1. Chiarezze
Preoccupandoci e occupandoci di educazione non possiamo fare a meno di rivolgerci alle cosiddette scienze dell’educazione: la psicologia, la psicanalisi, la psicopedagogia, la pedagogia, … come ad altre scienze sociali affini.
Ma il discorso da psicologico, psicanalitico e pedagogico com’é – se, ben intesi, é frutto di quelle discipline e in virtù di quelle discipline – non può fare a meno di investire i terreni e i tempi fisici, reali dell’educazione, vale a dire i luoghi e i tempi quotidiani dell’educazione. Il discorso, allora, da scientifico si farà politico, sociale ed economico.
– Perché di resistenza alle pratiche di omologazione attuale;
– perché i tempi che vorremmo dei bambini non corrispondono certamente ai tempi del lavoro globalizzato, alla flessibilità sul posto di lavoro, alla precarizzazione della quotidianità nella rincorsa a un salario che si vede sempre più eroso nel suo potere d’acquisto;
– perché l’incultura del consumo schiaccia il bambino sotto il peso degli ultimi ritrovati tecnico-alimentari-igienico-ludici, minimizzando i tempi della sua parola e dell’ascolto …1;
– perché l’economia del bambino non é certamente l’economia /del lavoro …
affinché i tempi e i luoghi dell’educazione non vengano inesorabilmente ed irreversibilmente divorati dal mercato e dal consumismo.
2. Preoccupazioni
Il riproporsi di alcuni scenari rafforzati, ad alcune tendenze future prossime ci preoccupano. E non ci possono vedere testimoni silenziosi.
3. Oggetti e consumismo
Quale il legame tra due termini tanto distanti quanto quello di infanzia e quello di mercato?
Come e quando l’infanzia viene considerata alla stregua di una mercato?
In virtù (si fa per dire) di quale contagio (malattia) sociale il processo di soggettivizzazione del bambino é ostacolato e reso ostaggio di un processo che sostituisce la parola con il gadget e pure sostituisce la presenza del genitore con l’ultimo ritrovato video-elettronico?
Quando l’infanzia é stata “inventata” quale mercato? Quando viene continuamente re-inventata quale nuovo mercato da riconquistare?
Quando, in virtù di questo mercato, diventa essa stessa oggetto di consumo? Vale a dire quando da soggetto consumatore diventa oggetto da consumare?
Quanti poi i sensi di colpa intrattenuti ad arte nei genitori che quella funzione male o poco riescono ad assolvere?
4. Sensi di colpa
Pure il senso di colpa fa parte del gioco perverso teso al consumo. Il consumo come vettore dell’educazione moderna … da una parte spinge i cittadini ed i genitori a colmare la propria esistenza di oggetti (di consumo). La sostituzione del genitore (della sua presenza con il figlio) con un surrogato della relazione quale sono i ritrovati video-bellici, i giochini elettronici, i programmi e le pubblicità per l’infanzia é cosa facile e fluida. Facile: visti gli orari e la dose di frustrazione ed alienazione che il lavoro impone quotidianamente; fluida, considerati i modelli “dell’individuo arrivato” che quotidianamente – come uno specchio identitario – ci vengono proposti dalle pubblicità.
5. Totale reificazione delle relazioni
Il senso di colpa, le assenze nella relazione con il proprio figlio, viene allora investito con il gadget. Il regalo, il giochino, sono un colpo di spugna gettato su questa colpa che mai potrà essere definitivamente cancellata …
6. Protezione dell’infanzia
Tutti concordano nel definire i primi anni della vita come i più importanti per lo sviluppo del futuro individuo. Eppure sono quelli meno protetti. Il diritto alla maternità e alla paternità sono conquiste sociali che neppure in tutti i paesi cosiddetti civilizzati sono acquisiti. Invece che conquiste sociali – da strappare con le lotte sociali – dovrebbero essere diritti naturali.
