Differenziazione dei programmi e prossimalità dell’apprendimento. Una breve discussione.

Premessa

Da qualche anno nella scuola ticinese sono state intraprese delle esperienze di differenziazione dei programmi. Ciò in materie differenti e con modalità talvolta collettive, talvolta locali.
Già nel passato avevo rilevato l’importanza della differenziazione come uno dei luoghi dell’innovazione pedagogica.
Non é mia intenzione contestare l’originalità e dissertare sulla pertinenza di ogni singolo tentativo, intrapreso dai docenti nelle varie sedi del cantone. Prenderò tali esperienze come dati di fatto, anche se non lo sono ovunque e comunque sono soggette a cambiamenti.
Mia intenzione é discutere alcune dinamiche connesse alla differenziazione; alcuni pericolosi e perniciosi tranelli metodologici: le premesse, o il contesto della differenziazione, se così posso dirlo. Tranelli riguardanti la filosofia dell’educazione, la psicologia genetica e evolutiva.
Evitare pericoli che toccano in pieno lo sviluppo stesso del bambino porta a precise scelte programmatiche all’interno del curricolo generato con bambini disadattati. Ma non solamente loro.
Questa “discussione” sarà svolta sotto la duplice ottica:
a) dell’operatore di sostegno pedagogico, vale a dire di regolatore del disadattamento;
b) di un approccio ecologico, un approccio che non sia solamente “epistemico”, vale a dire di sola normalizzazione rispetto le conoscenze da costruire.
Queste riflessioni, evidentemente, concernono non solamente la metodologia pedagogico-didattica e l’intervento degli operatori SSP. Investono in pieno, anche, la filosofia dell’educazione e l’organizzazione del lavoro scolastico.

Differenziazione e prossimalità

Le ragioni positive a sostegno di un approccio differenziato dell’apprendimento sono sicuramente conosciute e meriterebbero un apporto approfondito. Potrei provare a redigerne una lista; mi limito qui ad elencarne tre:
– il passaggio dalla pedagogia della compensazione alla pedagogia della differenziazione permette la programmazione in positivo del curricolo, con uno sguardo verso gli obiettivi possibili da raggiungere, invece che in termini di lacune rispetto ai programmi da colmare. Al paradigma e al metodo della mancanza (non sa fare questo e quest’altro) si aggiungono, o si sostituiscono, il paradigma e il metodo dei possibili;
– la presa in considerazione del livello del bambino, che favorisce un costante lavoro con materiali e strumenti cognitivamente prossimali in ogni ambito dell’apprendimento e non solo nella geografia del sostegno (che ha poi le coordinate dell’eccezionalità);
– la costruzione di itinerari programmati, con la necessaria attenzione alla successione logica, o “naturale” delle acquisizioni e dei concetti, attraverso una maggiore presenza delle conoscenze epistemiche nella preparazione dei materiali, vale a dire con una attenzione all'”ontogenesi” delle conoscenze.
Ma in un conteso di differenziazione dei programmi il problema a sapere é:
cosa vogliamo fare dei concetti di co-costruzione del sapere, di socializzazione del sapere e dell’apprendimento, di prossimalità dell’apprendimento?
Vale a dire: la differenziazione può veicolare modalità d’apprendimento negative, e quindi per esse controproducenti, se non addirittura anti-pedagogiche? Nel tal caso la domanda specifica diventa: quando la differenziazione diventa negativa, in quali condizioni di lavoro e con quale profilo cognitivo-funzionale dell’allievo?
In questa sede mi preoccuperò solamente degli aspetti istituzionali: le condizioni e l’organizzazione del lavoro dell’allievo. Una prima risposta allora può essere: quando oltrepassa la soglia dell’individualizzazione per diventare solamente una pedagogia dell’individualismo o del “solipsista”.

Una ipotesi di lavoro differenzialista estrema, o una esigenza elevata di differenziazione si avvera, non di rado, con bambini in grave ritardo(dunque utenti SSP), con una lontananza spinta rispetto le esigenze di programma e i requisiti minimi di padronanza e con grandi limiti di autonomia operativa (sono poi una parte degli utenti SSP).
Ebbene questi allievi si ritrovano così:
1) condannati a costruire tutto (o quasi) da soli (costruzione individuale dell’apprendimento);
2) isolarsi dal gruppo dei “pari” e dalla classe (e questo isolamento é tanto cognitivo quanto relazionale).
Ciò avviene quando si oltrepassa la soglia di un giusto equilibrio:
– tra costruzione interna e costruzione esterna del sapere,
– tra costruzione individuale e costruzione collettiva,
– tra costruzione e rielaborazione del sapere.
Volendo favorire lo sviluppo proprio a ogni individuo, rischiamo quindi di creare condizioni che lo frenano, isolandolo cognitivamente e affettivamente, attraverso la costruzione individuale sfrenata, imbrigliando la naturale disposizione a confrontare le proprie scoperte.

La grave conseguenza é evidente: c’é una zona di prossimalità dell’apprendimento (ma potrei anche dire nell’apprendimento) che non può essere vissuta. L’attuazione di progetti pedagogici non trova così una sua funzionalità nelle comunicazioni che i bambini intrattengono fra di essi, fra i saperi che si scambiano, così come le visioni, le ipotesi, ecc (non abbiamo solo a che fare con le discipline (ita e mate) e strumenti del sapere (capacità d’analisi fono-grafica, 4 operazioni ).
Limitando le occasioni di scambio, la comunicazione implode frantumandosi in micro-scambi senza continuità. L’apprendimento di strumenti del sapere manca di un motivo valido che lo giustifichi.
Questa della prossimalità é sicuramente una nozione centrale nella scuola, non solo in situazioni di disadattamento, per la sua forte valenza e potenzialità germinative.

