A noi non interessa una indagine sulla competitività (PISA) delle scuole ticinesi a me interessa un’osservazione sul classismo scolastico
– Un genitore di un’allieva bocciata.
Introduzione
Scuola classista, scuola di classe, democrazia degli studi, ecco tre analoghe definizioni, tre altrettanti concetti che, al di là di qualche ricerca e di qualche articolo, oggi dimostrano una realtà forse rimossa.
Si tratta del destino degli allievi a scuola, del loro destino, dello loro opportunità di formazione e delle loro opportunità di riuscita. Opportunità di formazione e di riuscita che non sono uguali per tutti. Opportunità che sono sempre e ancora direttamente dipendenti dalle origini degli allievi.
Le molteplici storie, tutte un po’ differenti, la complessità dei curricoli odierni, tra emigrazioni, nuove povertà, problemi sociali, sfruttamenti, famiglie disgregate ecc … dicono una sola cosa: per riuscire bene a scuola è meglio se sei un figlio di ricchi.
Non è certamente una novità. Ma vale la pena ribadirlo, troppe rassegnazioni fanno strage di quella realtà.
Per me era un dovere redarre questo testo. Ho cercato così a mio modo di dar corpo all’invito del genitore citato qui sopra.
Ci riferiremo quindi alla scuola dell’obbligo e alla scuola elementare.
1. Gli stupidi e le colpe
Una delle opinioni correnti dice che “ci sono sempre stati degli stupidi”.
Detto da loro (dagli “stupidi”, dalle loro madri, dai loro padri, sorelle e fratelli) ciò ci indica quanto hanno potuto ben interiorizzare la lezione: rassegnarsi e vedere i propri figli selezionati, bocciati …
Detto da coloro ai quali l’accesso agli studi superiori è assicurato indica come ogni cosa sia sempre e solo strumentale.
Come determinare l’ambiente d’origine degli allievi? Come sapere se tale ambiente è più o meno favorevole? [1].
L’esperienza dei genitori, la loro energia residua dopo una giornata di lavoro, le loro finanze: con le relative possibilità d’acquistare libri, dischi, DVD, accedere a internet, biblioteche, concerti, cinema, teatri, ecc …, ma come pure di iscrivere i loro figli a società sportive, o a scuole di musica, o a scuole teatrali, … la lingua parlata, la grandezza dell’appartamento, la possibilità di viaggiare regolarmente in paesi più o meno esotici, e così via … questi sono altrettanti fatti concreti che determinano la ricchezza sociale, culturale e formativa dei nostri ragazzi.
In genere negli educatori benpensanti prevale una tendenza colpevolizzante: ma non vedi che non si occupano dei loro figli; ma cosa vuoi da gramigna nasce gramigna …
I genitori esprimo invece un mal nascosto fatalismo; vero e proprio inconscio coniuge (con relativa dote di vergogna e sensi di colpa) – oramai è così, cosa ci possiamo fare, anche io ero così a scuola.
L’idea prevalente corrisponde alla colpevolizzazione pedagogica: “è colpa dei genitori che non si occupano dei loro figli”.
Solamente un osservatore disattento, ignorante, o in malafede, potrà o vorrà confondere i destini individuali con le opportunità sociali di riuscita;
oppure mescolare le storie personali con le determinazioni sociali, confondere il piano clinico con quello sociale.
2. Scuola pubblica ma formazione privata
La formazione è oggi un lucroso affare (privato), dominato dal privato e dove la scuola è presente solo in minima parte. Oggi si confondono la formazione con la scuola, come se fossero la stessa cosa. “L’etimologia stessa della parola “pedagogia” implica un concetto restrittivo del processo di costruzione dell’individuo. In questa accezione, la pedagogia sarebbe limitata: sia nella sua durata, sia nel suo contenuto. Nella sua durata, perché la sua azione andrebbe dalla nascita alla fine (più o meno tardiva) dell’infanzia; nel suo contenuto, perché essa si ridurrebbe all’insieme delle azioni intenzionalmente esercitate da disparate istanze educative, tese ad assicurare la condotta del bambino”[2].
Tutti gli specialisti ne convengono: oggi impariamo molte più cose fuori scuola che non dentro (a seconda delle opinioni dal 50% al 80% delle cose vengono imparate fuori)
Oggi la realtà è infinitamente più ricca e stimolante di quella diciamo di 20 – 30 – 40 anni or sono: radio, cinema, TV satellitare, giornali, internet, ecc … bombardano il nostro quotidiano
Suonare uno strumento, andare a teatro o al cinema, recitare in un teatro, cantare in un coro, giocare a scacchi, esercitare una disciplina sportiva, realizzare un DVD, visitare un museo o andare per esposizioni … sono altrettanti momenti, altrettanti luoghi e altrettante occasioni formative. Far parte di una squadra permette di imparare qualcosa sul piano della collaborazione, delle relazioni … e anche della geografia quando si va in trasferta. Partecipare ad una recita rinforza l’individuo sul piano dell’espressività, della mimica, della memoria, ecc …
Chi si sente di negare che questa ricchezza formativa determina per una grande percentuale la riuscita scolastica?