Le strutture scolastiche, quali gli asili nido, le scuole dell’infanzia sono quelle che meno godono delle sovvenzioni statali. L’investimento educativo è inversamente proporzionale all’età del bambino.
Le maestre delle scuole dell’infanzia, pur svolgendo il lavoro più importante in tutti i gradini dell’istruzione e dell’educazione, sono quelle meno pagate e considerate nella loro funzione. Quante volte si sente dire “tanto l’asilo non è importante”?
Eppure i primissimi anni di vita del bambino sono considerati come importantissimi per il suo futuro sviluppo … quelli che richiederebbero uno sforzo massimo per la sua protezione, il suo accudimento, ecc …
7. Bambino oggetto
L’immagine del bambino quale soggetto consumatore è abbastanza chiara nella sua dinamica. Questa immagine lo vede al centro degli sforzi di produzione. L’immagine del favorito, del fortunato futuro possessore di un ultimo ritrovato. Questa immagine lo vede come il fruitore, il beneficiario degli oggetti di consumo.
Meno chiara è forse l’immagine che lo vede come oggetto del mercato. Bambino oggetto? Certamente oggetto degli studi di mercato, oggetto delle attenzioni e tranelli pubblicitari, oggetto che si consuma – l’infanzia ha infine una fine – usato ed abusato nei programmi ad esso ispirati, nelle pubblicità ad esso rivolte, negli inviti all’avvelenamento alimentare (pensa qui ad esempio solamente alle merendine, o alle liste di edulcoranti, conservanti, ecc … negli alimenti proposti all’infanzia, i famigerati EE …)
Bisogna abusare dell’infanzia affinché abbia ad acquistare tutti i prodotti ad essa forniti ……
Bisogna rendere l’infanzia un oggetto al fine di programmarne i suoi sviluppi tramite l’uso e l’abuso degli acquisti …
Si parlava (lo si dice ancora) delle donne oggetto, non lo sono ora i bambini?
8. Ancora oggetti e consumismo
Una assenza/presenza – quella del genitore rispettivamente quella del oggetto di consumo – tanto forte da comportare nei casi più estremi, ma non tanto estremi, una crescita alienata dal bambino e una crescita del bambino alienato: alienato dal suo naturale diritto alla cura. Ma dove per cura pensiamo alla sollecitudine, alla dedizione, alla presenza dell’altro e del genitore, ecc … Non al naufragio in una isola ricolma di oggetti e ritrovati per l’infanzia all’ultimo grido.
9. Crescita alienata e alienazione della crescita, schema
bambino alienato | alienazione dal bambino |
Bambino che vede sviluppare una sola parte di sé stesso, alcune facoltà non vengono a svilupparsi (parzialmente o totalmente), falsi bisogni e bisogni eterodiretti che vengono a fagocitare le tendenze evolutive 2 | E’ la negazione stessa dell’infanzia, dei suoi bisogni, dei suoi ritmi e delle sue domande. La negazione della gratuità del tempo e dell’immagine della dipendenza. Il bambino oggetto di consumo è un bambino “indipendente”, perché non ha bisogno dei genitori, perché questi sono stati sostituti dal prodotto. L’alienazione del bambino é anche quella del genitore (o dell’adulto) che si vede privato del suo rapporto con essa. |
10. Casi estremi, significato di estremo
Casi estremi, in sé e per sé, ma non agli estremi del panorama sociale e culturale moderno. Estremi in considerazione del loro sviluppo. Estremi in considerazione della totalità consumistica che esprimono: l’assenza di cure, la presenza continua di giochi individualistici, la sostituzione della parola con la traccia fonoregistrata, la sostituzione del volto genitoriale con il video, l’aumento quantitativo del tempo passato dietro a questi oggetti, ecc …
Il panorama educativo moderno propone un salto qualitativo nelle relazioni umane. Queste, da intrapersonali, nello scambio con altri bambini o adulti, diventano relazioni tra persone e cose, relazioni con oggetti di consumo …
Ma non estremi perché si situano ai poli opposti del panorama socio culturale post moderno. O perché si situano in una supposta periferia disservita di questo panorama. Agli estremi di una città, o di una stazioncina periferica, o al capolinea di un collegamento, come degli estremi geografici dunque.
