Perché il “realismo” ha il sopravvento?

1

“Che la sparizione artistica nei bambini corrisponda con la scolarizzazione é certo: ma diciamo che soprattutto vi influisce la presa di coscienza del mondo e il progressivo inserimento in un contesto sociale” 2.

Premessa

Le righe che seguono desiderano tradurre un desiderio: quello di un percorso di ricerca. Come percorso si basa su ipotesi di lavoro che devono essere considerate sotto una duplice ottica:
– quella della realtà del disegno come veicolo di espressione-narrazione del mondo e di Sé; quindi come strumento di conoscenza e di relazione … a sapere dunque quanto la presenza del segno é un segno di presenza, una traccia di Sé;
– quella del suo spazio istituzionale, ovverosia della reale utilizzazione del disegno nella scuola odierna. Ed evidentemente, tramite le scienze dell’educazione, come strumento d’intervento, educativo o d’investigazione.
Due questioni che sono poi parte di un fenomeno comunque unico nella sua realtà quotidiana; non foss’altro perché lo spazio istituzionale come spazio comunitario, come spazio mentale, come comunità di intenti, realizza una sua propria Weltanschaung, che del – e nel – disegno ha le sue proprie prassi.
Parleremo quindi di scuola, di disegno, di bambini, di apprendimento e di allineamento (appiattimento) nell’apprendimento, di implosione dei processi creativi e di narcosi del segno.

Effettivamente se il disegno é considerato facilmente e sicuramente come uno strumento molto potente – sia per lo sviluppo del bambino (ma preferisco parlare di soggetto, liberandolo dalla sua età), sia per la sua conoscenza – male però si riesce a capire, o difficilmente si riesce a capire, come utilizzarlo o come é utilizzato realmente nella scuola. Ma si può anche aggiungere che altrettanto male si riesce ad utilizzarlo strumentalmente proprio a quegli elementi che, idealmente, gli conferiscono la sua potenza.
Al disegno viene così accordato uno spazio tanto mutevole nelle sue applicazioni e realizzazioni quanto divergente nelle sue accezioni, e ciò non solo nello spazio accordatogli a scuola.

1. Sostantività procedurale e operatività sostantiva

Esterno-interno
Si può osservare la strada stando dietro il vetro della finestra: i rumori ne vengono attutiti, i movimenti diventano fantomatici e la strada stessa appare, attraverso il vetro trasparente, ma saldo e duro, come una entità separata, che pulsi in un «al di là».
Oppure si apre la porta: si esce dall’isolamento, ci si immerge in questa entità, vi si diventa attivi e si partecipa a questo pulsare della vita con tutti i propri sensi. Le altezze e i ritmi dei suoni in continuo mutamento avvolgono gli uomini, salgono turbinosamente e cadono all’improvviso paralizzati. (…)
L’opera d’arte si rispecchia sulla superficie della coscienza. Essa sta al di là e si dilegua dalla superficie, senza lasciare traccia, appena scomparso lo stimolo. Anche in questo caso c’é una specie di vetro trasparente, ma saldo e duro, che rende impossibile il diretto rapporto interno. Anche qui abbiamo la possibilità di entrare nell’opera, di divenirne parte attiva e di vivere con tutti i sensi la sua pulsazione 3.

Alla richiesta di Pigmalione – quella di dargli una donna tale e quale e bella come quella che aveva appena terminato di scolpire nel marmo – Venere diede vita al marmo (Ovidio).
Questo il mito e la seduzione della creazione …
Ma la statua di Pigmalione ci parla di un piacere e di un desiderio. Del piacere e del desiderio di Pigmalione di creare, appunto, quella statua: ma nulla sappiamo di quella donna, fredda come il marmo, datagli da Venere. Questa é l’illusione della riproduzione fedele così ben testimoniata nella storia dell’arte (cfr. a questo proposito Gombrich, E.H., Arte e illusione, Torino: Einaudi, 1965).

E’ piuttosto l’atto creativo che vogliamo investigare, non tanto il suo prodotto (che sarà semmai valutato dal pubblico di osservatori e critici, ma anche dal pubblico di lettori per quanto riguarda un altro campo del segno quale quello della scrittura), l’atto che si situa a cavallo tra la ri-creazione – piacere e la ri-creazione – tecnica. Ecco …, l’ontogenesi del rapporto tra sviluppo tecnico e crescita emotiva e identitaria del soggetto, tra espressione e realizzazione dei bisogni, potrebbe essere un obiettivo di ricerca.
Ma ciò che ci interessa adesso é, attraverso il disegno, il ricupero del soggetto, perché il disegno, nel suo farsi, ci dice e ci parla dell’espressione di sé e delle (sue) concezioni del mondo …