Ebbene quelle sono tutte occasioni importanti e decisive per la formazione.
Eppure queste sono offerte dove il privato regna signore e padrone!
Privati e società reggono le lezioni di musica, di sport, di teatro, ecc … L’accesso classista alla formazione è dunque così assicurato a coloro che possono pagarselo.
Chi può permettersi dei corsi di ippica? Chi va a giocare a calcio? (basta guardare i cognomi della nazionale sempre più multiculturale). Quali ragazzi suonano uno strumento musicale?
Oggi la scuola è pubblica, ma la formazione è in larga, abbondante e talvolta predominante misura privata! Altro che uguaglianza delle chances [3].
Ecco, dire che la scuola è classista significa affermare una verità lapalissiana, un po’ come scoprire l’acqua calda.
Scuola classista significa che la scuola non riesce (o non vuole) colmare le differenze tra gli allievi. Classista significa che la riuscita scolastica dipende dal censo dei genitori. Al di là della bocciatura (che colpisce in maniera relativamente marginale nelle scuole elementari, perché pochi sono gli allievi bocciati), la selezione è impietosa e colpisce fortemente i figli dei ceti bassi.
Classista significa (oggi) che si preoccupa di dare una minima parte comune a tutti, per l’appunto quella pubblica, lasciando aperte le porte al privato a tutto il resto …
3. Occhio non vede cuor non duole?
E’ ancora necessario dimostrare il carattere classista della scuola? In verità così non dovrebbe essere. I dati a proposito non mancano. Ma ancora oggi però molti trattano della scuola in termini ideologici. L’egemone impostazione neo-liberista si è imposta nelle scuole con un impatto prevaricatore:
la razionalizzazione delle risorse, in concreto, ha visto la diminuzione dei budget per le scuole e un aumento dei costi per le famiglie, ecc …
ma da un punto di vista pedagogico la razionalizzazione e l’ottimizzazione delle risorse si è tradotta in impostazioni vieppiù neo-comportamentiste e cognitiviste dei curricoli didattici. Non per niente alla pedagogia della differenziazione si associano volentieri dei discorsi e degli interventi legati alla razionalizzazione e alla ottimizzazione.
Per coloro che (ancora oggi) trattano della scuola in maniera ideologica, dimenticando i determinismi sociali della riuscita, determinismi concreti e quotidiani, si tratta (come sempre) di riportare la pedagogia sul piano della prassi.
Considereremo così alcuni dati a partire dalla scuola elementare sino al liceo. L’accesso al liceo è il prodotto di quanto assemblato nella scuola dell’obbligo.
Primo
In una indagine del Provveditorato di Modena nel 1991 (riportato in G. Stella), condotta attraverso 8000 questionari rivolti ad insegnati di scuole elementari e di scuole medie, si osserva come il percento degli allievi bisognosi di un aiuto esterno, secondo le opinioni dei docenti (nota bene si tratta di opinioni e non di diagnosi) aumenti costantemente: dal 12,88 % di allievi della scuola elementare si arriva al 23,4 % della scuola media.
Indagine condotta presso gli insegnanti
Classe | S.E. % | S.Me. % |
Prima | 9,9 | 22,8 |
Seconda | 12 | 24 |
Terza | 13,5 | 24,1 |
Quarta | 14,2 | – |
Quinta | 14,8 | – |
Percentuale media | 12,88 | 23,4 |
Nota: in Italia le medie vanno fino alla terza
Malgrado ciò il numero di bambini che presentavano una difficoltà di apprendimento specifico – (con una indagine svolta con strumenti diagnostici a valore oggettivo) sono molto più ridotti: da 1,8 % al 6 % a seconda del disturbo specifico.
Indagine prove oggettive
Area di competenza | S.E. % | S.Me. % |
Lettura | 3,8 | 3,6 |
Comprensione testo | 1,8 | 2 |
Scrittura | 4,1 | 4,5 |
calcolo | 6 | 5,3 |
Questa differenza si spiega ricordando il senso che assume il disturbo specifico di apprendimento (DSA): si tratta di una difficoltà endogena indipendente dagli influssi ambientali. Difficoltà che può poi essere ampliata (o mitigata) da un approccio pedagogico in/appropriato.
Il gap, fra le prove “oggettive” e quelle relative all’indagine presso i docenti, viene a spiegarsi attraverso l’incidenza di fattori ambientali: quali il cattivo insegnamento, le condizioni socio-culturali, i problemi affettivi, relazionali, ecc …
L’indagine indica che il disagio scolastico manifestato dagli allievi non coincide con delle vere e proprie difficoltà di natura specifica, ma è espressione di problemi di natura diversa. Problemi che provocano forti ricadute nelle prestazioni scolastiche, pur essendo di natura diversa.
Le difficoltà oggettive invece, non aumentano con l’età, a differenza di quanto rilevato con l’indagine presso i docenti. Sono indipendenti dal contesto scolastico e dal livello evolutivo raggiunto.
