Disadattamento, selezione scolastica, democrazia degli studi.

Premessa

La sinistra, a periodi alterni e con fortune alterne, ha sempre cercato di sviluppare la scuola in senso democratico. L’ineguaglianza delle chances è stato uno dei suoi cavalli di battaglia: la richiesta di borse di studio e la riduzione delle tasse, sono solo alcune delle misure (oramai in via di costante erosione) atte a favorire l’accesso agli studi superiori per le classi meno abbienti.

Negli anni 60 e 70 quanto veniva denunciato come classismo nella scuola – vale a dire una incapacità della scuola a fungere da ridistributore delle chances di riuscita – vedeva svilupparsi battaglie per un allargamento dell’accesso agli studi e in specie agli studi superiori, e una critica della selezione in quanto strumento che colpiva principalmente soggetti di estrazione socio-culturale-economica medio-bassa.

Il mio intervento odierno si basa su due osservazioni iniziali.

Primo, negli ultimi anni il dibattito sulla selezione scolastica sembra essere praticamente scomparso dai banchi della scuola dell’obbligo. Questo sia nelle preoccupazioni dei legislatori, sia tra i professionisti della scuola, che tra le forze politiche. E ciò preoccupa tanto più perchè il 15% dei quindicenni esce dalla scuola dell’obbligo con gravi difficoltà nella lettura (PISA 2000).

Ma, secondo, negli anni recenti il discorso sulla selezione scolastica ha cambiato pure paradigma. In verità assistiamo alla ricollocazione della selezione nel contesto del disadattamento. Contesto concettualmente a sua volta più ristretto e più largo.

Più ristretto perchè dovrebbe riguardare dimensioni quantitative e qualitative ristrette. Vale a dire pochi allievi in una scuola.

Più largo perchè il disadattamento in sè non è un descrittivo di una condizione precisa. Diventa un termine generico che ne ingloba molti altri relativamente condivisi e circoscritti quali: la dislessia, la disprassia, l’iperattività, l’immaturità cognitiva, l’handicap percettivo-sensoriale, ecc … Ma pure ingloba molti altri criteri con una costellazione molto più complessa e vaga quali: l’handicap socio-culturale, il disadattamento e i problemi di comportamento … Si passa dunque da una dimensione dove la valutazione concerne prevalentemente l’individuo e il suo proprio “bagaglio personale” a una dimensione sociale, culturale dove l’ambiente viene interpellato nelle sue forme … ed è evidente che quando ci riferiremo a queste ultime categorie facile diventerà abusare del proprio potere censorio e confondere le carte.

Non si tratta di negare l’esistenza di varie forme di disadattamento, nella scuola. Riposizionare i termini di disadattamento e di selezione, questo si! Cosa vuol dire? Significa che il termine di disadattamento ha permesso di occultare la realtà. Classificare tutte le forme di difficoltà a scuola come forme di disadattamento permette come per incanto l’eliminazione (temporanea) del carattere classista della scuola.

Alcuni dati

Primo, gli allievi seguiti dai servizi di sostegno pedagogico (SSP)

Cosa ci dicono le statistiche? Ebbene ci dicono:

che nell’anno scolastico 2001/2002 complessivamente il 14,7% degli allievi delle scuole obbligatorie (scuola dell’infanzia, elementare e medie) sono stati seguiti dai servizi di sostegno pedagogico (rispettivamente il 6,9% nell’anno 85/86 e il 12,2 % dell’anno 1991/92).

Complessivamente questi bambini sono così ripartiti:

Distribuzione dei bambini secondo la nazionalità (2001/2002)

% stranieri nella Pop. totale% stranieri nella Pop. SSP
S.I.27.534.4
S.E.28.140.3
S.me.28.845.7


Distribuzione dei bambini secondo il livello socio-economico (1996/97)

 Pop. TotalePop. SSP
 BassoMedioAltoBassoMedioAlto
S.I.40.843.012.147.243.38.5
S.E.41.443.911.060.031.85.7
Sme.42.042.89.567.025.83.2


Da questi dati emerge come i bambini stranieri (complessivamente il 42,5 ) e quelli appartenenti al livello socio-culturale basso siano sovrarappresentati, nel SSP rispetto la popolazione totale, e come il fenomeno aumenti man mano che si procede nella scolarità (il deficit è dunque cumulativo).

Si rileva anche il numero complessivo crescente, oggi il 14,7% degli allievi necessitano di un aiuto “specialistico”.

Da questi dati il “disadattamento” di cui si occupa il Servizio di sostegno pedagogico si manifesta quindi indiscutibilmente quantitativamente come problema sociale. Non fosse così non avremmo quelle cifre (così elevate). La scuola appare oggi incapace d’opporvisi validamente.