Allora dobbiamo rammentarci ciò che non avrebbe bisogno di essere espresso: il bambino non é solo un allievo. Ciò significa che non é solamente un bravo (modesto, pessimo) esecutore di algoritmi, un bravo (modesto, pessimo) risolutore di problemi o un bravo (modesto, pessimo) redattore di testi o lettore.
Queste, del bambino, corrispondono piuttosto ad alcune sue capacità.
Queste capacità si situano piuttosto sul versante dei mezzi per costruire o scoprire dei significati.
Queste capacità sono evidentemente fondamentali e strumenti fenomenali per esprimere significati; tanto che se un bambino é deprivato linguisticamente (per esempio leso profondamente nella competenza semantica) difficilmente arriva a esprimere i suoi bisogni (e capiamo come possano crescere le sue frustrazioni a questo riguardo e come possano essere limitate le sue esperienze quando manca questo tipo di bagaglio personale, in un processo di cortocircuitazione, o di circolarità – ma dagli effetti nefasti – tra frustrazione e incapacità ad esprimersi).
L’apprendimento di queste capacità si situa certamente sul piano dei “significanti” 4. Questi in effetti sono altrettanti irrinunciabili obiettivi di base dell’insegnamento.

Ma se i significati sono importanti, (come lo sono) dobbiamo scoprirli, o costruirli, inventarli, stimolarli, o dir che si voglia.
In questo senso ci muoveremo, allora, piuttosto sul piano dei contenuti della conoscenza e delle rappresentazioni del mondo rispetto all’acquisizione degli strumenti della conoscenza. Ci muoveremo quindi piuttosto su un piano dell’espressione e dell’investimento soggettivo delle conoscenze, piuttosto che quello delle tecniche
Come le due rotaie sulle quali corrono i treni, questi elementi non sono separabili.
Le esigenze dell’insegnamento determinano però la predilezione di una rotaia rispetto l’altra; … e vale la pena non limitarci unicamente a una progressione sul binario dei programmi (così come sono bene descritti nei “Programmi della scuola elementare” nella loro progressione dalla prima alla quinta elementare, per quanto concerne la lingua italiana e la matematica).
Piuttosto scopriremo come l’alternanza da una rotaia all’altra, dal piano espressivo, comunicativo, della soggettività ecc… , a quello dell’affinamento e apprendimento di sempre nuovi e migliori strumenti, serve da trampolino per nuovi traguardi 5.
Questo ci dimostra una cosa importante. Distogliere l’attenzione (magari tutta, in certi casi) rivolta all’operatività, dare spazio ai segni, al simbolo, alle storie personali, alle visioni soggettive, al desiderio, innaffiano la scuola di messaggi, magari moltiplicando le situazioni dove il soggetto possa infine dar corpo alle (reificare la) proprie motivazioni.

A conclusione di queste prime riflessioni – questa entrata in materia – appare allora un primo filone di ricerca. Un primo canovaccio che sorge direttamente dall’interrogazione attorno alle finalità dell’insegnare (e dell’apprendere). Queste prime riflessioni trovano una veste più specifica – meno generale e/o descrittiva – attorno ai concetti di episteme, soggetto, apprendimento/insegnamento, didattica. Quali le loro relazioni, o i significati, le finalità che si prefiggono e si perseguono dando il primato ai saperi procedurali. Qual’è il posto del soggetto in questa egemonia del tecnico esecutivo? Ci si può occupare del bambino e dell’apprendimento sotto un approccio unicamente “epistemico”, vale a dire con un intervento tutto teso all’apprendimento degli strumenti del conoscere, quali sono il leggere e lo scrivere, il calcolare, … affrontandone i sussulti, le accelerazioni e rallentamenti unicamente tramite un intervento funzionale 6?
Oppure, per far questo, dobbiamo preoccuparci del bambino, quindi ascoltare le sue parole, favorire sue esperienze e comunicazioni (ma eserienze e comunicazioni reali), quindi grazie a questo e per questo, nutrire l’episteme 7?
Questa domanda ci rinvia al luogo stesso dell’insegnamento (inteso come insegnamento reale) affinché l’apprendimento degli strumenti del conoscere non diventi assolutamente contraddittorio allo sviluppo sociale, affettivo e culturale, dell’allievo; affinché non diventi l’unico vettore investito, investito così tanto che l’apprendimento degli strumenti del conoscere diventi concorrente (magari per una sola semplice mancanza di tempo) allo sviluppo e alla liberazione delle identità soggettive …

Ma torniamo al disegno.

2. Il “realismo metrico” e l'”idealismo romantico”

Purtroppo una serie di incongruenze concorrono a male definire gli spazi del disegno tanto che il disegno viene considerato con cliché anacronistici, romantici o idealizzati.