Questa indagine indica che ci sono allievi a disagio in quanto portatori di difficoltà endogene di sviluppo. Queste sono i DSA, come sono descritti nei manuali diagnostici quali il DSM-IV o l’ICD-10. Vi sono poi altri allievi a disagio che non presentano ragioni interne (endogene) che spieghino tali difficoltà, ma con cause riconducibili a influenze ambientali (ambiente educativo, relazionale, socio-culturale, ecc …).
Ebbene, la distinzione tra disturbi specifici ed altri disturbi dell’apprendimento è fondamentale.
Tutte, tutte le forme di disagio comportano dei disturbi, vale la pena ricordarlo. Il concetto di “oggettivo” si riferisce a un quadro nosologico circoscrivibile e circoscritto secondo criteri di tipo medico. Ma le forme non specifiche sono anch’esse dei disturbi! (e la distinzione è importante per meglio definire quelle che saranno e devono essere le forme di aiuto) [4].
Secondo
Origine socio-culturale degli allievi e livello di padronanza raggiunto in matematica alla fine dell’anno (Dimat) [5].
Classe 3 (indagine su quattro classi del cantone Ticino)
Livello socio-economico | |||
Basso | Medio | alto | |
Scarto dalla media | – 5,14 | + 1 | + 4,14 |
Classe 5 (indagine su sette classi del cantone Ticino)
Livello socio-economico | |||
Basso | Medio | alto | |
Scarto dalla media | – 4,15 | + 0,68 | + 3,47 |
Ebbene sia in terza che in quinta S.E. i ragazzi di estrazione sociale più bassa, cumulativamente, non raggiungono la media della classe e si situano rispettivamente 9,28 e 7,62 punti sotto i ragazzi di livello superiore.
Terzo
Riuscita in mate e lingua d’origine.
Se consideriamo il rapporto tra lingua madre, livello socio-economico constatiamo che nella popolazione considerata le percentuali di alloglotti nei rispettivi gruppi sono del 46,67% nel gruppo basso, 28,57 nel gruppo medio, 13,16 nel gruppo alto.
Il ceto basso ha una maggiore rappresentanza di alloglotti e di risultati in mate sotto la media.
Quarto
Le note di italiano a fine anno [6].
La media cumulata in tre classi di 5 elementare (59 allievi) vede una differenza tra basso e alto ceto della nota di 0,93.
Quinto (alle medie)
Se l’8% degli Svizzeri non va oltre la scolarità obbligatoria, gli stranieri sono il 23% [7].
“Nella primavera del 1988 3/4 degli adolescenti stranieri desideravano effettuare un apprendistato, contro i 2/3 degli svizzeri. Ma mentre i 2/3 degli svizzeri aveva il posto assicurato, solo 1/3 degli stranieri ha ottenuto una promessa d’impiego nel settore prescelto” [8].
Sesto
Il 62% degli svizzeri italofoni ha frequentato tre livelli 1 (esigenze estese), nella scuola media,
il 22 tra gli altri allievi stranieri non italofoni.
Settimo
“Tra gli stranieri non italofoni poco più della metà ha un ritardo di un anno, un quarto di 2 anni e l’8% di tre anni” [9].
Come dire che solamente un quarto degli allievi stranieri non italofoni non ha bocciato!
Per contro in “Genitori ed aspettative scolastiche”, ricerca precedente al rapporto appena citato, viene già osservata la molto forte correlazione fra origine sociale e riuscita scolastica.
L’autore afferma che le origini sociali determinano di per sé aspirazioni e percorsi diversi: “parlare di ambizioni e rassegnazione sociale non sembra impertinente”. “La chiave di lettura del fenomeno è la nozione di rappresentazione anticipatrice, per cui la realtà finisce con il conformarsi con le caratteristiche preventivamente attribuitele dalla famiglia”[10].
Gli autori di una ricerca condotta a Ginevra si chiedono come mai alcuni bimbi di bassa estrazione riescono ed altri no.
I risultati mettono in luce che i ragazzi con poche possibilità di riuscita provengono da famiglie poco integrate socialmente e che intrattengono poche relazioni con il vicinato, il quartiere e la scuola in particolare. I genitori vivono “Un sentiment d’incompétence en ce qui concerne le domaine scolaire de l’apprentissage. Ils considèrent fréquemment les difficultés scolaires rencontrées par leur enfant avec fatalisme” [11].
Ottavo
Il 20% dei maschi e il 12% delle femmine quindicenni in Ticino escono dalla scuola media con “competenze (che) non sono sufficienti ad assicurare in modo indipendente sapere e conoscenze specifiche” (Bravo chi legge)..
Complessivamente il 15% dei quindicenni esce dalla scuola con gravi difficoltà di lettura.
