Il soggetto tra globalizzazione e individuazione
Amo interrogare i paesaggi dell’epistemologia e dell’antropologia. L’antropologia e l’epistemologia si articolano negli spazi dell’apprendimento (dell’acculturazione) e dello sviluppo, che sia individuale, collettivo o gruppale. Oggi, nella penombra del pensiero unico, questi sono due spazi in cui si giocano l’adesione, la rassegnazione, il dissenso o la resistenza alle tendenze che vogliono fare dei cittadini degli individui globalizzati.
Premessa
In un mio breve appunto di lavoro, intitolato “Dall’Agora allo zapping. Una immagine relativa all’epistemologia della complessità” 1, avevo tentato di proporre una immagine metaforica del concetto di complessità
… ma un tentativo che poteva e voleva pure suggerire lo stesso processo di costruzione della conoscenza, così come poteva essere osservato in uno spaccato, in un frammento temporale; una condensazione dunque, che mettesse in gioco vari momenti del processo di costruzione, e che illustrasse quindi come il processo di costruzione delle conoscenze non fosse lineare e omogeneo nelle sue varie fasi.
Questo concetto di complessità che é un concetto forse ancora difficile da discernere é un paradigma centrale della moderna epistemologia, tanto che si parla appunto di epistemologia della complessità.
Come psicologo e come psicologo dell’età evolutiva di formazione costruttivista non potevo non cogliere la seduzione e l’apertura che tale proposta mette in gioco.
In effetti essa implica il soggetto quale organizzatore, quale attore che sceglie, propone, sviluppa, costruisce modelli e rappresentazioni molteplici della realtà.
L’epistemologia della complessità si pone allora tanto come descrizione dell’oggetto osservato quanto descrizione del soggetto osservatore. In quest’ordine di cose considero l’epistemologia genetica stessa come una epistemologia della complessità. La parentela tra le due é in verità stretta 2.
Ma adesso rivediamo quella metafora.
zapping: una metafora
Immaginiamoci un momento di fare un po’ di zapping. Uno zapping continuo, senza pause. Saltiamo reiteratamente da un canale televisivo all’altro (se possibile senza troppo riflettere a quanto stiamo facendo).
Oppure immaginiamoci di assistere alla rappresentazione filmica di questo zapping continuo.
Ciò significa: immaginiamoci di visionare il documentario che mostra una serata zapping.
Dunque, seduti confortevolmente … immaginiamoci questa serata. Il risultato? Una serie di differenti e successivi spezzoni, scartati, ripresi, ripetuti, di film comici, tragedie, commedie, pubblicità, informazioni, documentari, teatri, concerti, dibattiti … una progressione di frammenti e interruzioni, di cambio di livello e canale di discorso … 3
Cosa otterremo alla fine? La realizzazione di un corto o un lungometraggio che, dunque, è una rappresentazione di una serie di rappresentazioni. Riferendoci a Gregory Bateson potremmo chiamarla pure metarappresentazione o rappresentazione di secondo livello 4.
Una rappresentazione che é rispettivamente:
1) un documentario etnografico;
2) una testimonianza della costruzione di una visione del mondo;
3) una testimonianza dello stare con il mondo del soggetto che zappa;
4) una immagine (rappresentazione) del mondo.
analogie (isomorfismi) – epistemologie
In verità questa metafora è una rappresentazione scenica del concetto di complessità, concepito metaforicamente sotto una inquadratura filmica.
Ma questa metafora è anche e soprattutto una costruzione complessa che illustra ciò che avviene nel soggetto quando affronta successivamente i vari campi della cognizione: dalle conoscenze logiche alle causalità fisiche, da quelle spaziali a quelle temporali, dalle conservazioni ai concetti di misura, ecc … 5.
Una sceneggiatura del paradigma della complessità in epistemologia dunque … che contemporaneamente vuole suggerire una visione cognitiva ed evolutiva, vale a dire relativa al soggetto che deve costruire la propria conoscenza (e ciò mi pare del tutto naturale considerando (come ricordato) che l’epistemologia della complessità implica sempre la descrizione dell’osservatorio o dell’osservatore).
Una sceneggiatura con una doppia valenza dunque: una documentaristica e l’altra “biografica”.
Documentaristica perché proponendo d’immaginare un filmato di una “seduta zapping”, con il succedersi di una serie di spezzoni filmici – la documentazione della realtà frammentata così come la può proporre la televisione – propongo di registrare le immagini prodotte come può farlo un documentario;
una biografia cognitiva perché suggerisco di seguire il soggetto nel suo processo di costruzione di senso.
Una doppia visualizzazione quindi che vuole e può contemporaneamente mettere in gioco la conoscenza della realtà – vale a dire l’oggetto della conoscenza – e il soggetto, soggetto epistemico o tout court 6.
Ma quali sono i primi suggerimenti che tale sceneggiatura può indurre? Quali i primi fuochi di riflessione?
1. … in questa maniera, perlomeno a un livello virtuale, viviamo per il tempo di una notte o di una rappresentazione, l’esperienza di una totale apparente perdita d’intenzionalità comunicativa.
La prima impressione é che il soggetto non sia mosso da una intenzionalità unificatrice e che la raccolta degli spezzoni filmici in un documentario non abbia alcun senso. Questo suggerisce che la parola possa venire disarticolata, siccome non é più veicolo di creazione di senso comune. Allora, se esiste solo questa visione “televisiva” passiva senza più creazione di senso, quale la sua intenzionalità?
2. Se l’intenzionalità comunicativa cade, se il senso perde sè stesso, oltre alla sua immediatezza operatoria (far funzionare la televisione e far funzionare il soggetto che fa funzionare la televisione) ciò suggerisce che le relazioni tra soggetti andranno a rarefarsi (oltre l’aspetto esecutivo che fa funzionare i meccanismi …). Ma come é possibile allora impedire una dinamica che arrischia di comportare una disarticolazione della parola, che arrischia di provocare poi una desertificazione o rarefazione delle relazioni sociali?
