Mimetismo e imitazione

Tratto da “Il lato oscuro della forza. Ordine, disordine, socializzazione, gioco”.
Di prossima pubblicazione
Giovanni Galli

Il mio bambino è molto socievole, credo abbia trovato il suo equilibrio in classe mimetizzandosi. A proposito di un esercizio, mi diceva: “mamma non lo sapeva fare nessuno, perché avrei dovuto saperlo fare io?”.

Molte persone sono portate a pensare che un ragazzo APC, essendo più intelligente, non avrà problemi nella vita. 
In una breve nota scritta in rete (vedasi “Il falso sé e gli APC” nelle mie pagine internet):

“E. Levin (2010) ci rende attenti a ciò che chiama la “funzione dell’amico”.
La funzione dell’amico nell’infanzia svolge un ruolo fondamentale in tutte le acquisizioni infantili, soprattutto nell’esperienza del bambino e nella “plasticità simbolica”.
Costruire il pensiero con questo altro simile è essenziale.
L’idea è che questi bambini (apc), durante la loro infanzia, debbano stabilire e vivere un legame sociale, molto più “produttivo” della generale esperienza degli altri. Ben intesi, la posta in gioco non è il plusdotato o la plusdotazione, ma il rapporto con gli altri, vale a dire ciò che accade “tra due” soggetti, e l’esperienza che lì si può vivere in relazione al desiderio e allo sviluppo infantile.
Nel mondo globale di oggi, sicuramente la scuola ha un ruolo centrale di strutturazione del legame sociale, ben al di là di un luogo di conoscenza e di apprendimento”.

Un problema si pone quando non hai questo amico, o quando non riesci a trovarlo!

Sorvoliamo un attimo ancora l’articolo precedente.

“Il falso sé è un adattamento dell’identità profonda che si fonde nella massa. Un essere, o un divenire camaleonti, dove gli elementi inibitori del talento hanno il sopravvento, pur essendo magari mal vissuti.

In verità l’iperadattamento può essere considerato come una funzione di difesa, sulla base di identificazioni nel gruppo dei pari. In qualche maniera ciò tende a proteggere il vero sé, che si sente minacciato.
Così si costruisce una personalità conforme alle attese esterne, o ai modelli dominanti, mascherando la persona che si è veramente.

Il falso Sé si riferisce a quella parte del Sé che produce l’adattamento alle richieste dell’ambiente, in contrapposizione al vero Sé, la sede più intima e autentica degli affetti e dei bisogni. 
Mentre al falso Sé si attribuisce una collocazione di superficie nella struttura della personalità, in relazione agli aspetti per così dire “visibili” di questa nel contesto interpersonale, il vero Sé ha una collocazione più profonda.

Lo sviluppo del bambino APC rischia di diventare una crescita sprovvista di specchi. Specchi dove confrontarsi, con gli altri, per scoprire e costruire la propria identità.
Ciò avviene perché questi ragazzi non trovano nei pari il pane per i loro denti.
Il falso sé può attivarsi dalla prima infanzia come reazione alle pressioni di conformità, oppure come tentativo di trovare degli specchi. Ma in questo caso saranno specchi deformanti, perché non adatti alle competenze del bimbo”.

Un’idea sbagliata è quella che i ragazzi APC debbano adattarsi, come tutti.
In verità il rischio è quello dell’iper adattamento o del mascheramento.

Spesso scrivo che “il problema dell’intelligenza è un problema sociale”. Un problema, quindi, quando non hai questo amico, o quando non riesci a trovarlo.

1) Mimetismo

Veniamo al mimetismo, e alla domanda del genitore. 

Mimetizzarsi è necessariamente e univocamente una perdita di sé? Non si tratta forse di una protezione? Il fare come gli altri, può essere salutare, permette di evitare guai. Salvare la pelle non è disdicevole.