Questi estremi non si trovano in periferia, bensì si situano al centro stesso di questo panorama. Ne definiscono l’ingenieria stessa, l’architettura e lo stesso paesaggio. Ne definiscono lo stesso orizzonte. E’ questo stesso panorama che si realizza con questi estremi, ne é la realizzazione: l’essenza stessa del capitalismo reale applicato al mercato dell’infanzia e dell’infanzia mercificata.
Per questo possiamo pure affermare che l’infanzia é un oggetto di consumo. Si consuma in quel paesaggio.
11. Ancora sui casi estremi
Parlo dunque qui di casi estremi. Casi estremi? Devo soffermarmi ancora un poco su questo concetto di “estremo”, di “estremità”.
Per questa ragione devo aggiungere il punto di domanda a una affermazione che rischierebbe allora di essere poco trasparente.
Sono due i sensi, o i vettori, se si preferisce, che in questo luogo desidero percorrere per capire “l’estremità”.
Uno, il primo, è tale perché significa radicale, portato alle estreme conseguenze. Vale a dire che presenta uno sviluppo, di tendenze, di contesti, di pratiche educative (socializzanti) sempre più spinte, sempre più oltre, che portano appunto alle conseguenze estreme. Definisce il pulsare di una dinamica.
L’altro vettore è quello che definisce una posizione, una posizione geografica quale una periferia; definisce uno stare al margine: agli estremi di una città, o di una stazioncina periferica, o al capolinea di un collegamento …
Ebbene se il secondo vettore definisce una posizione – uno stare qualche parte a lato dello scenario – il primo si potrebbe dire che sta proprio al centro, al cuore. Un estremo che sta al centro. Lo sguardo che propongo, alle pratiche di socializzazione ed educazione del neoliberismo e del consumismo reale, non lo considera nella sua posizione geografica, ma nella sua architettura, nella sua ingenieria, nella sua reale e potenziale e nefasta definizione di sviluppi socializzanti ed educativi (si fa per dire) dominanti.
Dunque: dominanti e pure estremi.
12. Falsi bisogni
Il panorama sociale moderno presenta tutta una serie di dinamiche che spingono sempre più in là i propri obiettivi 3.
Gli sviluppi ai quali assistiamo prevedono sempre più mercato e consumo, sempre più flessibilizzazione e competizione, sempre più pubblicità e mercificazione delle espressioni di dissenso. Come non ricordare lo sfruttamento da parte del mercato delle iconografie giovanili, degli istinti e legittimi impulsi di resistenza …
Vediamo adesso nei grandi iper-mega-ultra magazzini lo sviluppa di una moda no-global. E questo dopo aver visto dissacrato il Che resa icona di consumo tra mensole di profumi, kit del “fai da te”, e di ciarpame consumistico …
Ecco le subordinazioni allora. Quanti coloro che consapevolmente od inconsapevolmente hanno abbandonato l’istinto di resistenza sviluppando falsi bisogni?
13. Bisogni
Uno degli aspetti odierni che paralizzano lo sviluppo sociale da un lato e degli individui dall’altro – sviluppo integro, non adulterato, degli uomini liberati dal lavoro e dall’alienazione (lavorativa, come culturale) – risulta dalla difficoltà a verificare la distinzione tra falsa coscienza e coscienza autentica, tra interesse immediato e interesse autentico, negli sviluppi dei bisogni di un cittadino.
La fase attuale di restaurazione e di riduzione dell’utopia al competitivo pragmatismo politico neoliberista (la competizione della libera impresa – novello sole dell’avvenire – é oramai pratica consolidata anche da larghe frange socialiste) rende difficile una reazione diffusa.