3. E’ solo grazie allo sforzo dei soggetti (il soggetto osservatore della seduta zapping e il soggetto attore della seduta zapping) – ambedue tesi a scoprire (costruire) e ad inventare delle immagini (farne una lettura) che possano fare un ordine fra tutte queste sovrapposizioni – che si può ricostruire un senso, costruire dei significati a partire da questo bombardamento televisivo. Il soggetto deve dunque essere aiutato e favorito a ri-costruire un suo senso critico, una sua particolare lettura e interpretazione della seduta zapping e della realtà che rappresenta.
Ebbene rivediamo adesso quali sono alcuni fra gli elementi messi in gioco da quella sceneggiatura.
il soggetto: tra epistemologia ed epistemofilia
uno: il soggetto epistemico
Quale lo statuto, la posizione e il ruolo del soggetto suggeriti dall’epistemologia genetica (modello piagetiano di sviluppo delle conoscenze)?
Ma sicuramente quello di un soggetto che procede per gradi diversi di approssimazione e di interazione con la realtà. A questo proposito il modello piagetiano si applica perfettamente a tale lettura.
Scopriamo quindi un soggetto attivo, alla ricerca di una costruzione progressiva di senso.
Questo almeno considerando la questione sotto una idealità indeterministica. Vale a dire considerando un soggetto solo sotto il suo solo profilo epistemico; come potrebbe esserlo un soggetto ideale, inossidabile alle determinazioni sociofamiliari, alla cultura di origine o di arrivo nella scuola, alle variazioni dell’ambiente. Incontaminato e incontaminabile sul piano della espressione e del desiderio … Un soggetto sano, forte, capace di affrontare le progressive conoscenze che gli vengono presentate, sempre con la stessa inflessibile determinazione e la stessa motivazione, un soggetto invariante tutto sommato, un soggetto che non cambia (e in verità nei modelli epistemici non solo il soggetto è considerato nella sua non variabilità sociale, culturale, ecc … pure l’ambiente è invariante!)
Tutto ciò, come ricordato, in una idealità epistemica che ho appena definito “indeterministica”, che però non corrisponde alla realtà di un soggetto realizzato.
Il soggetto epistemico corre verso un fine teleologico. Corre cioè verso un fine predeterminato comune e inesorabile (e in questo, in verità, non so nemmeno se può essere veramente considerato un soggetto); per avere un soggetto reale dobbiamo osservare o assistere al fine che il soggetto si da. Dobbiamo scoprire le sua intenzionalità e le sue scelte, accompagnate dallo sviluppo e dalla successione delle sue riuscite o meno, dallo sviluppo della sua coscienza, ecc …
Basta dire che il soggetto epistemico non esiste al di fuori della sua descrizione, che è un soggetto che conosce, che è un soggetto che combacia per certi aspetti con il soggetto reale, ma solo per certi aspetti, ma che non è il soggetto reale?
due: ancora la sceneggiatura
In primo luogo l’immagine dello zapping é una metafora del ruolo del soggetto nel processo di auto-costruzione delle conoscenze.
Perché quello scenario é importante? Ma perché senza la determinazione del soggetto che sceglie, modifica, decide di cambiare programma, che si sofferma piuttosto su uno che l’altro, ci troveremmo unicamente di fronte alle immagine sfornate dal tubo catodico.
Bisogna occuparci di una visione integrata del processo cognitivo, (H. von Foerster parla di cibernetica del secondo ordine che descrive il funzionamento del soggetto). Dove il soggetto é complesso, eterogeneo, diviso e integrato; un soggetto capace di oggettivare processi di pensiero ma anche di de-naturalizzare il linguaggio, un soggetto che va costituendo se stesso nei processi sociali di significazione condivisa. E’ il soggetto che sta – deve stare … dovrebbe stare! – all’incrocio della produzione di significati …
uno più due uguale a tre: intenzionalità
Quale allora lo statuto, la posizione e il ruolo del soggetto suggerito dallo scenario descritto? In particolare quale il nodo sul quale dovremo soffermarci in seguito: il soggetto corre sul filo dell’epistemologia o dell’epistemofilia 7?
Alla epistemologia preferisco, in questo caso, l’idea e il progetto di una epistemofilia. Epistemofilia come significante l’arrivo del soggetto reale, il soggetto concreto, determinato socialmente, culturalmente oltre che biologicamente, quale costruttore della realtà e di se stesso.
Un soggetto che sceglie o che può scegliere …
E’ questo il salto che propongo, parlando di “soggetto costruttore di conoscenza”, specialmente se dal campo epistemologico ci spostiamo in quello della pedagogia, o della psicologia …
Ebbene quale soggetto vogliamo?
In verità la questione a sapere: “qual’é il ruolo del soggetto nel processo di costruzione delle conoscenze” significa dire quale posto vogliamo dare al soggetto nella costruzione delle conoscenze, quale posto gli lasciamo, quale posto gli accordiamo, cosa gli imponiamo e cosa gli permettiamo, il suo residuo diritto d’auto-determinazione. E’ questo un problema della pedagogia scolastica (ma pure della “pedagogia di strada”…).
Quale allora il cammino del soggetto nei processi di costruzione delle conoscenze?
Abbiamo visto precedentemente che due sono le valenze sorvolate della seduta zapping: quella documentaristica e quella biografica.
Ebbene queste due valenze non si pongono da sole, non si riproducono come l’Araba Fenice, senza un progetto che le crei, le sviluppi o che interagisca con esse … Queste valenze si pongono ed esistono solo in virtù di un progetto, quindi di una scelta che predilige avventurarsi su una piuttosto che l’altra. Esistono quindi in virtù di una intenzionalità (oppure in suo difetto).
Al di là dell’epistemologia, ma con l’epistemologia, questa del soggetto che interviene come organizzatore di senso mi pare essere un nodo centrale dell’educazione odierna, oltre che della democrazia reale, e ciò contro ogni progetto di competizione, di meccanicizzazione, di automatizzazione, di globalizzazione e di razionalizzazione … delle relazioni umane.
Il soggetto epistemico e le tentazioni della globalizzazione
Tre sono gli elementi che desidero mettere adesso in relazione.