Da un lato scopriamo che il disegno del bambino é considerato sotto un punto di vista “metrico”, vale a dire: quanto questo può essere vicino alle realizzazioni dell’adulto (le tappe del realismo non sono allora nient’altro che un avvicinamento realistico all’oggetto – la copia, appunto il realismo artistico 8). In quest’ordine di idee il suo farsi é allora pre-logico, é tappa, é stadio, ecc…
Tutto ciò comporta a considerare il disegno come qualcosa che deve svilupparsi (ma verso dove? per cosa?), che deve essere raffinato (il disegno viene insegnato, ma come?), secondo un destino quasi teleologico;
Conseguentemente il suo spazio viene troppo sovente ritagliato unicamente nell’apprendimento dello strumento. Così il bambino dovrà imparare a disegnare sempre meglio …
Non é per niente un mistero che per taluni, dominati da un paradigma psico-genetico, l’insegnamento delle arti visive non é nient’altro che la rincorsa alle tappe evolutive (che queste siano del realismo o altro poco ci importa), con lo scopo delle riproduzioni sempre più fedeli di un modello …

“Quelle qu’ait été sa capacité d’assimilation, la culture occidentale a longtemps persisté à tenir à l’écart trois formes d’expression autonomes (qu’on sourit aujourd’hui de voir associées, tant elles sont différentes): celles des enfants, des «fous» et des «primitifs» (…). En définitive, le seul trait commun des expressions ainsi désignées est d’avoir été réunies dans le même ghetto, sous une même imputation de «mentalité prélogique» formulée conjointement par des ethnologues (Levy-Bruhl), des psychologues de l’enfance (Jean Piaget) et des psychiatres (presque tous) (…) Ainsi, on à longtemps tenu les graffiti enfantins, pour des ébauches encore maladroites, erronées ou fortuitement réussies, en les évaluant en tout cas par rapport à la seule représentation jugée correcte: celle qui obéissait aux canons académiques. Il est symptomatique que les premiers dessins qui ont été juges dignes d’être conservés et étudiés, à la fin du XIX’ siècle, aient eu pour auteurs des «enfants prodiges», qui, à huit ou dix ans, dessinaient déjà comme des adultes. La voie avait pourtant été ouverte par les initiateurs d’une pédagogie nouvelle, notamment Jean-Jacques Rousseau et Pestalozzi, qui ont envisagé la mentalité des enfants non plus comme une esquisse encore informe de l’esprit adulte, mais comme un univers ayant sa structure propre. Par la suite, les travaux des psychanalystes et des psychologues de l’enfance comme Freud, Melania Klein, Wallon ou Piaget, ont permis de différencier des stades dans le développement mental des premières années de l’individu. On s’est aperçu que, à chacun de ces stades correspondait un système de figuration spécifique. Encore y a-t-on vu des étapes préparant un accomplissement final. La perspective restait adulto-centrique 9“.

Da un altro lato il realismo, che sia fortuito, mancato, visivo o intellettivo, viene considerato come creatività. Ogni immagine che più si discosterà dai nostri modi adulti di disegnare verrà considerata come intenzionale, e creativa, piuttosto che un percorso obbligato, condizionato da un livello stadiale determinato (come per esempio il realismo visivo o intellettivo). Si cade allora nella idealizzazione e nella normalizzazione.
“Certes, les préjugés paraissent aujourd’hui s’inverser. On passe d’une interprétation en termes de déficit a une idéalisation. Les ateliers d’art enfantin et les expositions du type «L’enfant créateur» se multiplient, ce qui engendre paradoxalement une «normalisation» de plus en plus précoce de l’expression graphique. En effet, depuis quelques décennies, les enfants deviennent singulièrement sensibles à la valeur que les adultes attachent à leurs productions. Ils apprennent à déclencher les applaudissements. Des lors, faut-il s’étonner que les dessins enfantins, comparés a ceux d’il y a un demi-siècle, accusent une sorte d’académisme spécifique, agissant même de plus en plus tôt? Faut-il parler d’angélisme ou de singerie? C’es deux notions sont solidaires. Car le pouvoir créateur qu’on attribue de plus en plus laudativement à l’enfant tend par le fait à se réduire au mythe projectif construit par l’adulte comme contrepartie à sa propre stérilité. L’expression enfantine est en voie d’aliénation total à ce mythe 10“.

3. L’acqua gorgoglia, l’uomo segna

Il disegno, come sistema di segni, non é meno importante del linguaggio. Anzi, con esso é presente in tutta l’ontogenesi, ed é uno dei prodotti verificabili, tangibili, la prova materiale dello sviluppo della funzione rappresentativa, e della formazione dell’Io.
Troviamo questa massiccia presenza pure nella filogenesi. I primi segni ritrovati sono incisioni rupestri, pitture, graffi o graffiti. Anzi, esso lascia segni ancor prima della parola scritta. La sua antichità si perde nell’alba dell’uomo …
Ciò malgrado, come sistema di segni, soggettivamente, perde d’importanza man mano che il bambino cresce; é ben conosciuto il decadimento emotivo per il disegno, e ciò man mano che il ragazzo raggiunge nuovi traguardi nel realismo.
Ma perde anche d’importanza come funzione sociale, anche se la nostra realtà culturale impone massicciamente l’immagine come veicolo pubblicitario 11.
Nella scuola, addirittura, arrischia quotidianamente di essere relegato alla sfera del riposo: “quando hai finito l’esercizio puoi fare un disegno”, se non quello della coercizione o del ricatto: “non puoi disegnare fino a che non hai finito l’esercizio” 12.
Vuoi per esigenze di lavoro (mancanza di tempi sufficienti, di itinerari percorribili) vuoi per “scelte” metodologiche, l’intervento con l’allievo “prevarica” quello con il bambino. Il raggiungimento degli obiettivi di padronanza, raggiungimento evidentemente fondamentale per ogni alunno, rischia di comportare tempi sempre più ristretti per quelli che sono bene o male considerati degli svaghi (un riposo) iscritti nel limbo del superfluo. Quanto più questi obiettivi si allontanano dalle potenzialità dell’allievo tanto più si faranno sentire in tutto il loro peso, carico di ansia e frustrazione …
Allora il disegno, come già accennato, a scuola viene relegato in condizioni di realizzazione precarie (quando il bambino é stanco, quando ha finito qualcosa d’altro). Il disegno non diventa allora che un passatempo! Una prima salace conclusione é la seguente: certo il disegno é una “metafora della motivazione”.