Secondo, il fenomeno delle lezioni private

I dati seguenti sono speculari a quelli precedenti. Parlano di una selezione verso l’alto. Le lezioni private sono un fenomeno che vede impegnate le famiglie di reddito alto. così Scuola Ticinese, n¡ 253, 2002, pag. 24, descrive questi ragazzi: “Ragazzo o ragazza nato in CH, di lingua italiana, i cui genitori avevano una formazione elevata ed esercitavano una professione di categoria superiore”.

I dati raccolti dall’Ufficio studi e ricerche nella primavera del 2000, ci dicono che il 13,3% degli studenti frequentava delle lezioni private, specialmente matematica e lingue straniere. Nell’anno scolastico 2002-2003 a Losone una inchiesta interna ha trovato che il 10,9% di studenti “è stato confrontato con le lezioni private”.

Una raccolta di dati a livello cantonale per il 2003 è in attesa di divulgazione.

E’ dato per accertato che lezioni private vengano pure prese/date a bimbi della scuola elementare! A questo riguardo nessun dato preciso viene dato.

Una galassia sommersa viene poi a peggiorare ancora più la situazione.

Si dice che molti degli apprendimenti avvengano fuori scuola, nelle esperienze svolte nelle società sportive, alle lezioni private di musica. Se consideriamo l’accesso alle scuole artistiche, musicali, sportive e quant’altro di privato possa esistere vediamo come i costi s/favoriscono ancora una volta gli sfavoriti. Basta verificare chi frequenta le società di calcio e chi frequenta il circolo di scherma, che suona il flauto dolce a scuola e chi osserva diligentemente l’insegnamento del pianoforte, chi gioca con il fango e chi frequenta corsi di pittura …

Questo è pure un terreno dove i dati mancano completamente, dove il privato è signore, e che si preferisce tacere. Non è questa una ulteriore discriminazione sociale dove la selezione impera?

Terzo, le competenze all’uscita della scuola media (Sme)

Il 20% dei maschi e il 12% delle femmine quindicenni in Ticino escono dalla scuola media con “competenze (che) non sono sufficienti ad assicurare in modo indipendente sapere e conoscenze specifiche” (Bravo chi legge).

Complessivamente il 15% dei quindicenni esce dalla scuola con gravi difficoltà di lettura. L’età (15 anni) è importante perchè marca la fine dell’obbligo scolastico. Dopo le scuole medie, questi ragazzi, quali occasioni di formazione riceveranno ancora?

Questi dati si allineano con le tendenze in CH e all’estero.

Un terzo degli allievi che hanno terminato la scuola dell’obbligo in Svizzera non è in grado di comprendere un testo semplice, il 20% ci riesce a mala appena, è la conclusione a cui giunge un gruppo di lavoro chiamato ad analizzare i mediocri risultati ottenuti dalla Confederazione nell’inchiesta internazionale Pisa 2000 (Programme for International Student Assessment). Uno studio condotto dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) sugli abitanti della Svizzera, in età compresa tra i 16 e i 65 anni, ha confermato questo dato di fatto. Esso infatti ha rilevato che il 9,1% della popolazione autoctona e il 63% degli immigrati rientrano nella categoria con più gravi problemi di lettura e scrittura.

Un fatto appare evidente: per avere successo a scuola è meglio avere genitori svizzeri e colti.

La Svizzera, tra i paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), appartiene al gruppo delle nazioni dove lo status professionale dei genitori incide maggiormente sulle prestazioni degli allievi.

Nel test Pisa i migliori risultati sono stati ottenuti da giovani cresciuti in un ambiente propizio, dove i genitori vantano una solida formazione culturale ed esercitano un’attività professionale ben remunerata e di alto prestigio sociale. La metà degli allievi figli di immigrati hanno invece riscontrato notevoli difficoltà. I problemi tendono infatti ad acuirsi quando alla scarsa formazione del contesto familiare si aggiungono l’insufficiente conoscenza della lingua d’insegnamento e la poca dimestichezza con la cultura locale.

Quarto

Nelle scuole elementari il 3,5% di bambini ha ripetuto una classe; l’11,9 nelle scuole medie. Nel 2001/2002 complessivamente sono il 7,1% i bambinci che bocciano una classe nella scuola dell’obbligo. Circa 60 allievi (su 11000 circa) all’anno (dato approssimativo) escono dalla scuola media senza la licenza per abbandono o proscioglimento data il raggiungimento dell’età dell’obbligo.