1) la definizione, la comprensione e l’impiego del concetto di soggetto epistemico così come presente nella cultura scolastica;
2) le tentazioni di globalizzazione o di omogeneità e la differenziazione dei programmi;
3) la mescolanza, il matrimonio tra quotidianità pedagogico procedurale e l’epistemologia.
primo
Il soggetto epistemico si giustifica teoricamente e metodologicamente nel tentativo di descrivere l’evoluzione della cognizione. Esso ha certamente pure un suo posto nel panorama della psicologia dell’età evolutiva. Ma si sa pure che questa correttezza metodologico-teorica si applica appunto solo al campo epistemologico. Di fatti accanto al soggetto epistemico possiamo concepirne degli altri: da quello artistico a quello sportivo, da quello creativo a quello meccanico … sino all’allievo 8.
In questo senso il concetto di soggetto epistemico corrisponde a una procedura locale o localizzabile in un preciso contesto di tradizione scientifica (che é la procedura di ricerca scientifico-epistemologico) oltre che di una metodologia scientifica.
Procedura che determina e definisce le relazioni tra soggetti (in questo caso come una relazione invariante tra soggetti invarianti tesi tutti insieme come in una comunità scientifica alla co-costruzione enciclopedica … 9). Il soggetto epistemico é dunque un soggetto locale come tutti i soggetti: un soggetto che deriva da una “tradizione locale” (che è una tradizione scientifica) che però si diffonde nel mondo tramite un processo di insegnamento. Ma non é certamente un soggetto universale, né nel senso delle pratiche di insegnamento, né nel senso della percezione del soggetto (per esempio, molti processi di insegnamento non adottano a un’osservazione epigenetica alla loro base …).
Quello che teoricamente e metodologicamente è corretto considerare soggetto epistemico è altra cosa, lo si sa, del soggetto reale.
Vale a dire: il soggetto epistemico che è un soggetto astratto, in verità é un soggetto con proprietà locali: cioè determinato nei suoi sviluppi specifici ad un ambiente dato. Per l’appunto un ambiente denaturato, nel senso che si definisce come un ambiente che fa astrazione da se stesso o un ambiente alienato.
Eppure il soggetto epistemico é globalizzato, la pratica locale d’insegnamento che lo pone alla sua base viene diffondendosi. Il soggetto epistemico viene massificandosi. Il soggetto allievo diventa isomorfo al soggetto epistemico (e attenzione! uso tale concetto di “isomorfismo” per indicare lo svuotamento totale della soggettività, l’isomorfia indicante appunto qualcosa di formale indipendente dalle determinazioni soggettive …).
Il soggetto epistemico viene reificato nell’allievo. L’allievo diventa soggetto epistemico, che delle determinazioni sociali fa tabula rasa, vale a dire oggetto di un procedimento unificatore, per di più in una ottica pedagogica operatoria procedurale globalizzante 10!
La metodologia adottata per scoprire lo sviluppo epigenetico – lo sviluppo delle conoscenze e delle rappresentazioni del bambino in età evolutiva – era corretta da un punto di vista strettamente epistemologico.
Ma non è più corretta se tale paradigma viene preso isolatamente come paradigma dominate del processo di costruzione delle conoscenze e della propria soggettività.
Ecco che un paradigma locale relativo alla epistemologia viene recuperato e globalizzato in un’ottica che, insensibile alle variazioni individuali dei soggetti e dell’ambiente clona bambini e allievi?… 11.
Evidentemente una conoscenza epistemologica, una conoscenza delle tappe dello sviluppo delle conoscenze del bambino e delle sue rappresentazioni relative ai vari campi del sapere sono estremamente necessarie. Sono necessarie sotto vari aspetti. Per conoscere meglio lo sviluppo, per meglio sapere cosa si sta facendo, per meglio conoscere le relazioni tra materia da insegnare e disponibilità cognitiva dell’allievo, ecc, … ma infine per ricordare che il punto di vista dell’osservatore (docente) non é quello dell’osservato (allievo). Questa é uno dei primi insegnamenti da trarre immergendosi nella epistemologia genetica.
In particolare da questa immersione emergeranno le resistenze del bambini, i suoi percorsi, le sue incomprensioni …
Ecco perché quello scenario era importante. Ma perché lo zapping é del tutto individuale, irripetibile …
Cosa significa ciò che stiamo vivendo? Significa che lo sviluppo del bambino viene confuso con lo sviluppo delle conoscenze del bambino, che la psicologia dell’età evolutiva viene confusa con l’epistemologia genetica; che lo sviluppo del bambino viene ridotto allo sviluppo di conoscenze predeterminate, …
Quale pedagogia dell’adulto, se il bimbo viene segregato nelle sue determinazioni sociali e alienato dalla sua soggettività che è affettiva, culturale, esperienziale, ecc …?
Questo diventa la pedagogia quotidiana moderna, la pedagogia dell’era della globalizzazione e dell’individualismo produttivo competitivo assunto a virtù: un’ottica che ha trovato nel modello epistemologico (genetico o non) la suprema giustificazione per rimuovere le determinazioni sociali … Siccome in epistemologia genetica queste non potevano essere rilevate – per il disegno, il paradigma stesso dell’epistemologia che voleva trattare lo sviluppo delle conoscenze e non altro – ecco allora che queste determinazioni non devono più rientrare, affinché non pervertano il disegno globalizzante.
secondo (la pedagogia della differenziazione come riflesso della globalizzazione?)
E’ vero che oggi nella scuola si parla molto di differenziazione dei programmi. Questa differenziazione permette ai suoi autori di considerare le differenze individuali fra allievi. Permette di programmare percorsi didattici vicini alle capacità dei bambini. Ma cosa, come, quando e perché si deve differenziare?
In verità una osservazione attenta scopre nella scuola molteplici tentativi di differenziazione dei programmi.
Scopriamo allora così la creazione di materiali disparati che sono organizzati sul principio di un raccoglitore di schede strutturati o strutturabili in itinerari didattici differenziati (si tratta di sviluppi locali dei cosiddetti libri interattivi sviluppati già negli anni 60 negli USA, sulla scia della psicologia comportamentista, neo-comportamentista e cognitivista; oppure di proposte di schedari immessi sul mercato pure in Ticino negli anni 60 e 70, poi ripresi negli anni 90 con modalità disparate).