Ma il desiderio del disegno equivale al desiderio della scrittura. Nell’intenzione del soggetto almeno, non vi é una differenza nel desiderio di lasciare una traccia personale. Allora scopriamo che:

  • cognitivamente, evolutivamente, la dimestichezza con i significanti cresce sia per il disegno che per il linguaggio scritto;
  • sempre evolutivamente e cognitivamente, la scrittura occupa lo spazio che era del disegno. Man mano che il bambino cresce lascia segni scritti (o l’istituzione scuola lo spinge in quella direzione) più che disegnati;
  • evolutivamente, emotivamente, la scrittura perde però lo spazio che era del disegno. Basti ricordare che le energie profuse nel disegno non vengono più messe nello scritto (per tanti bambini poi, la difficoltà di affinare la propria dimestichezza con i significanti, di precisare, migliorare potenziare le proprie tecniche, acquisire gli strumenti del conoscere comporta conseguenze funeste);
  • evolutivamente, il decadimento d’interesse per il disegno diventa un decadimento del “segnare”, vale a dire del lasciare segni della propria presenza. La maggiore affinità e dimestichezza con il linguaggio scritto, acquisita negli apprendimenti successivi, non portano automaticamente il bambino alla produzione di testi o alla sua lettura (ben conosciamo come i genitori si lamentino “ma non fate scrivere abbastanza mio figlio”, associati all’altrettanto noto: “mio figlio non legge mai”; oppure come dei docenti consiglino i genitori “deve leggere di più, fatelo leggere”).
    Il decadimento emotivo per il disegno é un decadimento emotivo per il segno 13.
    Se così non fosse oggi dovremmo scoprire molti testi spontanei 14.

4. Perché il realismo deve avere il sopravvento15?

Un sistema, un tempo, uno spazio di segni …
Ma allora scopriamo che quella del disegno non é che una metafora.
Metafora del segnare, del lasciare tracce del proprio passaggio, dove le vesti del disegno raggiungono quelle della parola scritta o orale; le possibilità residue del soggetto per manifestare, esprimere, narrare la propria soggettività.
Ma anche metafora dell’insegnamento reale, del suo messaggio; dell’economia sua. Quella della trasmissione di segni, di simboli o messaggi; delle narrazioni della presenza del soggetto e dello spazio accordato/occupato al/dal soggetto. Dello spazio ancora accordato al segnare.
Qual’é allora il senso (il disegno) del sopravvento del realismo?
Questo il senso vero dell’interrogazione: in questa doppia valenza della metafora-disegno, possiamo accordarci per uno spazio dove il soggetto possa narrarsi? e quale spazio deve essere?
Il discorso sul disegno, allora, oltre che essere un discorso legato all’individuo, indossa le vesti della cultura. Ma allora come leggere lo spazio del disegno – e del segnare – nelle sue pratiche culturali (antropologiche) odierne? Vale la pena ancora interrogarlo, nella relazione educativa e nel progetto d’istruzione, nell’operare quotidiano dell’insegnamento? ricuperarlo, per esempio per un fine preventivo, nell’operare quotidiano dell’operatore di sostegno? E il disegno può essere ancora considerato alla pari di una narrazione, se ha uno spazio così ridotto alla riproduzione più o meno realistica (di un modello anche astratto), all’idealizzazione e al consumismo?

5. Per concludere: tensioni

“Se nel quadro della società attuale non spetta al surrealismo la parte, oggi inevitabilmente confusionaria, dei maghi che crudelmente le fanno difetto (…) la sua parola d’ordine fondamentale, liberazione incondizionata dello spirito verso il meglio, non fa che dare, o restituire un impulso morale e poetico a ciò che, nel corso di tanti secoli, é stato l’auspicio della magia, il suo segreto in vari modi confessato, sempre minacciato e mai dissolto” 16.
“Vaglielo a spiegare (…) che quel ghirigoro che fai mentre parli al telefono, o un qualunque scarabocchio automatico, sono più carichi di fantasia di una retta, e rivelano stati d’animo quanto le famose macchie del Rorschach” 17.