“Gli uomini debbono rendersene conto e trovare la via che porta dalla falsa coscienza alla coscienza autentica, dall’interesse immediato al loro interesse reale”. “E’ precisamente questo bisogno che la società costituita si adopera a reprimere; nella misura in cui essa é capace di «distribuire dei beni» su scala sempre più ampia e di usare la conquista scientifica della natura per la conquista scientifica dell’uomo” 4.
14. Estremi, ultima
Estremi in considerazione della totalità consumistica che esprimono; estremi in considerazione della completa eppure ancora crescente egemonia mercantile.
L’assenza di cure, la reificazione delle relazioni, l’individualizzazione crescente delle proposte ludiche (video giochi), la sostituzione della parola con la traccia fono-video-registrata, il contrabbando della relazione con la virtualità, l’adulterazione della vicinanza con il manuale d’uso … ecco altrettante situazioni, altrettante subordinazioni …
15. Dis-ordini
Subordinazione, sub-ordine, ordine sottostante, sottostante ad un (dis)ordine di cose. L’ordine disciplinato, ubbidiente, ossequioso, dipendente, assoggettato, gregario, del dominio mercantile globalizzato.
16. Tempi di lavoro
Nella sua egemonia dichiarata della flessibilità, la geografia della modernità post-industriale ostacola ed elimina pure oggi ogni legame naturale, ogni diritto del bambino alle cure, sia parentali e dell’adulto, a tempi a lui dedicati … ad avere genitori presenti con la mente perché non spossati dal lavoro.
L’esistenza di un tempo che non sia contabile o redditizio: ecco il grande “spreco” alla quale bisogna mirare senza tentennamenti. Un grande sogno sovvertitore?
17. Bisogni primari
Siccome la società moderna ha riuscito a soddisfare i bisogni primari, biologici e di sopravvivenza del bambino – il sederino pulito, il ventre ben pieno, i giochi video come sostituti della relazione parentale – possiamo credere di avere compiuto e concluso il compito genitoriale?
L’aberrazione é osservare il crescere di una egemonia della cura che rende il bambino oggetto: oggetto delle pubblicità, oggetto delle cure, oggetto delle istituzioni, dei vestitini firmati, dei giochi elettro-guerrafondai, segmento di mercato … una egemonia che vuole inscatolare il bambino in catene di cura dove il consumo prevale sulla relazione.
18. Apparenze
L’aberrazione nella vita degli uomini non é un fenomeno passivo dovuto all’abuso di giudizi di un mondo fallace, ma la conseguenza d’atti non ragionati, concatenati e che tirano la loro logica da costrizioni in apparenza immediate ma mai messe in questione.
Questo svuotamento dell’esistenza individuale é il binario sul quale corrono le alienazioni.
A questo svuotamento corrisponde una falsa coscienza, un falso concetto del bisogno. Questa falsità é conseguenza e frutto dell’insicurezza che l’ideologia pubblicitaria crea quotidianamente ad arte nel cittadino. Come resistere continuamente agli inviti consumistici, come pensare che l’ultimo gadget non sia necessario e che verrà solo ad occupare un posto in più negli scaffali e degli armadi casalinghi? Sino a quando astenersi dall’acquistare i derivati di ultimo grido? Come porsi di fronte al giudizio “ma come? ma siete troppo rigidi, passatisti” o a qualsiasi commento che invita alla giustificazione alla normalizzazione?
Come ragionare e mettere in discussione quelle costrizioni all’acquisto? e ciò nei confronti di coloro che agiscono ma non riflettono, di coloro che nulla di strano e alienante trovano in questo consumismo? come porsi nei loro confronti? ecc … ecco alcune domande che possono indebolire la determinazione dell’individuo a perseguire “la retta via”.