Il principio fondatore è il medesimo. Per una data materia si fornisce all’allievo una complessa raccolta di schede catalogate in maniera progressiva secondo la difficoltà (raccolta che si suppone comprensiva di tutte le difficoltà da acquisire per un dato programma). Il materiale è organizzato sotto forma di uno schedario o di un libro con percorsi molteplici.
Il percorso affrontato dall’allievo viene così determinato di caso in caso a seconda delle necessità (con una programmazione individualizzata per ogni allievo, che non è più dunque solo quella del piano settimanale della classe). L’allievo può così affrontare un suo sentiero personalizzato, nella velocità e nella “località” (temi) da affrontare.
In genere questo apparato fornisce al bambino tutto il materiale di base da svolgere già alla partenza del processo di insegnamento-apprendimento (dicendo “questo é quello che alla fine dovrai aver acquisito”).
In genere questa modalità di lavoro può essere ravvisata sotto una metafora architetturale. In genere su un cantiere di una casa l’impresa edile si fornisce:
– di tutto il materiale: mattoni, cemento, sabbia, legna, …
– degli strumenti di lavoro, piccone, pala, ecc … del progetto rappresentante l’immobile da costruire.
Questa del cantiere è una buona immagine per capire diverse cose.
Innanzi tutto il primo problema a sapere è chi fa lettura del progetto. In genere il capo cantiere …
Poi questa immagine di un gruppo di lavoratori con specializzazioni differenti indica come gli operai non siano intercambiabili: chi muratore, chi gessatore, chi elettricista, chi architetto, ingeniere, capo cantiere, impresario, ecc … molte sono le figure con differenti gradi di specializzazione manuale e specializzazione intellettuale. Per semplificare su un asse solo: in questo gruppo c’é chi svolge attività prevalentemente meccaniche, ripetitive e altri che svolgono attività di lettura e direttive, vale a dire di supervisione e controllo di quanto altri sottoposti devono svolgere.
Questa é la stessa situazione di una classe dove incontriamo: bambini attivi, lettcreativi, immaginativi, ecc … ed altri prevalentemente esecutivo-meccanici.
Per cui la prossima domanda da fare é la seguente: i programmi differenziati a cosa mirano?
Il materiale di differenziazione deve servire principalmente alla costruzione dell’autonomia del bambino, alla valutazione dell’autonomia o al lavoro autonomo?
In verità ogni singolo lavoratore impiegato nell’impresa di costruzioni precedente gode di una sua autonomia … ma non sono certamente tutte corrispondenti.
Ma soprattutto non si venga a dire che portare a termine il programma corrisponde automaticamente e acriticamente alla autonomia infine raggiunta. Piuttosto potremmo dire: “questo allievo rispetto l’insegnamento XY lavora in modo autonomo”, cioè esegue le schede da solo.
Si dovrebbe dunque definire quale autonomia … Dissertare sullo statuto dell’autonomia ecco il tema che vorrei introdurre.
La differenziazione dei programmi certamente non é automaticamente garanzia del riconoscimento della diversità culturale di ogni allievo. Non é un garante delle sue modalità di lavoro del bambino e di avvicinamento al programma proposto. Il rischio é quello di considerare il bambino sotto il solo piano del funzionamento, della capienza della sua memoria di lavoro, della potenza del suo “processore” e così via sulla metafora del computer. Semplicemente la differenziazione è un apparato per meglio permettergli di funzionare a pieno ritmo 12. E in questo è certamente un risultato molto importante. Ma liberare la soggettività del soggetto (del bambino) significa andare oltre questo pur importante risultato, di ispirazione fordista e tayloristica. Si tratta sempre e comunque di creare senso, di liberare la soggettività, di permettere al desiderio di gonfiarsi.
Oppure, pragmaticamente (utopicamente?), in un apparato didattico si tratta di scoprire come il lavoro con materiali di tipo cognitivista possa liberare tempo e spazio per una pedagogia della scoperta, dell’invenzione e della creazione.
Si pone ora la necessità di cambiare livello e dire invece che: malgrado le apparenze, la scuola non opera nessuna differenziazione meritevole di tal termine. La sola differenziazione che riesce a sviluppare è quella istituzionalizzata e presente in materiali con tanto di manuale d’uso (i curricoli differenziati presentati brevemente in precedenza) per meglio omogeneizzare e globalizzare un modello generalizzato di materiale (la matrice) .
Il costruire percorsi didattici ad assetto variabile, con percorsi alternativi, ecc … non significa di per sé rispettare la diversità presente in ogni bambino. Non significa affrontare la questione a sapere perché nell’ambito del cantiere un cittadino ha propeso per una posizione piuttosto subalterna (facendo il “manovale non qualificato” per esempio) oppure ha propeso per una funzione direttiva, intellettuale, ecc …
Dentro questo apparato per un certo numero di bambini rimane un vuoto relazionale, resta un vuoto cognitivo.
Se per una parte dei bambini questa relazione e questa cognizione vengono ad essere riempite, ciò avviene grazie al loro bagaglio: maturità cognitiva, conoscenze enciclopediche, esperienze motorie, manuali, percettive, relazioni sociali, lingua, ecc … . Ma questi bambini probabilmente riusciranno comunque, e nonostante il tipo di impostazione didattica.
È molto facile allora dimenticare che per tutti non è così. È molto facile naturalizzare il proprio paradigma d’insegnamento contestualizzandolo in un contesto astratto, impersonale, impermeabile alle determinazioni sociali, culturali, esperienziali e relazionali di ogni soggetto.
(Sono grato allora ai soggetti marginali/emarginati che mi obbligano di riscoprire il contesto nel quale si muove quel paradigma d’insegnamento, che mi obbligano ad andare oltre. Che obbligano a riscoprire l’importanza della costruzione di senso e dell’affiliazione. Che obbligano a ricontestualizzare il paradigma d’insegnamento ricollegandolo alle sue finalità rimosse).
In un apparo differenziato, certamente i bambini sono in situazione di essere (potenzialmente) più attivi (produttivi) in quanto si ritrovano a lavorare con schede meglio adattate al loro livello.
