“Scusate il ritardo, … la mamma ha perso il treno”. Formazione, selezione e scuola classista.

Per quanto lo permette questo ridotto articolo, oggi vorrei trattare fondamentalmente di democrazia scolastica, di formazione, di democrazia della formazione e di ri-distribuzione delle offerte di formazione, tra pubblico e privato [1]

Ci muoveremo dunque alla luce di alcuni dati statistici e alla fonte di alcune attuali scelte metodologico-didattiche.

Ma prima tre osservazioni si impongono.

Primo: il 15% dei quindicenni esce dalla scuola dell’obbligo con gravi difficoltà nella lettura. Il dibattito sulla selezione scolastica deve tornare ad essere centrale, là dove si produce per la prima volta: sui banchi della scuola dell’obbligo.

Secondo, i servizi di sostegno hanno visto vieppiù allargare i propri compiti: dalla iniziale gestione dei “casi difficili”, alla co-gestione di metodologie della differenziazione o co-costruzione di percorsi differenziati, ecc … L’idea che la difficoltà scolastica (che sia di tipo cognitivo o relazionale) vada ad essere trattata in maniera specialistica ha tacitamente avvallato la rimozione dei discorsi sulla selezione.
Così, negli anni recenti, il discorso sulla selezione scolastica ha cambiato paradigma: abbiamo assistito alla ricollocazione della selezione nel contesto del disadattamento.

Terzo, non bisogna confondere la selezione con la bocciatura. La selezione si fa principalmente senza bocciature: nelle note, nei livelli, nelle occasioni formative sfuggite, nei percorsi differenziati …

Alcuni dati

Allievi seguiti dai servizi di sostegno pedagogico (SSP)

Nell’anno scolastico 2001/2002 complessivamente il 14,7% degli allievi delle scuole obbligatorie (scuola dell’infanzia, elementare e medie) sono stati seguiti dai servizi di sostegno pedagogico (rispettivamente il 6,9% nell’anno 85/86 e il 12,2 % dell’anno 1991/92).

Complessivamente questi bambini sono così ripartiti:

Distribuzione dei bambini secondo la nazionalità (2001/2002)

% stranieri nella Pop. totale% stranieri nella Pop. SSP
S.I.27.534.4
S.E.28.140.3
S.me.28.845.7


Distribuzione dei bambini secondo il livello socio-economico (1996/97)

 Pop. TotalePop. SSP
 BassoMedioAltoBassoMedioAlto
S.I.40.843.012.147.243.38.5
S.E.41.443.911.060.031.85.7
Sme.42.042.89.567.025.83.2


Da questi dati emerge che:

  1. i bambini stranieri (complessivamente il 42,5 ) e quelli appartenenti al livello socio-culturale basso nel SSP sono sovrarappresentati rispetto la popolazione totale;
  2. la sovrarappresentazione aumenta man mano che si procede nella scolarità (il deficit é dunque cumulativo).

Si rileva anche il numero complessivo crescente, oggi il 14,7% degli allievi necessitano di un aiuto “specialistico”.

Disturbi specifici e disturbi non specifici d’apprendimento

In una indagine del Provveditorato di Modena nel 1991 (riportato in G. Stella), indagine condotta attraverso 8000 questionari rivolti ad insegnati di scuole elementari e di scuole medie, si osserva come il percento degli allievi bisognosi di un “aiuto esterno”, secondo le opinioni dei docenti aumenti costantemente (nota bene si tratta di opinioni e non di diagnosi). Così dal 12,88 % di allievi bisognosi della scuola elementare si arriva al 23,4 % della scuola media.

Indagine condotta presso gli insegnanti

ClasseS.E. %S.Me. %
Prima9,922,8
Seconda1224
Terza13,524,1
Quarta14,2
Quinta14,8
Percentuale media12,8823,4


Nota: in Italia le medie vanno fino alla terza

Malgrado ciò il numero di bambini che presentavano una difficoltà di apprendimento specifico – (con una indagine svolta con strumenti diagnostici a valore oggettivo) sono molto più ridotti: da 1,8 % al 6 % a seconda del disturbo specifico.

Indagine prove oggettive

Area di competenzaS.E. %S.Me. %
Lettura3,83,6
Comprensione testo1,82
Scrittura4,14,5
calcolo65,3


Oltre al rilevato generico aumento di allievi bisognosi è importante rilevare come invece le percentuali delle difficoltà oggettive non aumentano con l’età. Sono quindi indipendenti dal contesto scolastico e dal livello evolutivo raggiunto.

Queste due differenze si spiegano facilmente. Hanno a che fare con l’incidenza dei disturbi specifici di apprendimento (DSA, secondo i manuali diagnostici quali il DSM-IV o l’ICD-10.) e con i disturbi non specifici.

I primi trattano di una o più difficoltà endogena indipendente dagli influssi ambientali.