19. Esercizi 5
“Ebbene con nostro figlio proviamo a fare così:
portiamolo regolarmente a mangiare alla McDonald,
compriamogli merendine edulcorate EE,
nutriamolo transgenicamente,
lasciamolo inchiodato come minimo 1 ora davanti al televisore (ma meglio 3 ore),
sottoponiamolo a qualche video fumettistico ben armato degli ultimi ritrovati bellico-cibernetici,
sostituiamo il gioco collettivo con qualche giochino video,
sostituiamo la relazione (la parola) con i genitori e i compagni con qualche ritrovato video televisivo, passeggiamo regolarmente nei grandi magazzini ricolmi di merci,
subissiamolo di discorsi aggressivi e guerrafondai, …
ma principalmente e soprattutto permettiamogli di vedere e leggere quante più pubblicità alimentari, ludiche e di vestiti griffati che si possa e ciò possibilmente senza sosta.
20. Reti
Chi non rimane preso nella rete della pubblicità, pur magari facendone resistenza?
Chi non si scopre sorpreso confrontandosi con il modello che gli viene condizionato? “In verità é così invasiva, così tanto presente negli spazi pubblici e privati … troppo sovente occupa le nostre menti e per ciò non può essere considerata unicamente come un fatto neutro e meramente economico.
Ora noi vediamo bene qual’é lo stupore pubblicitario, l’innocenza del consumatore di fronte al cartellone che lo cattura invitandolo o a essere, o consumare secondo uno stile proprio al cittadino “arrivato”: “ecco ciò che tu devi essere”, “ecco ciò che tu sei”. E si, perché la pubblicità ti educa, ti invita, ti conduce alla conformità da essa decisa. Proprio come uno specchio, uno specchio identitario, ti dice ogni volta come devi essere, o come puoi essere, o come puoi essere migliore di quanto sei adesso. Ti interroga, e giocando sull’avere ti fa sentire!
“I nostri nonni portavano sovente delle insegne religiose, noi portiamo piuttosto delle insegne politiche, i nostri figli portano delle marche: abbiamo dei figli Nike, dei figli Benetton, dei figli McDonald o Coca Cola!” 6.
La misura dell’educazione moderna si fa in minuti e in metri cubici. Minuti di pubblicità radio televisive, metri cubici di merci esposte negli scaffali dei grandi magazzini, metri cubici di pubblicità stradali (cubici perché lo spazio pubblicitario é quello percettivo – la distanza dunque tra il cartellone e il soggetto che lo guarda).
I legislatori, invece che permettere di ricoprire i muri, i marciapiedi e le piazze di cartelloni pubblicitari, nelle scuole, nelle strade delle città, nei luoghi pubblici, meglio, molto meglio, farebbero a creare delle zone franche, delle bandite dove nessuna pubblicità commerciale possa essere posta a memoria delle future manipolazioni dell’infanzia”.
21. Svuotamento
Quello svuotamento dell’esistenza confluisce pure con una maniera di concepire il mondo e l’educazione reale. Evidentemente non trattiamo dell’educazione dichiarata, professata, descritta nei manuali di puericultura o di pedagogia, non parliamo di quanto gli esperti spiegano e invitano a fare nei loro consigli. Trattiamo della quotidianità degli inviti e dei consigli che appaiono massicciamente nella vita di ogni madre e di ogni padre. Trattiamo dell’educazione sviluppata quotidianamente, tra mille difficoltà, orari di lavoro, stanchezza e proposte di consumo.
Trattiamo della TV, della pubblicità, dei telefilm, delle pubblicità stradali, del lavoro, dell’alienazione e della stanchezza.
La televisione e la pubblicità propongono una egemonia della cura che rende il bambino oggetto: oggetto delle pubblicità, oggetto delle cure, oggetto delle istituzioni, dei vestitini firmati, dei giochi elettro-guerrafondai, delle merendine avvelenate, segmento di mercato … una egemonia che vuole inscatolare il bambino in catene di cura dove il consumo prevale sulla relazione …
22. Funzione genitoriale
Come una comunità può e deve assolvere la sua funzione genitoriale?