Certamente però quel apparato di differenziazione non interroga automaticamente l’incedere del soggetto, non lo mobilità ad uscire da una sfera essenzialmente esecutiva. E se lo interroga lo fa solo marginalmente al fine di piegarne le resistenze …
Non sono sfavorevolmente impressionato dallo sviluppo preso dai materiali differenziati. Non sono contrario alla loro utilizzazione. Pro o contro la differenziazione? Non è questo il problema. In sé i programmi differenziati possono essere un buon strumento di lavoro. Tutto dipende dall’uso concreto e dal contesto.
Il problema a sapere che tratto è piuttosto il seguente. La presenza di questi itinerari dovrebbe permettere un grande sviluppo della classe relativamente gli apprendimenti delle tecniche e delle esercitazioni. Far lavorare meglio gli allievi e il maestro, per dirla in poche parole.
Ma perché la presenza di questi itinerari invece di liberare energie per il ricupero della relazione portano il docente e gli allievi a trincerarsi dietro le schede? Perché questi itinerari diventano il paradigma stesso dell’insegnamento invece che rappresentare solamente una parte, ristretta, dello stesso 13?
Cioè: l’epistemologia (della complessità) non riesce a scrollarsi di dosso la crosta neo-fordista e tayloristica.
Terzo (segregazioni del soggetto e del desiderio)
La ricerca pedagogica viene vieppiù a proporre una mescolanza, una confusione, una sovrapposizione, un intreccio o un oscuro isomorfismo procedurale tra soggetto epistemico e operatività procedurale normativa 14.
Ecco l’esibizione di due degenerazioni rispettivamente d’ordine dottrinale e del dominio.
Prima trasformazione.
Quelle che in origine erano osservazioni e conoscenze di tipo epistemologico genetico, in psicologia, in psicopedagogia, in pedagogia e in didattica si trasformano e si presentano sotto una veste cognitivista, meccanicista.
Seconda trasformazione.
Quella che era una narrazione, una lettura, una punteggiatura dell’interazione soggetto-oggetto (realtà), infine diventa dottrina. Vale a dire ciò che era un progetto locale di descrizione e di modellizzazione di uno specifico problema legato allo sviluppo delle conoscenze – il soggetto epistemico – viene spacciato per modello dello sviluppo del bambino e peggio ancora del suo modo privato, specifico e soggettivo di essere. Il ragazzo è spersonalizzato, è alienato dalla sua relazione con l’adulto, lo sviluppo del ragazzo e ridotto alla genesi di conoscenze. I meccanismi del pensiero e della cognizione sono confusi con i suoi prodotti, i suoi prodotti con il programma, il programma con le conoscenze prodotte presentate sotto forma di schede, di esercizi o di immagini da memorizzare.
Assistiamo dunque a una doppia meccanicizzazione:
– della epistemologia,
– della relazione.
Quale la funzione dei ritmi differenziati di lavoro? Una immagine sorvola costantemente questa realtà. E’ quella dei ritmi di produzione differenziati, quella dei tassi di crescita …
Facile annusare la puzza dei paradigmi economicisti che subdolamente vengono ad invadere la pedagogia e la scuola senza che nessuno quasi se ne accorga.
Altro che imparare ad imparare! Il concetto di differenziazione introduce la globalizzazione di un nuovo paradigma pedagogico: dal sogno della pedagogia cooperativa degli anni 60 e 70 siamo infine giunti alla realtà della produzione individualistica … Questo il fulcro.
In verità l’idolatria della differenziazione copula con le tradizionali esigenze della valutazione scolastica e dell’efficenza.
Differenziazione e selezione interagiscono magnificamente fra loro. Non potremo più accusare la scuola di essere un organismo di selezione.
L’interazione fra:
- epistemologia genetica,
- differenziazione pedagogica,
- selezione scolastica,
- individualismo pedagogico,
in un mondo sempre più egemonizzato dal neo-pensiero unico reificano le differenze di sviluppo. “Permettiamo pure ad ogni bambino di funzionare secondo il suo ritmo e le sue esigenze” questo il sogno alla base della differenziazione pedagogica e del rispetto del bambino … ma allora se il bambino impara con un ritmo più lento é lui il responsabile, o i suoi genitori, o la sua cultura, o il livello socio-economico d’origine e non più l’istituzione scuola.
S’intravedono subito allora gli intrecci tra differenziazione, l’insuccesso scolastico e il disadattamento.
Lo sviluppo di materiali differenziati è un approccio che dovrebbe nelle sue intenzioni (?) neutralizzare l’insuccesso scolastico (forse) ma che non interviene sul disadattamento (scolastico).
Lo neutralizza poiché elimina (apparentemente!) il quadro di lavoro competitivo fra allievi rispetto un programma unico e uguale per tutti …
Il bambino funziona al proprio ritmo, non ci sono più asticelle rigide (obiettivi) … Se il bimbo lavora in questo modo non dovrebbe più preoccuparsi dei confronti con gli altri …
Eppoi sembra buono perché permette ritmi di sviluppo differenti.
E invece questo quadro competitivo rimane, se non altro perché alla fine dell’anno note, pagelle e bocciature rimangono pur sempre.
Sembra poi poco competitivo in quanto i bambini sarebbero solo in concorrenza con se stessi; invece li condanna a lavorare da soli, riducendo le occasioni di scambio comunicativo, di argomentazione e co-costruzione (a questo proposito cfr. il mio articolo Differenziazione dei programmi e prossimalità dell’apprendimento).
In questo contesto non é dunque più la scuola che seleziona, é l’individuo che non funziona (sig!). Così si lavorerà sui materiali, le schede e la loro organizzazione (progressione).
Non ci saranno nemmeno problemi di integrazione venendo a cadere l’ostacolo degli obiettivi comuni e venendo a cadere le modalità di lavoro collettivo. Già, adesso ognuno lavora individualmente …
Si trova un posto per ognuno, come sulla nave: un posto di comando, cambusa, mozzo, macchinista, ecc … dunque si fa funzionare l’apparato (la nave). Non si fa evolvere il bambino.
La pedagogia della differenziazione neutralizza l’insuccesso perché trova un posto per ognuno su quella nave. Risolve i problemi della nave che funziona, che viaggia.
Non è certamente una garanzia sufficiente all’evoluzione degli individui.