Un terzo degli allievi che hanno terminato la scuola dell’obbligo in Svizzera non é in grado di comprendere un testo semplice, il 20% ci riesce a mala appena (Pisa 2000 Programme for International Student Assessment). Uno studio condotto dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) sugli abitanti della Svizzera, in età compresa tra i 16 e i 65 anni, ha confermato questo dato di fatto. Il 9,1% della popolazione autoctona e il 63% degli immigrati rientrano nella categoria con più gravi problemi di lettura e scrittura.
Un fatto appare evidente: per avere successo a scuola é meglio avere genitori svizzeri e colti.
I migliori risultati sono stati ottenuti da giovani cresciuti in un ambiente propizio, dove i genitori vantano una solida formazione culturale ed esercitano un’attività professionale ben remunerata e di alto prestigio sociale. La metà degli allievi figli di immigrati hanno invece riscontrato notevoli difficoltà. I problemi tendono infatti ad acuirsi quando alla scarsa formazione del contesto familiare si aggiungono l’insufficiente conoscenza della lingua d’insegnamento e la poca dimestichezza con la cultura locale [12].
La Svizzera appartiene poi al gruppo delle nazioni dove lo status professionale dei genitori incide maggiormente sulle prestazioni degli allievi.
Nono
Al liceo gli allievi CH sono l’87,8%,
alle SE sono il 72,1%,
alle Sme sono 71,4%,
nelle scuole professionali il 74,0%,
negli apprendistati il 64,3%.
La nazionalità d’origine influisce sulla transizione dalla scuola dell’obbligo al liceo. “La via degli studi liceali, e più in generale quella delle scuole medie superiori, sembra essere seguite dai ragazzi svizzeri piuttosto che da chi proviene da altri paesi, che opta maggiormente per l’apprendistato” [13].
Sempre al liceo solo un allievo su dieci (il 10,8%) è di origine sociale inferiore. “Nei licei gli allievi di origine sociale superiore sono nettamente sovrarappresentati, mentre coloro che provengono da famiglie di classe inferiore sono sotto rappresentati. Le classi medie sono leggermente sovrarappresentate” [14].
Decimo
E’ importante infine rilevare che “una volta approdati al liceo, le possibilità di riuscita degli allievi di nazionalità diversa di quella svizzera o italiana (cioè originariamente non italofoni) hanno le stesse possibilità di riuscita degli svizzeri: il che mostra che là dove, per un motivo o per un altro, l’integrazione linguistica riesce, anche la nazionalità non ha più nessuna influenza sul successo o sull’insuccesso scolastico” [15].
La quadratura del cerchio sembra essere così stata scoperta: la democrazia linguistica sembra essere infine realizzata al liceo in quanto la lingua madre originaria non è più una variabile fonte di insuccesso. Ma al liceo gli studenti non CH che approdano sono una minoranza!!
4. Il numero degli allievi per classe
Il numero delle ricerche scientifiche sull’esito scolastico relative al n° degli allievi per classe è molto ridotto. Poche sono quelle che riescono a controllare le molte variabili in gioco.
Tale riduzione è stata oggetto, e lo è ancora, di convinzioni sbagliate; da vari anni è poi di buon tono affermare che non è determinante. Ma se ciò è magari vero per la riduzione da 30-40 allievi a 25, ciò non lo è per la riduzione da 20-25 a 15 alunni.
Il programma STAR (Student-Teacher Achievement Ratio) sviluppato nel Tennessee nel 1985 e poi ripreso in seguito per esempio dal LBS (Lasting Benefit Studio), ha valutato l’influenza della numerosità della classe confrontando longitudinalmente lo sviluppo del rendimento degli allievi in varie classi ridotte (13-17 allievi) con altre classi “normali” (22-25 alunni).
Ebbene i risultati sono decisamente importanti visto i benefici osservati.
Nico Hirtt [16] fa notare come:
“La riduzione della dimensione degli scolari effettivi nei primi anni di insegnamento è un fattore cruciale, bello e buono, di riuscita scolastica”. In verità il confronto fra classi ridotte e classi “normali” è vinto dalle prime sia in lettura che in matematica.
“Gli effetti della riduzione delle classi sono durevoli e sembrano perfino aumentare nel corso degli anni di studio”. In verità gli allievi che hanno vissuto per 4 anni nelle classi piccole accumulano un vantaggio di un anno in matematica, lettura e scienze.
La riduzione della dimensione della classe permette di ridurre considerevolmente gli scarti tra bambini di diverse origini sociali”. In verità se tutti i bambini hanno avuto un beneficio, questo è maggiormente sviluppato per i bambini di estrazione bassa. A questo riguardo si fa notare come gli allievi hanno migliorato ed amplificato le comunicazioni, come pure gli ponevano maggiori domande, alle quali il docente rispondeva con maggiore efficacia.
5. Breve commento
In verità il sistema d’istruzione attuale determina (o sovradetermina?) la formazione dalle offerte in forma privata.
Determinare (o sovradeterminare?) la formazione in forma privata è segno chiaro segno di segregazione (o, se preferite, di esclusione) …
Molti sono gli studi che dicono come la riuscita scolastica dipenda molto dalle esperienze esterne, extra-scolastiche, dalle riuscite o mancate forme di socializzazione ed integrazione, dall’aiuto dato alle famiglie in situazioni extra scolastiche [17], …
Non per niente si parla della forte incidenza dei peer effect (effetti ambientali) nei processi di formazione.