Ho considerato disegno e scuola nell’ecologia del suo progetto educativo, che non é altro che lo specchio del suo rapporto con la società. 4 almeno sono le dimensioni attorno alle quali, e nelle quali, abbiamo gravitato. Varie sono le costellazioni di domande che ne scaturiscono.

1) In genere le concezioni del disegno infantile sono scisse fra due prospettive altrettanto parziali e portatrici di errori (paradigmatici) che ne impediscono talvolta una lettura appropriata e completa. Quella “romantica” considera il disegno come espressione di una creatività pura, quella “realista” o “metrica” lo considera solo sotto un punto di vista di copia e riproduzione del reale (da qui tutta l’attenzione psicometrica, le tappe del realismo, ecc …).

2) C’è una dicotomia fra la potenza euristica accordata dalla rappresentazioni sociali del disegno e i suoi tempi e spazi di realizzazione. In genere il disegno non é che raramente collegato a uno specifico progetto (pedagogico, psicologico. …). Piuttosto é lasciato fine a sé stesso, anche se si trova nella dimensione dell’estetica, o addirittura confinato negli spazi dell’esclusione (“quando hai finito potrai fare un disegno”, “fai un disegno che sei stanco”, ecc …).

3) C’è una dicotomia tra conoscenze procedurali e conoscenze testuali, come tra scienze del comportamento e scienze del testo. Questa dicotomia pesa quotidianamente nel lavoro educativo. Il peso tutto rivolto al prodotto,- che non è nient’altro che la dimensione antropologica nella quale si muove la cultura occidentale post moderna e post industriale – l’estrema attenzione rivolta alla riuscita, alla funzionalità sono il sinonimo di uno squilibrio che ci porta all’oblio del segno e del simbolo.

A) strumenti della conoscenza o rappresentazioni del mondo (contenuti della conoscenza)?
Partiamo dunque da questa premessa18: nella tensione fra i due poli, l’intervento scolastico si esaurisce (energeticamente, metodologicamente, concettualmente, culturalmente) tutto sul lato strumentale.
Il primato degli strumenti del conoscere, rispetto le rappresentazioni del mondo, sovente é così massiccio da portare l’intervento pedagogico alla rimozione del bambino. In tal caso, da centro dell’insegnamento il bambino diventa semplice strumento dell’apprendimento da pianificare. La sua storia, le sue storie, in fondo, non hanno più molta importanza, se non per meglio predisporlo ad apprendere. Invece di avere l’insegnamento centrato sul bambino, abbiamo il bambino centrato sul insegnamento. Invece di parlare di bambino parliamo di programmi e di obiettivi appresi o mancati.
In questo processo di acculturazione cosa rappresenta il punto d’arrivo? L’accento dell’intervento pedagogico a cosa e chi mira?
E non dimentichiamolo! Le rappresentazioni sociali e convenzionali del mondo indossano sempre più una sola veste, la veste del Pensiero Unico, unidimesionale …

B) disegno: scienza dei comportamenti o scienza dei testi?
Entrare nel dominio del disegno conduce rapidamente a una constatazione. Ad esso si ricollegano con altrettanti fili diretti i concetti seguenti: espressione, rappresentazione, visione e poi scrittura, progetto, finzione, simbolo, segno, immagine, narrazione, scenario e poi ancora immaginario e immaginazione
Come rappresentazione é luogo dei desideri, delle esperienze e conoscenze …
Come progetto, programma di segni, si pone sperimentalmente nei confronti dell’opera finita ora come anticipazione, ora come verifica.
Come scenario é uno spazio, un microcosmo che simboleggia il mondo, uno spazio dove diviene visibile ciò che abitualmente non lo é. Sulla scena avviene qualcosa, qualcosa si dice.
Ecco … Questi concetti sono lo stesso crocevia sul quale la scelta di privilegiare un paradigma piuttosto che un altro (per intenderci, quello comportamentale piuttosto che quello simbolico) non é neutra.
La questione si pone a partire dall’oblio del testo e del suo valore. Quando la scienza dei comportamenti fagocita la scienza dei testi? come avviene questo oblio che non é solo dato del individuo ma bensì antropologico? Quando l’attenzione al simbolo cade? quando viene perso il simbolo19?

4) Generalmente si considera che l’interesse infantile per il disegno decade con la crescita. Ciò sarebbe osservabile nella progressiva perdita di creatività. Purtroppo questo disinteresse non viene sostituito da qualcosa d’altro. Il sottoscritto considera che il disinteresse evolutivo per il disegno diventa realmente disinteresse del segnare, dunque anche dello scrivere.