Quando i bambini si sentono bene con se stessi, sono disposti a prendere più rischi accademici e sociali. Per i bambini dotati, questo è particolarmente importante perché se non prendono rischi accademici, tendono a sentirsi annoiati ed insoddisfatti. Non solo. Come sappiamo, sviluppano un falso sé, oltre che evitare di sviluppare le proprie competenze esecutive.

La somiglianza protettiva.

Mimetismo: atto della mimetizzazione, capacità di un organismo di imitarne un altro (copiarne l’aspetto), allo scopo di trarne vantaggio. 

Con criptismo si intende la facoltà di confondersi nell’ambiente.

Possiamo quindi avere situazioni dove il soggetto copia l’aspetto (moda, taglio dei capelli, eccetera) oppure copia comportamenti (fare la ola allo stadio)

Funzioni del mimetismo: il mimetismo è una forma di difesa, adottata per proteggersi dagli attacchi dei predatori.

Il mimetismo è quindi una somiglianza protettiva.

Sinonimi: mascheramento – mimesi – imitazione – copia

Somiglianza rimanda a confomità – analogia – paragone – attinenza – affinità
Le funzioni della somiglianza? Costruire un legame.

Se metti una mela rossa accanto a un mucchio di pomodori, al primo colpo d’occhio vedi solo un gruppo di oggetti tondi e rossi.

Questa percezione ha a che fare con i principi della Gestalt.
È una regola che tende a raggruppare gli elementi percepiti in una unità “il gruppo degli oggetti rossi”.

C’è quindi un mimetismo protettivo, la percezione di un pericolo. La necessità di non esporsi, non mostrarsi, confondersi con gli altri.
Quale il pericolo (i pericoli) all’origine di questo defilarsi nel gruppo?

“Non è poi cosi intelligente”.
“Anche lui deve fare come gli altri”.
“Fa errori sciocchi”.
“Parla sempre”.
“Non è attenta”.
“Anche lui è come gli altri”.
“Non rispetta il turno di parola”.
“Sta sempre solo a ricreazione”.
“Non gioca con gli altri”.
“Non gioca a palla”.
“Guarda fuori dalla finestra”.
“Non mi guarda quando parlo”.

2) Socializzazione
Il mimetismo come base della socializzazione.
Il mimetismo è una socializzazione? Quale integrazione per il soggetto mimetizzato?

È interessante leggere le definizioni sui dizionari della lingua italiana. 

Da in lato, i sinonimi di socializzazione sono dell’ordine: collettivizzazione, statalizzazione, municipalizzazione, nazionalizzazione.

Socializzare conduce al rendere sociale, al trasferire ad una collettività, trasferire un bene ad un gruppo, mettere a disposizione del gruppo.
La socializzazione diventa quindi il risultato del socializzare.

L’altra faccia della medaglia della socializzazione è l’integrazione.
Nelle definizioni, leggiamo: completamento, compimento, perfezionamento.

Tramite la socializzazione si attua un processo di integrazione (e viceversa). 
Vale a dire: mettendo qualcosa a disposizione del gruppo il soggetto si completa e si perfeziona.
Tramite lo scambio con gli altri, il soggetto, ri-conosce se stesso e costruisce la propria personalità.
Vale a dire: la crescita del soggetto, del suo Io, avviene grazie agli scambi progressivi che intrattiene con il suo ambiente (nutrice) circostante.

L’esperienza scolastica mobilita:
– fattori esterni quali: 
l’adattamento alla scuola, 
il ruolo dei genitori, 
la relazioni con i pari
– fattori interni quali: 
la motivazione, 
la stima di sé, 
il funzionamento cognitivo (dis sincronie/discrepanze di sviluppo)

La de-motivazione (mimetismo) scolastica del giovane apc si nutre del valore sociale accordato ai suoi interessi.

Bisogna dare, fidare, costruire senso. 
Il bambino in sotto rendimento è un bambino non motivato, non stimolato.
Il giovane mimetizzato cerca relazioni, schemi sociali “efficaci” che lo portano a proteggersi nel gruppo, dal gruppo.

