L’APC e la socializzazione: gioco, gioco motorio, gioco sociale – solitudine
Tratto da: Giovanni Galli, Quando il ludico delude. Note sulla socializzazione primaria del bimbo APC.
Il gioco ed il giocare sono un luogo di costruzione di scenari.
Si può considerare l’isolamento, il giocare solo, con se stesso, come una difficoltà della costruzione e immaginazione di un scenario soggettivo, ciò in assenza di un obiettivo comune da raggiungere per i membri del gruppo ludico?
Una impossibilità di giocare assieme, perché lo scenario del bambino normativo non si aggiusta allo scenario del bambino APC e non lo soddisfa?
Non è data a tutti noi, la facoltà di sceglierci i compagni ed i gruppi a noi più congeniali?
Questa problematicità scenica alimenta quindi una relazione che si costruisce con difficoltà.
I bimbi APC, considerata la natura del loro funzionamento neuropsicologico
(precocità, arborescenza), durante la loro infanzia, dovrebbero stabilire e vivere un legame sociale, molto più produttivo della generale esperienza degli altri. Come indica Esteban Levin, va considerata la funzione dell’amico, che nell’infanzia svolge un ruolo fondamentale in tutte le acquisizioni infantili, soprattutto nell’esperienza del bambino e nella “plasticità simbolica” (La experiencia de ser nino. Plasticidad simbolica,
Buenos Aires, Nueva Vision, 2010).
Costruire il pensiero con questo “altro simile” è essenziale. Ben intesi, la posta in gioco non è il plusdotato o la plusdotazione, ma il rapporto con gli altri, vale a dire ciò che accade “tra due” soggetti, e l’esperienza che lì si può vivere in relazione al desiderio e allo sviluppo infantile.
Nella storia di Collodi, Pinocchio, diventato asino, viene buttato nel mare. Perché non affoga?
In concreto, la mia idea principale è perché ha imparato a giocare. Nel mondo globale di oggi, sicuramente la scuola ha un ruolo centrale di strutturazione del legame sociale, ben al di là di un luogo di conoscenza e di apprendimento.
Ma forse per il bimbo APC questo legame sociale non può essere strutturato in maniera adeguata, in mancanza di un legame (più produttivo, o accattivante, o desiderante) di uno scambio che lo accomuni agli altri.
Per questo, nel nostro lavoro quotidiano, dobbiamo immaginare come può essere strutturato lo spazio mentale del gioco sociale nella scuola dell’infanzia.
Al proposito principale: i bambini APC non giocano con gli altri bimbi, o giocano male, dove il “giocare assieme” significa fare la medesima cosa, bisogna sovrapporre quest’altro proposito: “Quel determinato gioco che osservo, è abbastanza seducente per il bimbo APC, oppure me lo tiene semplicemente ed unicamente occupato”?
In prima linea va interrogata l’idea stessa del gioco (in generale): l’idea soggiacente del gioco, vale a dire, la rappresentazione che gli operatori scolastici ne hanno.
In secondo ordine bisognerà interrogare concretamente l’idea del gioco sociale.
Mi spiego con due metafore.
a) Il portiere di una squadra di calcio socializza con i suoi compagni di
squadra?
In realtà, il suo ruolo e la formazione sono molto specifici. Invece di segnare
gol, deve fare attenzione a non soffrire, ecc …
A volte, nello sviluppo dell’azione, il suo ruolo è più distaccato e attento.
Ma quando saprà bloccare la palla, porterà il pubblico in estasi.
Addirittura, dal punto di vista dello spettatore, essendone fuori dal campo
percettivo, il portiere occasionalmente non partecipa nemmeno al gioco della squadra, (se la sua squadra poi passa maggior parte del tempo all’attacco, si rischia pure di dimenticarlo). In verità lo spettatore guarda dove va la palla, non guarda la posizione del portiere e che cosa fa.
b) I Puffi si uniscono contro Garganella. Nessuno pensa che il Puffo
brontolone debba essere come il Puffo carpentiere o diventare come il Puffo quattrocchi. Ognuno ha un proprio ruolo, socializzando nel villaggio,
difendendolo contro Gargamella, costruendo e partecipando alla vita
comunitaria.
A prescindere dalle loro caratteristiche di personalità, i Puffi sono fra loro così uguali, che non si riconoscono l’uno dall’altro. Ma nessuno vorrebbe prender i posto di un altro.
Così la realtà della socializzazione non è quella di fare tutti la medesima cosa, quanto avere un obiettivo comune. Ognuno sviluppando la propria capacità di immaginare uno scenario, concorre con le proprie azioni. Ciò che unisce il portiere ai suoi compagni non è il fare la medesima cosa, quanto il partecipare e concorrere ad un obiettivo comune. Per i Puffi si tratta della medesima cosa.
Attorno all’idea del gioco e del gioco sociale, prevale una idea troppo “imitazione motoria”, poco rappresentativa. Nell’osservazione del gioco, prevale un approccio senso motorio. Nel gioco motorio tutti fanno la medesima cosa. Con un approccio più simbolico il gioco del rimpiattino richiama invece ognuno alle proprie fantasie.
Ci si può avvalere del passaggio evolutivo, dal pensiero senso motorio al pensiero simbolico, come paradigma della nostra osservazione dei giochi dei bambini.
Probabilmente la prevalenza di questa idea motoria del gioco costruisce (socialmente) la solitudine di taluni bambini APC.
E non per nulla. L’età di cui ci occupiamo segna propriamente l’avvento della funzione rappresentativa, il suo sviluppo, le prime esperienze sociali (i bimbi cominciano a giocare veramente assieme verso i 4 anni).
articolo intero: https://giovannigalli-ch.com/quando-il-ludico-delude-note-sulla-socializzazione-primaria-del-bimbo-apc/