La capacità semiotica – la capacità di lasciare segni – rende possibili le storie, di qualsiasi tipo esse siano, le narrazioni, i testi ed anche anche i miti. Il disegno, potremmo dire il segnare, ha tanta più forza quanto più ha potere “mitopoietico”.
Si può considerare che il decadimento emotivo per il disegno, così come osservato nell’evoluzione del disegnare dei ragazzi a scuola, é un decadimento emotivo per il segno? Ciò anche in considerazione del fatto che se tutti i cittadini sono alfabetizzati pochi leggono e scrivono realmente.
Ma allora questa “semio-tomia” nella quale é chiamato ad evolversi il soggetto può essere affrontata nella scuola? e come?
In questo contesto possiamo ancora considerare il disegno come una delle manifestazioni dell’Io? Oppure é l’Io contemporaneo ad essere diventato incapace di dare forza ai propri disegni? O, peggio, é nell’egemonia della sostantività procedurale propria all’antropologia occidentale (culturale, economica) che si assorbe tutto l’eros del soggetto?
Allora come leggere il disegno e il suo spazio nella cultura scolastica? Vale la pena ricuperarlo, per esempio per un fine preventivo, nell’operare quotidiano dell’operatore di sostegno?

Si può ancora parlare di disegno, quando ad esso viene accordato uno spazio così ridotto – dalla riproduzione più o meno realistica (di un modello anche astratto), dall’idealizzazione e dal consumismo – che é forse meglio definirlo, almeno nella scuola, come uno spazio della fedele riproduzione?
Al di là della “naturale crescita” (le tappe) – ma dovremmo ancora dissertare sulla natura/cultura del crescere naturale – perché il disegno viene ancora associato all’idea conservatrice della riproduzione della realtà, invece che dell’espressione del magico 20?
Come ricuperare le sue parole, quali itinerari vogliamo e dobbiamo intraprendere, tenendo conto che comunque siamo chiamati ad intervenire in una scuola?
Di-segnare, in-segnare … Se l’insegnamento é tale, esso é un”segnare in”; dare l’insegnamento, lasciare un segno, l’insegnamento stesso ha un suo disegno.
Eccolo … un nodo fondamentale per l’operatore scolastico.
Quello del “disegno” é un terreno fertile.
Scuola, bambino, docente … il disegno manifestazione di uno scenario? Ma allora se il disegno é uno scenario realizzato dal bambino qual é lo scenario istituzionale?

Ringrazio Carlo Darani, per le preziose conversazioni.

Bibliografia

AUBIN, H., Le dessin de l’enfant inadapté, Privat, 1970

AUBIN, H., Art et magie chez l’enfant, Privat,1971

BAJ, E., Ecologia dell’arte, Milano: Rizzoli, 1990

BATESON, G., Verso un’ecologia della mente, Milano: Adelphi, 1976

BRETON, A., L’art magique, Paris: Phébus et Adam Biro Editions,1991, trad. Italiana L’arte magica, Milano: Adelphi,1991

CORMAN, L., Il disegno della famiglia (3a ed.), Torino: Boringhieri,1981

FERRARIS, A.O., Il significato del disegno infantile (2a ed.), Torino: Boringhieri, 1978

FOUCAULT, M., Les mots et les choses, Paris: Gallimard, 1966

FONZI A. – NEGRO SANCIPRIANO E., La magia delle parole: alla riscoperta della metafora, Torino: Einaudi, 1975

GALLI G., Storie del disadattamento e topologie del cambiamento, in: GALLI G. (a cura di) Intrecci, sentieri, nodi: cambiamenti alle soglie del 2000, atti del 10° anniversario AOSSP, Locarno: ed. AOSSP, 1997

GARDNER H., Il bambino come artista. Saggi sulla creatività e l’educazione, Milano: Anabasi 1993

GEORGEL C., L’enfant et l’image au XX siècle, Les dossiers du Musée d’Orsay; Musée nationaux de Paris, 1988

GOMBRICH, E.H., Arte e illusione, Torino: Einaudi, 1965

GOODENOUGH, F., Le test du bonhomme, Paris: PUF, 1957

KANDINSKY, V., Punto, linea, superfice, Milano: Adelphi, 1968

KLEE, P., Teoria della forma e della figurazione, Milano: Feltrinelli,1959

LUQUET, G.H., Le dessin enfantin (3a ed.), Neuchâtel-Paris: Delachaux et Niestlé,1977

MARTIGNONI G., Normalità e funzionamento operatorio: “la malattia mortale dell’adattamento”, in: GALLI G. (a cura di) Intrecci, sentieri, nodi: cambiamenti alle soglie del 2000, atti del 10° anniversario AOSSP, Locarno: ed. AOSSP, 1997

MILANI DON, G., Lettera a una professoressa, Fiorentina,1967

MORIN E., La méthode, Seuil-Points, 1977

PIAGET, J., INHELDER, B., La rappresentazione dello spazio nel bambino, Firenze: Giunti Barbera, 1976

Programmi per la scuola elementare, Dipartimento Istruzione e Cultura, Bellinzona 1984

THÉVOZ, M., L’art Brut, Genève: Skira-Flammarion,1980

WATZLAWICK P., La réalité de la réalité, confusion, désinformation, communication, Seuil 1978