Tra rappresentazioni della realtà e narrazione del soggetto
Ho già brevemente ricordato in precedenza l’assoluta non omogeneità degli apprendimenti, osservabile nella eterocronia delle tappe di sviluppo delle conoscenze.
rappresentazioni
Una osservazione sistematica del livello cognitivo del bambino – attraverso una valutazione per esempio di tipo piagetiano – mette in risalto come l’entrata e lo sviluppo in una tappa operatoria per una data conoscenza non implichi automaticamente lo stesso livello in altri ambiti della cognizione (é questo per esempio il problema dei décalages verticali e dei décalages orizzontali). Ci sono dunque degli scarti, dei scatti, ecc. proprio come nella seduta zapping.
Nota: qui ci muoviamo sul piano dell’osservatore!
Consideriamo quindi l’osservazione degli sviluppi del pensiero operatorio come gli spezzoni dei programmi visionati alla televisione. In questo ordine di idee appare evidente come la velocità di successione dei fotogrammi possa essere variabile, come la successione dei vari spezzoni filmici irregolare, con arresti subitanei o progressioni notevoli. La visione prolungata di un programma ne occulta poi un altro e così via.
La seduta zapping e lo sviluppo operatorio possono dunque essere simili sul piano epistemico e diacronico.
narrazione
Il fatto da sottolineare é però il seguente: é il soggetto a schiacciare il pulsante del telecomando. E qui ci situiamo sul piano del soggetto osservato. Cosa possiamo dire di esso rispetto le sue variazioni?
Eccolo il salto già incontrato prima. Bisogna sapere e capire quali sono i contesti di sviluppo o di involuzione dei processi di conoscenza. O ci soffermiamo unicamente su una epistemologia addomesticata alle necessità riproduttive, a rappresentazioni della realtà preconfezionate o ci occupiamo del soggetto e delle sue necessità di crescita, come pure delle sue scelte, vale a dire delle narrazioni del soggetto …
L’apparente assenza della Ragione
Prima di accingerci a compiere gli ultimi passi su questo percorso ritorno a due prime domande sorte dalla scenario zapping.
1) tra rimozione della parola e rimozione delle alternative
La prima domanda riguardava l’apparente assenza di una intenzionalità comunicativa. L’idea era che l’osservazione della seduta zapping, la successione degli spezzoni filmici e il procedere del soggetto, non fossero mossi da nessuna intenzione cognitiva, che tutto fosse solamente agito senza partecipazione attiva, critica, o progetto del soggetto.
Questa assenza di intenzionalità é apparente o reale? Quando é apparente e quando é reale?
Lo scenario dello zapping lascia dunque immaginare l’assenza di un qualsiasi progetto unificatore, di costruzione di senso. Questa assenza ha una duplice valenza:
– se l’assenza è vissuta dal docente
– oppure se l’assenza è vissuta dall’allievo.
Manca quindi uno spazio del racconto o della narrazione, dell’incontro fra soggettività.
I problemi da affrontare sono quindi i seguenti:
- l’assenza di una Ragione ordinatrice è reale oppure marca il distacco tra osservatore e soggetto? nel senso che il problema é quello dell’osservatore che non riesce a cogliere (non può? non vuole?) lo slancio del soggetto. Ciò che suppone l’analisi delle difficoltà dell’osservatore (il docente). Quale il senso e la realtà allora di questa relazione muta con l’allievo?
- l’assenza di una Ragione ordinatrice oggettivamente verificata come tale suppone una valutazione della relazione fra soggetti. Soggetti che preferiscono lasciarsi agire da una serie più o meno complessa di teorie e immagini (i vari spezzoni dello zapping) che agire su di essi. E questo non viene a reificarsi nellpamministrazione degli apparati pedagogici differenziati?
- Ciò suppone l’analisi delle difficoltà dei soggetti. Quale il senso allora di questo consumo di immagini insensate? Difficile allora diventa trovare altri sensi oltre quelli di essere: operatorio, funzionante, adattato, performante, ecc … in sé e per sé …
2) tra disarticolazione e desertificazione della parola
La seconda domanda riguardava il ruolo del linguaggio. E cioè: se l’intenzionalità comunicativa cade, quali sono le relazioni tra soggetti quando la parola é limitata a una pedagogia del “manuale d’uso” (far eseguire degli algoritmi, dei pattern esecutivi …).
In primo luogo ciò mi suggerisce che le relazioni tra soggetti vadano a rarefarsi (rimane il linguaggio “esecutivo” che fa funzionare i meccanismi …). Ma come é possibile allora impedire una dinamica che arrischia di comportare una disarticolazione della parola, che arrischia di provocare poi una desertificazione o rarefazione delle relazioni sociali?
Sono ben presenti nella mia mente le immagini di quegli allievi che mai partecipano, alzano la mano, interloquiscono con il docente (al massimo si attivano sul piano esecutivo ma non verbale!).
Molti sono gli studi che mettono in luce il ruolo del linguaggio quale variabile patologizzante in situazioni in cui il soggetto non padroneggia il modello di linguaggio dominante (cfr. ad esempio i classici studi di Bernstein sulla presenza di codici ristretti, allargati).
Si nota per esempio che la scuola nel suo torpore attuale non riesce ad aiutare i ragazzi utilizzatori di codici ristretti a sviluppare codici elaborati. Oppure come gli allievi in difficoltà scolastica siano quelli che più difficilmente riescono a costruire astrazioni progressive e come difficilmente riescano a decontestualizzare le conoscenze …
Su di un altro versante si notano pure le scelte di politica dell’educazione – ventilate o reali. Alcune fasce politiche ed alcuni dipartimenti della educazione vogliono introdurre l’apprendimento dell’inglese a partire dalla prima elementare … che ciò non sia certamente rivolto alla “dissertazione letteraria” é dimostrato dal fatto che tale insegnamento deve essere coniugato all’utilizzazione di Internet.
E in verità il collante fra soggetti “deprivati” linguistici e il docente é sempre un linguaggio imperativo, funzionale, performativo.
In verità pure il linguaggio che mostra la seduta zapping è un linguaggio che descrive cosa fa il soggetto che schiaccia il pulsante. Non é un linguaggio che crea nuove rappresentazioni, raggruppamenti logici, ecc … che descrivono quanto succede all’interno del soggetto.