I secondi trattano di difficoltà che il soggetto sperimenta nella sua relazione con la scuola. Il gap, fra le prove “oggettive” e quelle relative all’indagine presso i docenti, viene dunque probabilmente a spiegarsi attraverso l’incidenza di fattori ambientali: quali il cattivo insegnamento, le condizioni socio-culturali, i problemi affettivi, relazionali, ecc …

L’indagine indica che il disagio scolastico manifestato dagli allievi non coincide principalmente con delle vere e proprie difficoltà di natura specifica, ma è espressione di problemi di natura diversa. Problemi che provocano forti ricadute nelle prestazioni scolastiche, pur essendo di natura diversa.

Le lezioni private

I dati seguenti sono speculari a quelli precedenti. Parlano di una selezione verso l’alto. Le lezioni private sono un fenomeno che vede impegnate le famiglie di reddito alto. Così Scuola Ticinese, n° 253, 2002, pag. 24, descrive questi ragazzi: “Ragazzo o ragazza nato in CH, di lingua italiana, i cui genitori avevano una formazione elevata ed esercitavano una professione di categoria superiore”.

I dati raccolti dall’Ufficio studi e ricerche nella primavera del 2000, ci dicono che il 13,3% degli studenti frequentava delle lezioni private, specialmente matematica e lingue straniere. Nell’anno scolastico 2002-2003 a Losone una inchiesta interna ha trovato che il 10,9% di studenti “é stato confrontato con le lezioni private”.

Scuola, formazione e potere d’acquisto

Oggi si confonde la formazione con la scuola, come se fossero la stessa cosa. I concetti stessi dell’educazione e dell’istruzione fanno pensare a qualcosa di ridotto nei tempi e negli spazi: si impara solo nella scuola.

Tutti gli specialisti ne convengono: oggi impariamo molte più cose fuori scuola che non dentro (a seconda delle opinioni dal 50% al 80% delle cose vengono imparate fuori)

Oggi la realtà è infinitamente più ricca e stimolante di quella diciamo di 20 – 30 – 40 anni or sono: radio, cinema, TV satellitare, giornali, internet, ecc … bombardano il nostro quotidiano

Suonare uno strumento, andare a teatro o al cinema, recitare in un teatro, cantare in un coro, giocare a scacchi, esercitare una disciplina sportiva, realizzare un DVD, visitare un museo o andare per esposizioni … sono altrettanti momenti, altrettanti luoghi e altrettante occasioni formative. Far parte di una squadra permette di imparare qualcosa sul piano della collaborazione, delle relazioni … e anche della geografia quando si va in trasferta. Partecipare ad una recita rinforza l’individuo sul piano dell’espressività, della mimica, della memoria, ecc …

Chi si sente di negare che questa ricchezza formativa determina per una grande percentuale la riuscita scolastica?

Privati e società reggono le lezioni di musica, di sport, di teatro, ecc … L’accesso classista alla formazione è dunque così assicurato a coloro che possono pagarselo.

Altro che uguaglianza delle chances. La formazione è oggi un lucroso affare dominato dal privato e dove la scuola è presente solo in minima parte.

 La scuola è classista? Ma come ancora dubitarne! L’accesso alla formazione è un accesso determinato dal potere di acquisto, o, se preferite, dal potere di consumo.

Le competenze all’uscita della scuola media (Sme)

Il 20% dei maschi e il 12% delle femmine quindicenni in Ticino escono dalla scuola media con “competenze (che) non sono sufficienti ad assicurare in modo indipendente sapere e conoscenze specifiche” (Bravo chi legge).

Complessivamente il 15% dei quindicenni esce dalla scuola con gravi difficoltà di lettura.

Un terzo degli allievi che hanno terminato la scuola dell’obbligo in Svizzera non é in grado di comprendere un testo semplice, il 20% ci riesce a mala appena (Pisa 2000, Programme for International Student Assessment).

Uno studio condotto dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) sugli abitanti della Svizzera, in età compresa tra i 16 e i 65 anni, ha confermato questo dato di fatto. Il 9,1% della popolazione autoctona e il 63% degli immigrati rientrano nella categoria con più gravi problemi di lettura e scrittura.

La Svizzera, tra i paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), appartiene al gruppo delle nazioni dove lo status professionale dei genitori incide maggiormente sulle prestazioni degli allievi. Un fatto appare evidente: per avere successo a scuola é meglio avere genitori svizzeri e colti.

Nel test Pisa i migliori risultati sono stati ottenuti da giovani cresciuti in un ambiente propizio, dove i genitori vantano una solida formazione culturale ed esercitano un’attività professionale ben remunerata e di alto prestigio sociale. La metà degli allievi figli di immigrati hanno invece riscontrato notevoli difficoltà. I problemi tendono infatti ad acuirsi quando alla scarsa formazione del contesto familiare si aggiungono l’insufficiente conoscenza della lingua d’insegnamento e la poca dimestichezza con la cultura locale.