Dalla differenziazione dei programmi …

Cosa ci dicono allora questi dati? Ci dicono che la scuola lascia intatte le differenze di classe, e anzi le aggrava. Le differenze di classe fanno sì che la maggioranza dei figli di operai non arrivi a diplomi di scuola superiore o che magari frequenti le scuole professionali. Queste differenze di classe vengono a manifestarsi già ai primissimi anni della scolarità.

I dati statistici riportati, da quelli relativi agli allievi seguiti dai SSP a quelli sulle competenze di uscita alla Sme, sono dei buoni indicatori della selezione scolastica.

Sono pure dei buoni indicatori della selezione scolastica i profili dei livelli raggiunti dai ragazzi nelle materie differenziate.

Piove sul bagnato

Cosa si intende per materie differenziate? Ebbene si intendono quei percorsi didattici, quei materiali che permettono agli allievi di procedere secondo il proprio ritmo e le proprie potenzialità.  Oggi nelle scuole elementari ve ne sono diversi: dalla matematica (Dimat), all’ortografia, al francese, alla grammatica, gli schedari che permettono quel tipo di impostazione prendono sempre più piede.

Ebbene cosa si vede se si accosta il profilo raggiunto dagli allievi (quante schede, quanti argomenti certificati ed acquisiti) all’estrazione socio-economica dei genitori? Anche qua più la scolarità procede e maggiormente i profili si vanno socialmente defilando … dunque ancora una volta piove sul bagnato.

Un genitore dice: “va bene; la differenziazione, questa serve alla certificazione del differente e più lento ritmo di sviluppo di mio figlio. Ma adesso cosa si può fare e proporre per compensare le sue debolezze?”

Per i compiti a casa succede la stessa cosa. Sovente viene dato il compito affinchè chi non ha capito a scuola o non ha finito termini il lavoro a casa. Ma chi può aiutarlo a casa? Se il figlio va a casa con i compiuti e non li sa fare la maggior parte delle volte non pu˜ chiedere aiuto. Magari gli stessi genitori hanno avuto una scolarità precaria. I compiti sono dunque pure uno strumento che perpetua la selezione. I compiti servono solo a chi già sa fare le cose.

La responsabilità del disadattamento ricade sul principio dell’uguaglianza formale fra gli individui, derivato dalle filosofie liberiste (che oggi imperano), a cui ubbidisce tutto il sistema scolastico. Questa uguaglianza formale finisce per favorire i favoriti e per sfavorire gli sfavoriti semplicemente ignorando nei contenuti dell’educazione, nelle tecniche di trasmissione e nei criteri di giudizio, le diversità socio-cognitive esistenti fra gli utenti della scuola.

La differenziazione dell’insegnamento a cui si richiamano i nuovi programmi dovrebbe appartenere a quest’ordine d’idee, sempre che non ci si riferisca unicamente a dei modelli di stampo neo-behaviorista (pedagogia della padronanza classica).

Le speranze per una scuola migliore (e più giusta?), in questi ultimi anni, sembra siano state riposte essenzialmente in due approcci pedagogico-didattici.

Il primo consiste nelle valutazioni di entrata degli allievi al fine di stabilire il livello delle loro competenze. Queste valutazioni possono essere effettuate ad ogni livello scolastico per, e qui viene la seconda impostazione, differenziare gli apprendimenti.

Non si capiscono bene le collusioni fra gli obiettivi generosi, ideali dell’approccio differenziato delle materie e l’interessamento per tali approcci dei fautori del liberismo e dell’ottimizzazione delle risorse.

… alla omologazione certificata

A) Il tema delle valutazioni di entrata si ricollega decisamente a quello della possibilità della certificazione oggettiva degli apprendimenti. La diffusione di materiali comuni a tutto il cantone (come per esempio quelli di mate, francese, o grammatica) permettono un controllo capillare comune e omogeneo di tutti gli allievi. così ad esempio una valutazione in matematica (dimat) diventa uguale da Airolo a Chiasso perchè l’apparato di percorsi proposti è identico. Basta guardare quante schede il ragazzo ha effettuati … é evidente l’assoluta omogeneizzazione degli approcci e l’appiattimento su materiali artefatti, uguali per tutti …

2) Ebbene l’esperienza della differenziazione dei programmi ci dice che questa viene oggi, sottolineo oggi, a consolidare la selezione scolastica.

La differenziazione si manifesta come una organizzazione e una concezione liberale, generosa, aperta e progressista, che permette ad ogni allievo di marciare al proprio ritmo, senza forzarlo a fare cosa per lui in quel momento troppo lontane, difficili, incomprensibili, senza forzare apprendimenti precoci … Ma in realtà questa concezione vive sulle nuvole, quando dimentica che la sua applicazione è contestualizzata. E questo contesto è storico, sociale, culturale. E questo contesto è fatto di ineguaglianze di formazione e di censo.