Bloccato com’é a registrare la successione degli spezzoni non é certamente un lingua che sappia dare una lettura unitaria, una immagine di quella seduta.
Il linguaggio é una rappresentazione, e come rappresentazione é una sostituzione della realtà e come sostituzione della realtà ne é un elemento ordinatore. Il linguaggio della differenziazione pedagogica, dell’apprendimento a ritmi differenziati é un linguaggio ordinatore di percorsi didattici?
Quali allora le funzioni del linguaggio: quella della narrazione di sé, quelle di raggruppamento e descrizione logica oppure quella della (sola) descrizione di pattern esecutivi?
Assistiamo alla riduzione progressiva del linguaggio alla sola funzionalità, alla sola espressione di imperativi, legato dunque alla sola espressione di azioni da eseguire.
Quale allora il ruolo della parola, in questo ordine mancato di sostituto della realtà percettiva e dell’esperienza, quando le funzioni logiche della lingua tendono:
– non alla costruzione di un universo simbolico (e a diventare sostituto dell’esperienza),
– ma a descrivere le azioni svolte o dare ordini?
C’é allora una sorta di cortocircuitazione, nel senso che la lingua perde una delle sue funzioni d’interfaccia, di traduzione operatoria, per rimanere legata solo alla propria funzione quella letterale (cfr. Wittgenstein, Ricerche filosofiche) …
Per concludere
Certamente molte persone dissentono e fanno resistenza. Altre deprimono, si arrendono o aderiscono ai disegni egemoni. L’intenzione del sottoscritto non é quella di osservare chi, fra i pedagogisti – che questi si annoverino tra i genitori, i docenti, gli educatori specializzati, i pubblicisti, ecc … – sia vittima o carnefice della “pedagogia della globalizzazione” (nel senso della pedagogia nei tempi della globalizzazione).
Leggere alcune dinamiche in atto (dare letture), punteggiare alcune prassi educative che altrimenti resterebbero inconsapevoli epidermidi che ci soffocano senza sapere più dove e come opporsi, ecco lo scopo di queste pagine.
Ho dunque voluto parlare di:
– epistemologia della complessità
– di pedagogia della differenziazione
per illustrare:
1. come l’importanza del soggetto nei processi di apprendimento sia illusoriamente rispettata nella pedagogia della globalizzazione (immagine e riflesso dell’egemonia neo-liberista). Addio caro Don Milani … Mettere “l’allievo al centro del progetto educativo”, mettere “l’allievo al centro dell’azione pedagogica”, “l’allievo al centro della scuola”, “rispettare i ritmi propri”, “aprire la scuola al suo esterno” … “Telle est la nouvelle idéologie qui occupe le devant de la scène scolaire française”, scrive Yves Careil ne Le Monde Diplomatique (“L’école publique à l’encan, articolo apparso nel numero di novembre 1998). Ma questa frode occupa pure tutta la scuola occidentale. Il mito di “Cette «bonne nouvelle» pédagogique se présente comme généreuse et même allant de soi: enseigner, c’est avant tout créer les conditions pour que l’élève s’approprie le savoir, transforme ses conceptions initiales, élabore des concepts opératoires nouveaux … Cependant, la générosité, même bruyamment proclamée, ne résiste jamais très longtemps aux logiques sociales à l’oeuvre. Et la notion de rythme de l’élève (en fait, modelé socialement et bien loin de lui être propre) est susceptible de servir des desseins fort peu démocratiques lorsque se met en place un système scolaire à plusieurs vitesses. La mutation de ce dernier ne saurait etre abordée indépendamment de celle des transformations de la société et de leur traduction en termes de rapports de classes …”
2. come la meccanicizzazione dell’epistemologia, della differenziazione e della relazione si presta a una scuola a ritmi differenziati. Questa realtà fa si che – apparentemente – la scuola non presti più il suo fianco alla critiche di essere selettiva, diventando così un luogo “neutro”, democratico …
3. come, se si vuole liberare il soggetto, si deve oltrepassare una visione produttivistica della pedagogia, per dare spazio alle parole, alle narrazioni, ai desideri … E’ importante questionare il messaggio (il programma scolastico reale) e il messaggio del messaggio (l’iperadattamento). L’introduzione di pratiche scolastiche che investono l’iperadattamento operatorio hanno come meta educativa la sfaldamento dei legami comunitari. Il funzionare bene, seppur a ritmi personalizzati, investe la sfera della relazione sul piano della competizione. Non interroga il valore dello stare assieme … In verità è facile muoversi su di un piano virtuale dove tutto è permesso e promosso. La pedagogia reale, l’educazione reale è oggetto di questa discussione. Non investire coscientemente la costruzione di senso e di appartenenza equivale a un intrattenimento. L’illusione intrattenuta. Ecco lo spettacolo delle apparenze, il talk show pedagogico con premi, paillettes e cotillons (promozioni, note …).
