dell’imbuto.

L’immagine dell’imbuto è una metafora della gestione delle emozioni.

L’imbuto permette la raccolta di un liquido. Al liquido, dà la direzione per condurlo a sfociare in un contenitore. Il contenitore è l’immagine di un prodotto, che è sociale e relazionale.

L’espressione del potenziale (l’out put) ha sempre una veste sociale!

Se la portata in entrata è “troppa”, l’imbuto tracima. Questa è l’esperienza intellettuale, strumentale, sociale ed emotiva degli APC!!!

Riuscire a contenere il “troppo” senza debordare ( = crisi teatrali di frustrazione, rinuncia nelle cose difficili, difficoltà gestionarie e di programmazione, frammentazione dei compiti, eccetera) corrisponde alla gestione oculata del “troppo pieno” dei bacini d’acqua.

Una buona competenza esecutiva è buona cosa; la difficoltà gestionaria è una delle ragioni che portano l’APC alla rinuncia, alla pigrizia, al sottorendimento e così sia.

(Fra altre cose, dobbiamo insegnare a gestire gli imbuti che tracimano. Perché con gli APC, gli imbuti tracimano, regolarmente. Non possiamo regolare il flusso delle piogge).

Socializza il portiere?
Un portiere di calcio socializza con la sua squadra? Qual’è la relazione con i suoi compagni di squadra? Con gli avversari e con il pubblico?

È vero, il portiere fa tutto diverso dagli altri.

Ha un ruolo diverso, con delle competenze specifiche (unico a potere toccare la palla con le mani all’interno dell’area di rigore). Fa un allenamento specifico, diverso dagli altri, ma è parte integrante della squadra. C’è il rapporto di fiducia della squadra, condivide lo spogliatoio, le sconfitte e le vittorie, e i suoi compagni contano su di lui perché gli affidano una parte del campo da gioco. La squadra (quindi portiere compreso) ha un obiettivo ed un avversario comuni. Per il portiere però, la realizzazione dell’obiettivo – vincere – piuttosto è quello di non subire gol, invece che di farli, anche se gli sarebbe permesso.

Quando fa una bella parata, e vede i suoi compagni che con gli occhi gli dicono “Grande” e rimette in gioco la palla, sente di essere parte integrante di un gruppo, indifferentemente dal suo abbigliamento (la sua maglia è differente!) o dalla sua posizione.

Del resto, dalla sua posizione, ha una visione del campo differente da quella dei suoi compagni.

La realtà della socializzazione non è quella di fare tutti la medesima cosa, Quanto avere un obiettivo comune.

Il portiere socializza, assolutamente.
Così come partecipa alla festa dopo la vittoria, ai canti ed ai bagordi.

La realtà della socializzazione non è quella di fare tutti la medesima cosa, quanto avere un obiettivo comune (Galli 2014).

Giovanni Galli, marzo 2019