Il sistema d’istruzione attuale presuppone:
- La continuità educativa tra famiglia scuola. In verità si dovrebbe parlare di discontinuità (o si dovrebbe descrivere dove, come e quando questa continuità possa esistere). Da un lato, si considera la famiglia come una istituzione collaborante (o accondiscendente); parificando o uniformando di fatto tutte le famiglie a un modello epigenetico del tutto astratto e ideologizzato. Un modello che prevede dei genitori accomodanti, attenti, che ascoltando e capiscono, che hanno presa sui loro figli e che abbia i mezzi per intervenire attivamente sulla loro istruzione [18]. D’altro lato, la famiglia (quella vera, quella concreta, non quella che si rifà a un modello astratto) deve darsi da fare per occupare i ragazzi nel dopo scuola, nei prati o nelle società sportive, oppure sperare nei ricuperi tramite le lezioni private [19].
- L’offerta di una struttura di formazione di base (oggi leggasi risparmia), che in realtà si rivela insufficiente (una struttura ridotta, nel tempo, negli spazi e nei costi). Quella che vede accanto a sé un crescente e promettente mercato del cosiddetto tempo libero. Offerta che si basa su uno iato e una contraddizione crescenti. La scuola è chiamata ad assumersi sempre più oneri formativi e sociali (dall’educazione sessuale all’educazione ai media, dalla gestione dei casi sociali a quelli comportamentali, ecc …) senza che al suo interno si vedano creare o formarsi nuove professionalità (l’unica in questi ultimi 20 anni sono i vari servizi di sostegno venutesi a creare secondo modalità differenti a seconda delle regioni) [20].
- Un processo di apprendimento eccessivamente improntato al principio della prestazione o del successo finisce per avere dei riflessi negativi sullo sviluppo perché non ne considera gli aspetti motivazionali e ludici. Non è un mistero che il gioco è la fondamenta dello sviluppo intellettivo (Piaget) e il cemento dello sviluppo culturale dell’individuo (Winnicott).
La considerazione delle differenze individuali degli allievi all’interno di un apparato (burocratizzato) di stampo neo-cognitivista, che non tiene conto delle storie personali [21].
Alcuni metodi d’insegnamento tendono a frustrare l’immaginazione, l’attività motoria, la curiosità dei bambini, generando un’inevitabile diminuzione delle motivazioni dell’apprendimento, e la necessità di ricorrere a incentivi come la competizione, che trasformano l’attività pedagogica in un processo di addestramento …
“La vera e profonda ingiustizia sta nel modello meritocratico. Perché giudicare con lo stesso criterio il figlio dell’analfabeta e il figlio del laureato significa non tener conto del fatto che i risultati del lavoro scolastico dipendono dalle esperienze che il ragazzo ha vissuto prima di andare a scuola, e che continua a vivere fuori di essa. Il modello meritocratico in una scuola di massa è un falso ideologico, che serve solo a conservare le disuguaglianze di partenza, escludendo il meno fortunato con la scusa che è meno dotato. La nostra scuola dell’obbligo oggi è una scuola d’élite aperta a tutti. O se si vuole – ma è esattamente la stessa cosa – è una scuola di massa con criteri elitari.” [22]
6. Formazione dei docenti o ristrutturazione della scuola ?
Poche righe per dire come dovrebbero stare le cose.
In verità se la qualità delle scuole ticinesi è alta (vedi risultati PISA) è solo grazie all’impegno dei suoi docenti. Ma non sono poi così d’accordo di dire che la nostra scuola sia di alta qualità se complessivamente il 15% dei quindicenni esce dalla scuola con gravi difficoltà di lettura.
Di fronte a questi problemi si sente sempre parlare di formazione e di aggiornamento dei docenti. Insomma le carenze strutturali sono a carico dei docenti.
Cosa significa carenza strutturale?
L’assenza di asili nido (dati i costi di frequenza, non è mistero che in vari luoghi chi ne ha più bisogno vi rinuncia), di attività del dopo scuola, artistiche, culturali, sportive e quant’altro, gratuite, l’assenza di luoghi di mediazione, di personale specifico …
7. Sulla differenziazione dei programmi
Gli apparati didattici che favoriscono la differenziazione dei programmi (tipo Dimat e altri analoghi progetti) meritano un discorso specifico..
Questa differenziazione permette ai suoi autori di considerare le differenze individuali fra allievi. Permette di programmare percorsi didattici vicini alle capacità dei bambini. Ma cosa, come, quando e perché si deve differenziare?
In verità una osservazione attenta scopre nella scuola molteplici tentativi di differenziazione dei programmi.
Scopriamo allora così la creazione di materiali disparati che sono organizzati sul principio di un raccoglitore di schede strutturate o strutturabili in itinerari didattici differenziati (si tratta di sviluppi locali dei cosiddetti libri interattivi sviluppati già negli anni 60 negli USA, sulla scia della psicologia comportamentista, neo-comportamentista e cognitivista).