4. come l’occidente novello pedagogo segrega il meglio di noi stessi, introducendoci in un contesto produttivo, un contesto di mercato, desertificando le relazioni che non sono più cooperative ma di iper competizione e paura. Basta riflettere un momentino sul senso delle moderne olimpiadi scolastiche 15, sulla strumentalizzazione dei giovani adolescenti di tutto il mondo al fine di valutare come un ordinamento scolastico diventa migliore di un altro. Ebbene questo il metro unilaterale e monoculturale di giudizio: i risultati dei ragazzi in una batteria di domande (aritmetica) Pensiamo un po’ se questo non è produttivismo scolastico. Se non è una riduzione della scuola ad un apparato di (ri)-produzione. Eppure ci son ben molte altre variabili sulle quali le scuole dovrebbero essere confrontate. E tra le prime la capacità di creare legami comunitari e la sua valenza socializzante …
Bibliografia
Augé Marc, Non-lieux, introduction à une anthropologie de la surmodernité, Seuil, 1992
Bateson Gregory, Ecologia della mente, Adelphi, 1976
Bernstein Basil, Language et classes sociales, Editions du Minuit, 1975
Bocchi Gianluca – Ceruti Mauro (a cura di), La sfida della complessità, Feltrinelli 1988
Bocchi Gianluca – Ceruti Mauro, La danza che crea, Feltrinelli, 1989
Bourdieu Pierre – Passeron Claude, La réproduction, Editions du Minuit, 1970
Fabbri Montesano Donata – Munari Alberto, Strategie del sapere: verso una psicologia culturale, Dedalo 1984
Feyerabend K, Contro il metodo, Feltrinelli
Foucault Michel, Les mots et les choses, une archéologie des sciences humaines, Gallimard, 1966
Freire Paulo, La pedagogia degli oppressi, Mondadori, 1971
Galeano Eduardo, A testa in giù. La scuola del mondo alla rovescia, Sperling & Kupfer, 1999
Galli Giovanni (a cura di), Intrecci, sentieri, nodi …, ed. AOSSP, Locarno, 1997
Galli Giovanni, L’intelligenza senso-motoria a scuola. Senso motricità e pensiero a scuola. (Alcuni percorsi di ricerca.), P & E, psicologia & Educazione, rivista dell’Associazione Svizzera di Psicologia dell’Età Evolutiva, 2, 24, 1998, Solothurn
Galli Giovanni, Perché il realismo ha il sopravvento? articolo apparso nel 1999 in: www.ticino.edu/usr/ggalli/calica.htm
Kuhn Thomas. S., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi 1969
Marcuse Herbert, L’uomo a una dimensione, L’ideologia della società industriale avanzata, Einaudi, 1967
Martignoni Graziano, Normalità e funzionamento operatorio. (La “malattia mortale” dell’adattamento), in: Galli Giovanni (a cura di), Intrecci, sentieri, nodi …, ed. AOSSP, Locarno, 1997
McLuhan Marshall, Gli strumenti del comunicare, Il saggiatore, 1967
Morin Edgard, La Méthode, Seuil, 1977
Morin Edgard, Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer 1993
Orwell George, I principi della neolingua, in 1984, Mondadori 1984
Piaget Jean, La construction du réel chez l’enfant, Délachaux et Niestlé, 1967
Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Fiorentina, 1967
Tse Lao, La regola celeste, Sansoni 1959
Vaihinger, La filosofia del come se, Astrolabio 1986
Von Voerster Heinz, Sistemi che osservano, Astrolabio, 1987
Watlzawick Paul – Weakland John P. – Fisch Richard, Change. Sulla formazione e la soluzione dei problemi, Astrolabio 1974
Watlzawick Paul, La réalité de la réalité, Seuil, 1978
Wittgenstein P., Ricerche filosofiche, Einaudi, 1967
Note
1) Cfr. documenti di lavoro. ritorna al testo
2) Considero del tutto naturale il legame suggerito con l’epistemologia genetica e il costruttivismo piagetiano. A questo riguardo Cfr. Le opere di Bocchi – Ceruti riportate nella bibliografia. ritorna al testo
3) Questa immagine é pure presente in: Graziano Martignoni in “Normalità e funzionamento operatorio. (La “malattia mortale” dell’adattamento)” apparso in: (a cura di) G. Galli, “Intrecci, sentieri, nodi …“. ritorna al testo
4) Cfr. nella bibliografia Bateson e Watzalwick 1974. ritorna al testo
5) Cfr. A questo soggetto la numerosissima bibliografia di J.Piaget e di tutta la scuola di epistemologia genetica ginevrina come pure i lavori eseguiti nella sua tradizione. Per una bibliografia completa delle opere di J. Piaget cfr. la “Bibliographie Jean Piaget” edita dalla Fondation archives Jean Piaget, Ginevra 1989. ritorna al testo
6) Ecco, questa analogia tra processo di costruzione delle conoscenze e seduta zapping ne incrocia un’altra. Ed é l’analogia che questi processi possono avere con la griglia oraria di un qualsiasi programma scolastico. Se lo consideriamo, vediamo che esso é in effetti costruito con una serie di spezzoni di materie, di insegnamenti, interrotti, ripresi, sospesi, conclusi, ecc … sull’arco di una settimana, dei mesi e così via. L’osservazione esterna di tale griglia oraria rischia di essere priva di significato da un non esperto, e indicare un non-senso tanto quanto la seduta zapping. Rischia di essere fruita e vissuta passivamente dallo studente che non cerchi di costruire una unità degli apprendimenti. O, in mancanza di un progetto unificatore globale, che cerchi di tracciare dei legami e dei vettori costruttori di senso … ritorna al testo
7) Senza affrontare il problema a sapere di quando questa epistemia possa diventare fobica cioè una epistemofobia, come si può talvolta incontrare in soggetti con marcate difficoltà scolastiche. rritorna al testo
8) E ognuno di questi soggetti interviene come giustificazione per altrettanti mercati, pardon, pedagogie … ritorna al testo
9) Cfr. “Etudes sociologiques” di Jean Piaget. rritorna al testo
10) Cfr. a questo proposito il mio articolo “Perché il realismo ha il sopravvento” nella rivista telematica “Calicanto”. ritorna al testo
11) Per approfondire il problema della trattazione della relazione individuo-ambiente in Piaget biologo, Piaget epistemologo, Piaget sociologo, Cfr. il mio documento “Paradigmi della modellizzazione. Il soggetto epistemico e il soggetto biografico” ritorna al testo
12) Per un breve lettura delle modalità solipsite di lavoro di taluni percorsi differenziati cfr. il mio articolo “Differenziazione dei programmi e prossimalità dell’apprendimento. Una breve discussione”, apparso in: P & E, Psicologia & Educazione, rivista dell’Associazione Svizzera di Psicologia dell’Età Evolutiva, 2,23, 1997, Solothurn. ritorna al testo
13) Per quanto riguarda gli effetti patologizzanti della differenziazione in alcune situazioni di allievi disadattati scolastici cfr. ancora i il mio breve articolo “Differenziazione dei programmi e prossimalità …“.ritorna al testo
14) Il problema della normalità operatoria é trattato da Graziano Martignoni in “Normalità e funzionamento operatorio. (La “malattia mortale” dell’adattamento)” apparso in: (a cura di) G. Galli, “Intrecci, sentieri, nodi …“. ritorna al testo
15) Cfr. Sistemi scolastici a confronto, a cura di Francesca Pedrazzini Pesce, Bellinzona, USR, 1998. ritorna al testo