WATZLAWICK P., Change, Roma: Astrolabio, 1974

WILDLÖCHER, D., L’interpretazione dei disegni infantili, Roma: Armando, 1968

WINNICOTT, D.W., Gioco e realtà, Roma: Armando, 1974

WINNICOTT, D.W., Colloqui terapeutici con i bambini: 300 scarabocchi, Roma: Armando,1974


Note

1) Il concetto di “realismo” é stato utilizzato da G.H. Luquet (op. cit.) per indicare lo sviluppo del disegno nel bambino, in riferimento alle tappe successive di riproduzione “fedele” del reale (realismo fortuito, mancato, intellettivo, visivo). Così il disegno é studiato sotto uno dei suoi aspetti: quello della maggiore o minore precisione, fedeltà o supposto adattamento al modello reale. E’ dunque l’aspetto cognitivo-razionale che prevale in questo tipo di valutazione; esso può essere utilizzato come metodo diagnostico, nella valutazione della “maturità” del soggetto ritorna al testo.

2) Baj E., Ecologia dell’arte, Rizzoli, pag. 52 ritorna al testo.

3) Kandinsky V., Punto, linea, superficie, Adelphi, pagg. 7-8 ritorna al testo.

4) Per significanti intendo qui tutti gli apprendimenti (che siano aritmetici, come le 4 operazioni, o linguistici, come la capacità di leggere o scrivere). Questi apprendimenti devono o dovrebbero essere evidentemente rivolti ad altrettanti significati ritorna al testo.

5) Alla base di queste note c’é un’ipotesi di squilibrio. E questo squilibrio si manifesta in tutta la sua forza quanto più la scuola opta per un suo investimento nel campo dell’operatività procedurale a detrimento dell’operatività sostantiva.
E’ questa una dimensione che rispecchia le mutazioni antropologiche in corso nella cultura occidentale. Una mutazione epocale che investe lo stesso funzionamento e lo stesso adattamento societario del soggetto.
Funzionamento “normalmente operatorio” teso piuttosto ai saper fare, alle procedure, alla produzione, alle metodologie, piuttosto che alla costruzione di senso, di appartenenze (Cfr. a questo proposito: Martignoni G., Normalità e funzionamento operatorio: “la malattia mortale dell’adattamento”, in: Galli G. (a cura di), Intrecci, sentieri, nodi: cambiamenti alle soglie del 2000, atti del 10° anniversario AOSSP, Locarno: ed. AOSSP, 1997). “Anche qui vi é un sintomatico isomorfismo tra scuola e società operatoria che impone come detto una separazione netta tra vita emozionale e sapere pragmatico. Il mondo emozionale sembra non più servire all’adattamento societario e ai suoi bisogni tecnologici, é solo disturbo …” ritorna al testo.

6) Funzionale = che si riferisce alla funzione di un organo.
Secondo un approccio di questo tipo, che comportata talvolta un paradigma biologico (come lo é tutto il sottostrato concettuale del modello piagetiano), un organo, per svilupparsi e crescere, non ha bisogno d’altro che “funzionare”. Non é che il funzionamento, in altri termini possiamo dire l’allenamento, a permettere lo sviluppo di un organo. Ciò é sicuramente vero, senza allenamento non miglioriamo alcuna prestazione sportiva, ma insufficiente. La realtà dei décalages (ancora secondo il modello piagetiano) dimostra come altri elementi entrino in gioco nello sviluppo e nell’apprendimento.
E nella scuola vediamo pur molti allievi che, malgrado massicce dosi d’esercitazioni, non riescono ad acquisire un concetto, o nemmeno degli algoritmi aritmetici … ritorna al testo.

7) I termini di “disadattamento” e di “apprendimento” non sono due sinonimi intercambiabili. Piuttosto definiscono una relazione d’inclusione, tanto che l’apprendimento può essere considerato come la fase finale, risolutiva di un disadattamento. Specialmente considerando l’età evolutiva l’apprendimento stesso é da considerarsi come frutto di continui squilibri. Sono solo i nuovi problemi a porre la necessità di modificare le risposte abituali, a produrre nuovi accomodamenti; la contraddizione tra esiti anticipati e esiti verificati a modificare le proprie rappresentazioni.
La scuola e l’uso sociale di questa terminologia tendono però a separarli. Scopriamo un discorso per ognuno di loro. Un discorso del disadattamento e uno dell’apprendimento. Il primo: clinico, sociale, medico o altro, dovrebbe essere regolato negli spazi del sostegno pedagogico, dell’aiuto personale; il secondo: tecnico, strumentale, epistemico, … troverebbe il suo spazio naturale e normale nella classe.
Ma allora il disadattamento ha ancora uno spazio per essere considerato sintomo? un passaggio? Oppure é la sua stessa definizione sociale a immobilizzarlo? ritorna al testo.

8) Il realismo é “pronto a rispuntare in ogni momento di crisi della creatività, si fonda sull’equivoco di un’arte intesa (…) a imitare la visione del reale. (…) “L’imitazione del reale é una forma archetipica inevitabile”. Baj E., Ecologia dell’arte, pag. 227 ritorna al testo.