Non sono pochi i bimbi APC che sono cercati ed apprezzati dai compagni.
Ma questo essere socializzato implica anche il sentimento “sentirsi socializzati”? L’esperienza dello stare assieme e del fare assieme non implica la condivisione di uno scenario.

Il punto di vista del soggetto, il suo vissuto, non corrisponde necessariamente all’appartenenza ad un dato gruppo, al sentirsi “membro di …”. Io posso ben collaborare ed eseguire un esercizio, magari facendo d tutor ad un allievo meno abile. Ma posso farlo senza condividere le premesse e gli sviluppi del tutorato.
Posso ben avere socializzato, ma nel contempo non sentirmi parte del gruppo. 

Trattiamo quindi di una forma di adattamento che non comporta un beneficio per il soggetto (che sia identitario, narcisistico, cognitivo o quant’altro). 

Posso far parte di una classe, eseguire le schede, alzare la mano a modino, rispondere in maniera garbata, eccetera, ma sentirmi solo. Non sentirmi parte del gruppo. È la realtà del posteggio.

Come ha da crescere chi si nasconde?

Possiamo affermare che vi sono procressi di socializzazione che non comportano processi di identificazione: mimetismo appunto.

Quindi trasformerei la domanda del genitore a sapere quando il mimetismo non funziona o quando il mimetismo comporta un abbandono del sé.

Ci sono bambini APC che hanno “deciso” di non essere differenti dagli altri.

Questi bimbi non vogliono fare cose differenti dagli altri?
Insomma:
– hanno scoperto il dolce far nulla?
– evitano l’impegno per l’ansia di prestazione?
– si sentono secchioni?
– non vogliono essere osservati?
– temono la prestazione? 
– non vogliono faticare?

È notorio che il ragazzo APC evita le situazioni di apprendimento intenzionale, situazioni che implicano un controllo ripetuto degli aspetti computazionali.
Evitano di fare lo sforzo, non si abituano allo sforzo.

L’evitamento è una modalità di funzionamento persistente e invalidante, che non consente all’individuo di affrontare una situazione temuta.
Invece, il ragazzo APC deve essere aiutato a sviluppare le proprie competenze. 
La questione, in poche parole, è la seguente: l’essere come gli altri implica il fare come gli altri, quindi, per lui, ciò rappresenta il disimpegno. 
Il docente non dovrebbe proprio allinearsi al ritiro del giovane APC. 

3) imitazione 
L’imitazione si riferisce a una forma di comportamento che copia più o meno fedelmente un altro. L’imitazione costituisce una forma di apprendimento di particolare importanza.
Si considera che si imita l’altro per diventare se stessi.
Imitando gli altri o scambiando i ruoli, il soggetto impara a produrre i medesimi gesti, i medesimi simboli, a formare le categorie di pensiero, impara e sviluppa il suo linguaggio. Impara quali posti sono liberi e quali occupati, impara una gerarchia di azioni.
Il soggetto partecipa con altri a delle attività che richiedono attenzione e presenza.

La psicologia distingue l’imitazione motoria da quella differita. Agita cioè in assenza del modello, si sviluppa nelle rappresentazioni, interiori o agite.

La funzione dell’imitazione è una funzione del pensiero. 

Ne “Quando il ludico continua a deludere”, scrivevo (vedasi nelle mie pagine):

Io imito gli altri, gli altri mi imitano. L’imitazione infantile è una forma di dialogo.
Il termine può avere una valenza negativa, se la copia è una riproduzione sterile e ripetuta.
Il termine può avere una valenza positiva, se il modello è preso come punto di partenza e stimolo.

Pensando alla primissima infanzia, un fenomeno germinativo è l’imitazione differita: il bambino manifesta comportamenti che ha visto compiere da qualcuno in precedenza.
Il passaggio dal comportamento senso motorio alle azioni concettualizzate conduce all’interiorizzazione dell’imitazione in rappresentazioni mentali e ai progressi dell’intelligenza pre verbale.