Il principio fondatore é il medesimo. Per una data materia si fornisce all’allievo una complessa raccolta di schede catalogate in maniera progressiva secondo la difficoltà (raccolta che si suppone comprensiva di tutte le difficoltà da acquisire per un dato programma). Il materiale é organizzato sotto forma di schedario o di un libro con percorsi molteplici.
Il percorso affrontato dall’allievo viene così determinato di caso in caso a seconda delle necessità (con una programmazione che non é più dunque solo quella del piano settimanale della classe). L’allievo può così affrontare un suo sentiero personalizzato, nella velocità e nella “località” (temi) da affrontare.
In genere questo apparato fornisce al bambino tutto il materiale di base da svolgere già alla partenza del processo di insegnamento-apprendimento (dicendo “questo é quello che alla fine dovrai aver acquisito”).
Fondamentalmente queste metodologie rappresentano uno sforzo di ottimizzazione e razionalizzazione del lavoro scolastico associati ad una migliore e più corretta gestione delle competenze degli allievi. L’amministrazione personalizzata, vedi individualizzata, degli esercizi, si basa:
sull’osservazione delle singole performances di ogni allievo, certificate in maniera precisa e settimanale;
l’esecuzione individuale (e in piccoli gruppi) di schede ed esercizi ad un grado di difficoltà gestibile da parte dell’allievo;
la certificazione sistematica degli esercizi svolti;
sull’autonomia di lavoro che gli allievi devono imparare per poter lavorare individualmente;
sull’organizzazione della classe in base all’apprendimento di quell’autonomia di lavoro.
Se è inutile dare compiti troppo difficili (o troppo facili) ad un allievo che non li sa eseguire (o che esegue meccanicamente senza sforzo perché troppo facili) tanto vale essere conseguenti e pragmatici. Bisogna dare attività, compiti ed esperienze che l’allievo possa assimilare, con un livello di difficoltà programmato e confacente alle doti dell’allievo: in poche parole è questa la massima che regge la differenziazione.
Ecco: ammessa l’entrata in materia e la bontà degli sforzi legati alla differenziazione, in un contesto di migliore gestione ed amministrazione degli apprendimenti, bisogna adesso chiederci se, quando e come questi programmi differenziati diventano un aiuto concreto alla democratizzazione della scuola.
Dai dati raccolti si rileva in maniera evidente che la differenziazione non ha ridisegnato la mappa della riuscita, relativa alle appartenze sociali originarie. In pratica rimaniamo ancorati al solito e normale classismo scolastico.
Senza dubbio quello che fa è certificare (o reificare) la distribuzione classista delle risorse.
Ma per le vittime della selezione: dai bocciati, agli allievi difficili, agli allievi deboli non era necessario certificare questa loro debolezza. Loro non avevano bisogno di questa nuova certificazione per conoscere le loro debolezze.
Dai dati raccolti l’idea secondo la quale la differenziazione interviene in maniera democratica come metodologia che permette ai ragazzi di ricuperare o colmare lo iato che li separa è sbagliata [23].
In verità la differenziazione si è costituita in questi anni su alcuni miti (se preferite delle favole) che ne sviano completamente la realtà e le ragioni della sua validità.
- Una fra le mitologie più perniciose è quella di credere che proprio in virtù dello sviluppo consono al bambino, ai suoi ritmi e alle sue modalità evolutive, possa condurre quest’ultimo a ricuperare o colmare il gap che lo separa dai migliori. Una sorta di Emilio (Rousseau) post moderno. Ma l’idea che far lavorare i ragazzi a un livello a loro confacente sia sufficiente a far colmare i ritardi è decisamente sbagliata. Questa è una idea che rimuove completamente le origini, le esperienze, le modalità di apprendere dei ragazzi, delle loro paure, delle loro difficoltà quotidiane, ecc … Abbiamo qui l’egemonia imperante di un paradigma cognitivista o neo cognitivista dell’età evolutiva. Credere che basti mettere i ragazzi in soluzioni a diluizione graduata …credere che basti frammentare o suddividere gli apprendimenti in nuove frazioni, in nuovi percorsi … credere che non è indispensabile entrare nelle soggettività degli allievi è una delle maggiori bufale della pedagogia dei consigli di amministrazione [24]. La differenziazione dei programmi non garantisce automaticamente il riconoscimento della diversità culturale di ogni allievo. Il rischio é quello di considerare il bambino sotto il solo piano del funzionamento, della capienza della sua memoria di lavoro, della potenza del suo “processore” e così via sulla metafora del computer. Semplicemente la differenziazione é un apparato per meglio permettergli di funzionare a pieno ritmo (e in questo é certamente un risultato molto importante). Abbiamo invece potuto immaginare in precedenza come le misure da prendere possano (debbano) essere di ben altra natura: e queste immagini ci parlavano di numero di allievi, di sostegno casalingo, di allargamento del curricolo, ecc … La differenziazione è là per permettere proprio quel lavoro autonomo a livelli e a ritmi evolutivi differenti. In sé non è nient’altro che una amministrazione mirata di schede e lezioni. Ciò che è corretto é l’idea che la differenziazione sia uno strumento che permette al docente di meglio gestire i differenti livelli dei suoi ragazzi e che loro possano così lavorare con concetti a loro confacenti. Il secondo mito crede allora che se lasci un soggetto marciare al suo vero e proprio ritmo facciamo della giustizia e della democrazia scolastica …
- Il terzo mito è legato alla gestione a lungo termine di questi apparati. Perché se essi sono generosi nel concedere ai ragazzi la possibilità di costruire progressivamente le proprie conoscenze, in verità si rivelano necessariamente impietosi alla fine dell’anno. Le note non sono abolite, le valutazioni sommative nemmeno. Quando le vacanze estive si avvicinano si ha un bel da fare (allievi, come pure docenti) a rincorrere i profili di padronanza minimi [25]. La fine dell’anno scolastico è lì presente a ricordare il livello raggiunto.