Dagli strumenti agli scopi didattici

La differenziazione oggi viene organizzata essenzialmente con degli apparati e strumenti didattici che consistono in percorsi progressivi di schede. Il rischio è di vedere la pedagogia trasformata in una amministrazione burocratica di schede. I classificatori (pieni di schede) imperano; dove sono l’esperienza, la scuola attiva, la relazione, l’apprendimento cooperativo? Eccola la deriva neo-comportamentista … gli strumenti didattici diventano gli scopi stessi.

In verità oggi quella generosità finisce col favorire coloro che si conformano meglio. Questa differenziazione non cambia nulla alle condizioni di partenza, fatte di ineguaglianze … non necessariamente tiene conto delle reali condizioni sociali, culturali degli allievi.

così, paradossalmente, l’attenzione alle differenze diventa una indifferenza alle differenze. Perchè nulla può fare per modificare i spontanei ritmi lenti dei meno “abbienti” …

La differenziazione è oggi uno dei luoghi dove la selezione potrà realizzare pacificamente il proprio destino. Non sono gli insegnanti a selezionare, non è l’istituzione a essere cattiva – l’istituzione è neutra: certifica la situazione in maniera oggettiva (sig!) – sono gli allievi (figli di operai, stranieri, disoccupati, ecc ) che non ce la fanno a marciare più rapidamente. Eccola una razionalizzazione e ottimizzazione delle risorse: gli insegnanti sono dispensati (con questo apparato) del ricupero dei  ritardatari. Anzi gli permetteranno di funzionare a loro gradimento …

Anche un maestro ben intenzionato si sentirà (comunque) alleggerito dal compito di aiutare chi fa fatica, perchè comunque c’è’ uno schedario che aiuta l’allievo …

Ammetto che quanto descrivo, possa essere un po’ caricaturale. Specialmente non corrisponde alle ipotesi e agli obiettivi dei fautori dei programmi differenziati (a ancora sarebbe da verificare per tutti). Non corrisponde nemmeno alle intenzioni dei docenti. Bisogna per˜ pure ammettere che oggi quanto succede favorisce quella deriva così caricaturizzata dal sottoscritto. Fra aumento degli allievi per classe, dissoluzione dei legami sociali, aumento degli oneri di lavoro, conflittualità crescente, una cosa è professare delle idee un altra è modificare la realtà.

Post scriptum

Che sia chiaro: non è il principio della differenziazione a venire messo in discussione è la sua pratica concreta odierna. Le critiche (silenziose!) che alcuni docenti delle scuole medie formulano ai metodi differenziati denunciano la totale dipendenza dallo strumento (specie per la matematica) che nella sua realtà si rivela essere molto rigido. Senza quello, per intenderci, molti allievi non sanno più cosa fare.

La seconda osservazione riguarda una supposta diminuzione complessiva del livello di preparazione. Queste sono osservazioni che il dipartimento dovrebbe verificare attraverso una ricerca specifica.

Conclusione

Ci sono degli investimenti di tipo strutturale affinchè le pedagogie possano realizzare i loro generosi intenti.

1)  Intanto bisogna conoscere bene le cose e chiamarle con i loro nomi.

2)  Migliorare l’accesso alle lezioni private per i ceti bassi. Altro che finanziare pubblicamente le scuole private. La marcia deve essere inversa. Bisogna rendere pubbliche le molte (troppo offerte private) affinchè l’accesso alle attività sportive, artistiche, culturali del “tempo libero” siano parificate!

3)  Bisogna intervenire sulla composizione delle classi riducendo il numero degli allievi.

4)  Visto e considerato che molto di quanto succede esula dalle possibilità della scuola di intervenire come regolatore delle ineguaglianze, si devono trovare soluzioni che possano aiutare i ragazzi, stimolandoli, arricchendoli fuori dalle mura scolastiche.

5)  così la differenziazione pu˜ diventare un approccio utile anche all’allievo e non solo per l’istituzione che vede cosi meglio organizzato il proprio lavoro. Questo significa per˜ che la differenziazione non pu˜ accontentarsi di schermarsi dietro approcci quantitativi realizzati sotto forma di classificatori da riempire. Deve gioco forza stimolare il piano dell’esperienza favorendo approcci decisamente più attivi.

Il presente articolo é stato pubblicato in Solidarietà quindicinale, n°2, anno 5, gennaio 2004

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