La prossimalità definisce una zona (No man’s land) d’incontro/scontro:
incontro fra le proprie teorie, le proprie capacità e materiali nuovi, sconosciuti in quanto non afferrati. E’ la possibilità di cogliere una novità, se questa garantisce un minimo di comunanza;
si definisce attraverso la vicinanza cognitiva, attraverso strumenti di scambio e confronto con il gruppo: l’argomentazione, la contraddizione, ecc … quindi incontro fra le proprie teorie e quelle degli atri;
se la novità é cognitivamente troppo distante dalle potenzialità del soggetto questa non potrà essere colta.
Ma la prossimalità non é solo cognizione.
E dove la si realizza?
Ma attraverso la contraddizione cognitiva (sia interna che esterna) con le conseguenti equilibrazioni, la co-costruzione e l’argomentazione.
I concetti elencati precedentemente rappresentano altrettanti veicoli dell’apprendimento, del confronto e della messa in comune del sapere e degli apprendimenti. Da un lato costituiscono uno stimolo sociale, uno stare assieme agli altri, una ragione di confronto e di valorizzazione, ma da un altro lato anche un cemento sociale.
La conversazione é il sale della vita.

In quest’ottica rimangono aperti i problemi seguenti:
– il primo a sapere se e come ridurre la distanza cognitiva;
– il secondo dove cercare e perseguire questa prossimalità.
Se la bocciatura viene occasionalmente vista come strumento per ridurre la distanza, non risolve e non affronta l’attivazione della prossimalità.
Senza affrontare in questa sede questa costruzione vorrei solo ricondurre l’attenzione agli ingredienti di questo progetto. Esso deve senz’altro fondersi su delle conoscenze non normative, conseguentemente nella comunicazione e nello scambio; non tanto sugli strumenti del sapere (che saranno investiti in azione, funzionalmente al contenuto).
Lavorando in questa maniera diventeremo quegli agenti di normalizzazione delle relazioni e della sfera sociale già adesso troppo squilibrata verso l’individualismo e la competizione.
In verità la costruzione di zone prossimali é uno dei compiti principali dell’operatore SSP; e uno dei vettori nella gestione del disadattamento in classe. Sono proprio queste che favoriscono al bambino la costruzione della propria soggettività.

Aggiunta: alcune brevi specificazioni.

Per approfondire il concetto di spazio prossimale o zona prossimale di sviluppo bisogna riferirsi a L.S. Vygotskij.
Questo concetto vuole definire una zona ma anche delle condizioni dell’apprendere. Questa zona e queste condizioni si osservano e si realizzano essenzialmente attorno alla distanza tra conoscenze del bambino (a quale punto del programma, sviluppo, stadio o quant’altro é arrivato) e conoscenze che deve ancora apprendere. Se il livello di quest’ultime é troppo distante dal livello raggiunto dal bambino ecco che ogni intervento pedagogico-didattico si vanificherà nella valutazione negativa del bambino: é ignorante, non riesce ad apprendere, non s’impegna, ecc
Potremmo dire, solo per esemplificare: come vi sono degli stadi di sviluppo, ci dovrebbero essere degli stadi nelle materie; a ogni stadio dello sviluppo deve corrisponderne uno nei programmi, dove il calendario dei nuovi insegnamenti non rincorre il programma ma rispetta il ritmo dell’individuo
Trattiamo allora della definizione del possibile e del necessario nell’apprendimento.
Possibile: quanto il bambino può apprendere di nuovo (nella quantità delle acquisizioni, ma anche dalla qualità, il livello per intenderci).
Necessario: quanto il bambino deve assolutamente ritrovare di “vecchio” nella proposta, per non sentirsi in alto mare e credere di non sapere più nulla.

Il “conflitto cognitivo” é un concetto sviluppato dalla scuola di psicologia sociale ginevrina e ripreso da varie psicologhe e psicologi in Italia.
Si riferisce a situazioni ove il bambino viene messo o si trova in contraddizione (alle sue rappresentazioni se ne contrappongono così delle altre). L’interesse del conflitto sta nel fatta che le rappresentazioni, o gli schemi operatori, dei bambini in confronto tra di loro, passano da un livello inferiore a uno superiore. Dunque sarebbe il confronto con altri che porta al superamento di sé stessi. Il modello teorico sottostante a questa idea considera che il bambino impara grazie a questi confronti: la contraddizione é il motore e l’insegnamento (l’apprendimento) sarebbe ben poca cosa senza di essi.
Con il concetto di “co-costruzione” si vuole ricordare e dimostrare la valenza euristica del confronto tra i bambini. In particolare due sono i punti forti: il sapere della classe é superiore al sapere dei singoli bambini; e, quello che ci interessa attualmente, i bambini costruiscono meglio e di più interagendo tra di loro (da qui l’importanza degli approcci attivi della argomentazione, nel senso che questa sia diretta dal docente e non lasciata al caso, pur non essendo costrittiva).
Se l’apprendimento si realizza nelle relazioni: con il docente, con i compagni ma anche con la realtà, é un dialogo con ognuna di queste comparse. E’ per questo dialogo che si fa e non fine a sé stesso.


il presente articolo è stato pubblicato ne:
P & E, psicologia & Educazione, rivista dell’Associazione Svizzera di Psicologia dell’Età Evolutiva, 2,23, 1997, Solothurn