- Un altro mito è che le differenze socio-culturali degli allievi siano colmabili con soli correttivi degli apparati didattici (magari tutti a carico dei docenti).
D’altro lato queste impostazioni didattiche oggi si sposano con le politiche di ottimizzazione delle risorse. Vengono ad essere magnificamente utili in una scuola complessa come quella del giorno d’oggi. Aiutano i docenti ad amministrare sul piano cognitivo e performativo la complessità dei profili presenti in classe. E oggi sappiamo quanto le classi siano composite e difficili da gestire con i bambini alloglotti, con i bambini in ritardo scolastico, con i bimbi figli di divorziati, ecc …
E’ ben necessario costruire degli apparati che permettano di gestire tutto quanto queste differenze comportano sul piano degli apprendimenti.
Non modifica però la loro realtà quotidiana!
Non so se è l’idea in sé della differenziazione ad esser sballata …
8. Alcune piste propositive
Al termine di questo sentiero rimangono aperte alcune suggestioni propositive. Insomma il che fare si pone in termini di allargamento del diritto alla formazione che sappia andare oltre alla strutturazione attuale della scuola pubblica.
Traccerò qui solo qualche pista (fra altre).
- Bisogna meglio conoscere i fenomeni legati alla dispersione scolastica, agli insuccessi e alle selezioni. Bisogna meglio documentare l’accesso classista alle attività del tempo libero (lezioni di musica, sport, teatro, ecc…). Un organismo di ricerca (una specola indipendente? magari dei sindacati?) potrebbe magari fare un po’ di luce.
- Certamente non aumentare il numero degli allievi per classe come ipotizzato molto recentemente da qualche (si fa per dire) consigliere.
- Ma più di tutto si tratta di incidere più profondamente nella struttura formativa attuale. Migliorare la professionalità dei docenti tramite i corsi di aggiornamento è una carta fondamentale. In effetti se la scuola ticinese è oggi di ottimo livello il merito è solo dei docenti e del loro impegno. E dell’alto tasso di burn out che vi risiede. In verità si tratta di allargare le offerte pubbliche, favorire, permette re maggior i accessi alle scuole del tempo libero. Ciò cosa significa? In due parole:
A) se le scuole di ippica non possono essere statalizzate bisogna almeno che l’accesso sia reso gratuito per tutto coloro che non hanno goduto a mani tese degli sgravi fiscali (ai ricchi). Che sia chiaro: parlo di scuole di ippica, come potrei parlare di società di scherma, di bel canto , di teatro, ecc …
B) bisogna inserire all’interno della griglia oraria scolastica tutte le attività del tempo libero, affinché l’accesso sia garantito a chiunque; in modo che non ci sia la bimba o il bimbo che la sera partecipa al club teatrale e la compagna/il compagno ridotto a sorbirsi l’ennesima serie televisiva bellico-poliziesca.
L’ippica come materia opzionale! Perché no? Ma di tutto ciò potremmo riparlarne in un altro contesto.
L’articolo presente è stato pubblicato ne I diritti del lavoro
mensile del sindacato dei servizi pubblici n° 2, febbraio 2005
Riferimenti bibliografici
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Note
[1] In uno studio, M. Duyme, A.C. Dumaret, S. Tomkiewicz (1999) esplorano il legame tra Qi e influenze socio-culturali. Hanno osservato 65 famiglie che hanno adottato un bambino di età compresa fra i 4 e i 6 anni. Questi bambini avevano vissuto in un ambiente familiare sfavorvole, prima della loro adozione. Il loro Qi era di 86 quando in media è di 100. Alla loro adolescenza hanno tutti aumentato la loro performance. Il guadagno di punti Qi era tanto maggiore quanto più elevato era l’ambiente socioeconomico d’adozione. torna al testo
[2] Alain Accardo, “L’incorporazione del sistema”, Calicanto, 2 torna al testo
[3] Così Scuola Ticinese, n° 253, 2002, pag. 24, descrive i ragazzi che seguono le lezioni private di ricupero. “Ragazzo o ragazza nato in CH, di lingua italiana, i cui genitori avevano una formazione elevata ed esercitavano una professione di categoria superiore”. torna al testo
I dati raccolti dall’Ufficio studi e ricerche nella primavera del 2000, ci dicono che il 13,3% degli studenti frequentava delle lezioni private, specialmente matematica e lingue straniere. Nell’anno scolastico 2002-2003 a Losone una inchiesta interna ha trovato che il 10,9% di studenti “é stato confrontato con le lezioni private”.