Il bimbo, con l’imitazione acquista l’uso del linguaggio, entra nella cultura di appartenenza, si identifica in modelli.
La psicologia dell’età evolutiva descrive la socializzazione infantile e la formazione della personalità come un processo nel quale il bimbo si rivolge a modelli di riferimento.

Nella prima infanzia l’acquisizione di competenze sociali avviene attraverso l’osservazione, il contatto e l’imitazione. 
Il gioco con gli altri aiuta il giovane a diversificare la sua esperienza sociale. Giocare assieme, ascoltare, mostrare attenzione, cantare assieme, eccetera, immedesimarsi negli altri, sono competenze che permettono di interagire con gli altri. 

L’importanza dello specchio illustra le dinamiche bilaterali e pure quelle unilaterali.
Come mi sento, se vengo imitato? 
Il mio comportamento viene sollecitato: “fate come lui”. Il mio comportamento è condiviso. Il mio comportamento viene gratificato. Sono appagato nel mio comportamento. Altri fanno come me. È come una ricompensa.
Durante la prima infanzia, l’imitazione passiva promuove un orientamento sociale. I bimbi percepiscono quando gli altri li stanno imitando.
L’imitazione reciproca aiuta i bimbi a capire che possono agire come gli altri e viceversa.

Come mi sento se non vengo imitato?
Nessuno fa come me. Io li osservo, loro sono nel loro “brodo”. Io nel mio.
Io imito gli altri, ma gli altri non imitano me. Il mio comportamento non è condiviso.
Mi biasimo o mi incolpo. Non faccio giusto.

Ecco: non faccio giusto. 
Il sentimento di estraneità che può vivere un giovane o un adulto APC non è un sentimento misurabile.
“A ricreazione se ne sta in un angolo senza giocare con gli altri”. 

Possiamo aiutare il bimbo a stare con i suoi compagni di classe e fare i loro giochi, con i loro ritmi e le loro rappresentazioni. Ma dobbiamo aiutare il bimbo APC a staccarsi da quel gruppo nel quale molto parzialmente potrà specchiarsi.
Entrare ed uscire a seconda delle circostanze, del contesto e delle richieste.

Incisione dei camuni.

4) imitazione e identità
Il concetto di adattamento presume un processo ideale che conduce l’organismo, da uno stato, una forma di fare o di essere, iniziale ad uno finale.
Dinamica: adattamento.
Condizione: adattato.
Abbiamo quindi dei processi (adattamento) che portano ad uno stato, adattato.

Chi non rimane preso nella rete delle gratificazioni, pur magari facendone resistenza?Quale bimbo non è attento ai rinforzi (positivi e negativi, non abbiamo bisogno di rocordare Pigmalione) che riceve il suo compagno?
“Ecco, fate come lui”.
“Non guardare fuori dalla finestra”.
“Colora meglio”.
Chi non si scopre sorpreso confrontandosi con il modello che gli viene proposto? 
Ora noi vediamo bene quale può essere lo stupore, l’innocenza del bimbo di fronte al modello che lo cattura invitandolo a essere, o a fare secondo lo stile proprio al “bimbo educato”: “ecco ciò che tu devi essere, ecco ciò che tu sei”. E si, perché l’imitazione ti educa, ti invita, ti conduce alla conformità da essa decisa. Proprio come uno specchio, uno specchio identitario, ti dice ogni volta come devi essere, o come puoi essere, o come puoi essere migliore di quanto sei adesso. Ti interroga, e giocando sul fare (“si deve fare così”) ti fa sentire!

L’imitazione è una strategia di mimetismo. Non è necessariamente negativo.
Si apre però un nuovo capitolo, a sapere come sviluppare e sostenere la crescita identitaria. Ne scriveremo parlando del gioco.

Giovanni Galli, Sonlert settembre 2021
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