Ecco una questione alla quale non tutti i genitori sanno rispondere, e che poi molti nemmeno si possono porre (perché? perché se lo facessero entrerebbero in una spirale che mette in dubbio tutta la propria realtà quotidiana, il lavoro, ecc …).
Quanti genitori possono assolvere alla loro funzione genitoriale? E in quale maniera possono assolvere a questa funzione? vale a dire: quali i tempi e gli spazi, i luoghi della cura, i tempi dell’ascolto e del gioco, l’energia, le attenzioni e la cura che possono confluire nella relazione con l’altro?
Appunto perché la società opulenta crede di assolvere il compito che le spetta – soddisfare i bisogni primari – che il bambino é reso oggetto? La visione sottostante a questo modo di procedere é propriamente quella meccanicista e consumistica. In virtù di questo mercato, in difetto dei processi di socializzazione, di soggettivizzazione del bambino il bambino é reso oggetto. Come un’automobile che necessità di controlli regolari, pulizie, benzina, olio, meccanico, ecc … In verità il mercato propone solo oggetti di consumo, e con questo propone dei comportamenti codificati e monetarizzabili (la linea di crescita di vendita). Questa é la sua funzionalità educativa (si fa per dire).
23. Tempi
Quali i tempi del bambino allora? Quali i tempi e i luoghi dell’educazione? Quali i ritmi? I ritmi di gioco, del sonno, della fame, dei bisogni, del riposo, ecc … e quali i tempi dei genitori?
In fondo oggi tutti sanno che i primi anni di vita del bambino, diciamo i primo tre almeno, sono fondamentali per tutto il suo futuro. Questi sono anni fondatori. Quanti e quali sono i genitori/bambini che possono prendersi cura di questo periodo che viene vissuto una sola volta? Quanti e quali sono i genitori che hanno tempo fisico e mentale (energetico) per parlare ancora con loro, di ascoltare le loro parole, i loro sintomi …
24. Doveri
Il dovere d’accoglienza é l’altra faccia della medaglia: il diritto del bambino. Ma se il bambino ha un diritto di chi il dovere?
Bibliografia
Accardo A., De notre servitude involontaire, lettre a mes camarades, Agone Marseille
Ariès Paul, Les Fils McDo, L’Harmattan
Brune François, Sous le soleil du Big Brother, L’Harmattan, 2000
Brune François, Le Bonheur conforme, essai sur la normalisation publicitaire, Gallimard 1981
Ceppi Daniel, Pondicherry, filiation fatale, Les Humanoïdes associés
Codello Francesco, Arriva il bambino a una dimensione, in Libertaria, il piacere dell’utopia, anno 3, 1, pagg. 41
Ende Michael, Momo, Longanesi
Galeano Eduardo, Patas Arriba, Siglo Veintiuno, Madrid,trad it., A testa in giù. La scuola del mondo alla rovescia, Milano, Sperling & Kupfer, 1999
Galli Giovanni, Pedagogie di classe, protezione dell’infanzia, articolo apparso in AREA
Note
1) Cfr. l’interessante romanzo per ragazzi, Momo, di Ende Michael, ed. Longanesi ritorna al testo
2) Cfr. a questo proposito Francesco Codello, Arriva il bambino a una dimensione, in Libertaria, il piacere dell’utopia,a nno 3, 1, pag. 41, oppure ritorna al testo
3) Eduardo Galeano, Patas arriba, Siglo Veintiuno, Madrid, 2998, trad it. A testa in giù. La scuola del mondo alla rovescia, Milano, Sperling & Kupfer, 1999 ritorna al testo
4) Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, Einaudi, pag. 12 ritorna al testo
5) Giovanni Galli, Pedagogie di classe: protezioni dell’infanzia, articolo apparso in AREA, settimanale di critica sociale, ritorna al testo
6) François Brune, Casseur de Pub, ritorna al testo