9) Thévoz M., L’art Brut, Skira, Genève, 1980, pag. 13 e 14 ritorna al testo.

10) Thévoz M., op. cit. pag. 14 ritorna al testo.

11) La perdita di funzione sociale é pari alla rapidità dei cambiamenti. Le immagini pubblicitarie sono costantemente rinnovate ed hanno la solo funzione commerciale. Piuttosto che di segni lasciati, possiamo parlare di consumo di segni. ritorna al testo.

12) Certamente la maggioranza degli operatori scolastici crede che il disegno sia importantissimo, vedi fondamentale, per la maturazione del bambino. Ma allora come interpretarne le condizioni di realizzazione?
Non c’é certamente niente di peggio per dichiarare un regime di scarsità. Lo scarso impegno, lo scarso interesse o la scarsa importanza concessi al disegno si manifestano in quegli atteggiamenti che lo relegano nei ritagli di spazio, nel superfluo, nell’accidentale o che ne fanno solamente un apprendimento di tecniche. ritorna al testo.

13) “L’alfabetizzazione insegna al bambino a leggere, ma non in modo generico, visto il rifiuto che nella più parte dei casi dimostrerà da grande per la letteratura”, Baj E., op. cit., pag. 52.
Capire meglio come mai questo desiderio di segnare viene a cadere in tanti bambini “disadattati scolastici” (e non solo quelli seguiti dai servizi di sostegno), come pure nei cittadini in generale (ad esempio analfabeti o analfabeti di ritorno, funzionali), questo il compito che desidero assolvere.
Il 7,6 % di cittadini della Svizzera italiana sono incompetenti nelle attività di lettura e scrittura, il 31% sono parzialmente competenti (Cfr. E. Maccagno, “Spazi di scrittura. Alcuni indicatori del fenomeno dell’analfabetismo nella Svizzera italiana”, Bellinzona, USR-DIC, 1993).
Un paradigma di tipo classico – che fa dunque capo a difficoltà tecniche e a insufficienze di apprendimento ed eventualmente d’insegnamento) é sufficiente a spiegare tali dati? Non credo. Se ambedue le sfere, quella della parola scritta e quella del disegno, sono testimonio del soggetto e le difficoltà incontrate sono certamente segni di difficoltà soggettive (che derivino da difficoltà strumentali, cognitive e/o evolutive), altri osservatòri devono essere presi in considerazione. Ci muoveremo allora sul terreno dell’antropologia: dell’egemonia dell’operatività nel mondo industriale post-moderno e osservata nelle dinamiche e pratiche sociali (a questo proposito vedi: Martignoni G., op. cit.). ritorna al testo.

14) Eppure la contaminazione tra scrittura e disegno oggi ri-appare con tutta la sua creatività. I graffiti (che tanti bambini delle scuole elementari imitano sui fogli di disegno) non sono che un esempio, del ritorno e del ricupero del desiderio di far testo.
Il loro terreno si situa però all’esterno della scuola, sui muri delle case o sui manufatti stradali. Questa contaminazione, comunque, non fa che mettere in luce le stesse origini del segno, ricordandoci che mai sono state così separate come nella cultura occidentale:
– l’origine semiotica comune, che si realizza in un significante, che sia segno o simbolo, convenzionale o meno;
– l’origine pulsionale comune, che é quella di lasciare una traccia. ritorna al testo.

15) Il realismo che prende corpo nelle produzioni del bambino non é il solo ad esistere. C’é pure un “realismo rassegnato” (sig!) del docente che talvolta é contraffatto o contrabbandato come “pragmatismo”.
Realismo = senso della realtà nella sua concretezza. Tende a rappresentare la realtà nei suoi aspetti detti concreti e sensibili (vale a dire é dominato dalla tendenza di riprodurre).
Pragmatismo = indica il prevalere di atteggiamenti o interesse presunti pratici, operatori, funzionali.
Surrealismo = espressione del pensiero al di fuori del controllo esercitato dalla ragione razionalizzante. S’ispira all’inconscio e alle sue manifestazioni.
E’ ancora necessario dimostrare che l’equazione: pragmatismo = realismo, é tutta ideologica? In fondo l’essere pragmatici dovrebbe condurci tutti dritti dritti e direttamente all’utopia, l’unica vera necessaria dimensione del vivere. ritorna al testo.

16) Breton, A., L’arte magica ritorna al testo.

17) Baj E., op. cit., pag. 29 ritorna al testo.

18) Non é questo il luogo per valutare quanto ogni singola realizzazione, ogni singola pratica dell’insegnamento reale corrisponda a questa descrizione. Il valore di tale premessa, prima che come eventuale critica dell’insegnamento reale, deve principalmente stare tutta nella sua ipotesi di lavoro. ritorna al testo.

19) A questo proposito rivedi l’intervento di G. in: Normalità e funzionamento operatorio: “la malattia mortale dell’adattamento”. ritorna al testo.

20) Cfr. A. Breton, L’arte magica. ritorna al testo.