[4] Nell’anno scolastico 2001/2002 il 14,7% degli allievi (SI, SE, Sme complessivamente) sono stati seguiti dai servizi di sostegno pedagogico. Quanti di essi manifestano un DSA? torna al testo
[5] Dati raccolti dal sottoscritto. torna al testo
[6] Dati raccolti dal sottoscritto. torna al testo
[7] La fine dell’ondata migratoria o l’inizio di una scuola interculturale? Commissione cantonale di coordinamento dei corsi di lingua italiana e di integrazione, Bellinzona, 1998, pag. 14 torna al testo
[8] Ibid. … pag. 14 torna al testo
[9] Ibid. … pag. 16 torna al testo
[10] Scuola Ticinese, XXIII, 192, marzo 1994 torna al testo
[11] Cfr. J.M. Jaeggi, F. Osiek, B. Favre, Echec scolaire d’enfants issus de milieux peu favorisés, Soleure, P&E, 2/2003, pag. 32 torna al testo
[12] cfr. Bravo chi legge. torna al testo
[13] Luana Tozzini Paglia, Gli studi liceali, dati statistici, USR, Bellinzona 2003, p. 21 torna al testo
[14] Gli studi liceali … pag. 23 torna al testo
[15] Gli studi liceali … pag. 44 torna al testo
[16] Nico Hirtt, Appel pour une école démocratique, La grandezza delle classi é determinante per la riuscita degli alunni, torna al testo
[17] Cfr. a questo proposito Callari Galli (sulle forme di aiuto casa, nella gestione dei compiti e della comunicazione attorno al curricolo), o Lanfranchi (l’attivazione di strutture d’appoggio per le famiglie degli immigrati, e ciò a soggetto della socializzazione dei loro figli, aumenta nettamente le possibilità di integrazione scolastica (come già rilevato negli stati uniti). torna al testo
[18] Dove nasce questa immagine? Forse da una tradizione del colloquio e della collaborazione che in verità non fa l’economia di queste differenze. torna al testo
[19] Le lezioni private sono un fenomeno che vede impegnate le famiglie di reddito alto. Così Scuola Ticinese, n° 253, 2002, pag. 24, descrive questi ragazzi: “Ragazzo o ragazza nato in CH, di lingua italiana, i cui genitori avevano una formazione elevata ed esercitavano una professione di categoria superiore”. torna al testo
I dati raccolti dall’Ufficio studi e ricerche nella primavera del 2000, ci dicono che il 13,3% degli studenti frequentava delle lezioni private, specialmente matematica e lingue straniere. Nell’anno scolastico 2002-2003 a Losone una inchiesta interna ha trovato che il 10,9% di studenti “é stato confrontato con le lezioni private”.
[20] E’ poi interessante rilevare come gli investimenti finanziari siano inversamente proporzionali all’importanza evolutiva. Vale a dire: tutti concordano nel definire la prima e la primissima infanzia come fondamentali per l’imprinting che i bimbi ricevono. Insomma “chi ben comincia è a metà dell’opera”. Eppure le scuole dell’infanzia non sono obbligatorie (anche se anche da quanto c’è da credere dalle ricerche ancora una volta sono i bimbi di estrazione bassa a godere dei migliori benefici in una lunga scolarizzazione). Eppure le docenti di queste scuole sono le meno pagate di tutti … torna al testo
[21] A chi interessa approfondire questo punto rimando al mio articolo “I vestiti dell’imperatore”. torna al testo
[22] Callari Galli, op. cit., pag. 56 torna al testo
[23] Resterebbe poi ancora da verificare come e quando l’organizzazione dei tempi del docente sia democratica. Il concetto secondo il quale il docente diventa libero di accordare maggior tempo agli allievi in difficoltà è tutta da verificare e certificare (specie con classi numerose). Anzi è sempre presente la possibilità che il docente accordi più tempo a chi esegue gli esercizi più rapidamente e in maniera più numerosa (vuoi perché è più gratificante, vuoi perché è pur suo dovere seguire tutti gli allievi e non solo chi è in difficoltà …). torna al testo
[24] Per chi volesse approfondire il tema di come la differenziazione sia un riflesso della globalizzazione cfr. ancora il mio “I vestiti dell’imperatore“. torna al testo
[25] E allora la rincorsa può allora diventare così cieca e poco metacognitiva, tanto che gli allievi entrano in un contesto coattivo, un fare per il fare, acritico, meccanico … torna al testo