Selezioni alle elementari

Origine socio-culturale degli allievi  e livello di padronanza raggiunto in matematica alla fine dell’anno (Dimat) [2].

Classe 3 (indagine su quattro classi del cantone Ticino)

Livello socio-economico
BassoMedioAlto
Scarto dalla media– 5,14+ 1+ 4,14


Classe 5 (indagine su sette classi del cantone Ticino)

Livello socio-economico
BassoMedioAlto
Scarto dalla media– 4,15+ 0,68+ 3,47

Ebbene sia in terza che in quinta S.E. i ragazzi di estrazione sociale più bassa, cumulativamente, non raggiungono la media della classe e si situano rispettivamente 9,28 e 7,62 punti sotto i ragazzi di livello superiore.

Le note di italiano a fine anno [3].

La media cumulata in tre classi di 5 elementare (59 allievi) vede una differenza tra basso e alto ceto della nota di 0,93.

Piste indiziarie

1) La responsabilità del disadattamento ricade sul principio dell’uguaglianza formale fra gli individui, derivato dalle filosofie liberiste (che oggi imperano), a cui ubbidisce tutto il sistema scolastico. Questa uguaglianza formale finisce per favorire i favoriti e per sfavorire gli sfavoriti semplicemente ignorando nei contenuti dell’educazione, nelle tecniche di trasmissione e nei criteri di giudizio, le diversità socio-cognitive esistenti fra gli utenti della scuola, come pure il potere di acquisto delle famiglie.

2) In questi ultimi anni, le speranze per una scuola migliore sembra siano state riposte essenzialmente in due approcci pedagogico-didattici.
Il primo consiste nelle valutazioni di entrata degli allievi al fine di stabilire il livello delle loro competenze. Queste valutazioni possono essere effettuate ad ogni livello scolastico per, e qui viene la seconda impostazione, differenziare gli apprendimenti.
In verità solo recentemente si cominciano a capire le collusioni fra gli obiettivi generosi, ideali dell’approccio differenziato delle materie e l’interessamento, per tali approcci, da parte dei fautori del liberismo e dell’ottimizzazione delle risorse.

3) Il tema delle valutazioni di entrata si ricollega decisamente a quello della possibilità della “certificazione oggettiva” degli apprendimenti. La diffusione di materiali comuni a tutto il cantone (come per esempio quelli di mate, francese, o grammatica) permettono un controllo capillare comune e omogeneo di tutti gli allievi. Così ad esempio una valutazione in matematica (dimat) diventa uguale da Airolo a Chiasso perché l’apparato di percorsi proposti é identico. Basta guardare quante schede il ragazzo ha effettuati … È evidente l’assoluta omogeneizzazione degli approcci e l’appiattimento su materiali artefatti, uguali per tutti …

4) Ebbene l’esperienza della differenziazione dei programmi ci dice che questa viene oggi a certificare la selezione scolastica, senza per questo essere in grado di intaccarla.
La differenziazione si manifesta idealmente come una organizzazione e una concezione moderna, generosa, aperta e che permette ad ogni allievo di rispettare il proprio ritmo evolutivo, senza forzarlo a fare cose per lui in quel momento troppo lontane, difficili o incomprensibili. In realtà questa concezione non vive sulle nuvole, ma si applica in un contesto che è storico, sociale, culturale. E questo contesto é fatto di ineguaglianze di formazione e di censo.
Il ragazzo che prosegue il suo percorso al suo ritmo, non deve poi, alla fine del curricolo, fare pure lui i conti? Oppure il suo personalizzato percorso lento non ha a che fare con le note finali e gli obiettivi minimi di padronanza?

5) La differenziazione oggi viene organizzata essenzialmente con degli apparati e strumenti didattici che consistono in percorsi progressivi di schede. Il rischio di vedere la pedagogia trasformata in una amministrazione burocratica di schede è forte. I classificatori (pieni di schede) imperano; dove sono l’esperienza, la scuola attiva, la relazione, l’apprendimento cooperativo? Eccola la deriva neo-comportamentista … dove gli strumenti didattici diventano gli scopi stessi.

6) In verità oggi quella generosità finisce col favorire coloro che si conformano meglio. Questa differenziazione non cambia nulla alle condizioni di partenza, fatte di ineguaglianze … non necessariamente tiene conto delle reali condizioni sociali, culturali degli allievi.
Così, paradossalmente, l’attenzione alle differenze diventa una indifferenza alle differenze. Perché nulla può fare per modificare i spontanei ritmi lenti dei meno “abbienti” … [4]

7) Ora, se le valutazioni di entrata degli allievi al fine di stabilire il livello delle loro competenze, e differenziare gli apprendimenti, sono passi importanti ai fini di una corretta programmazione del curricolo, non si tratta di confondere lucciole per lanterne.
Da un lato vediamo molti tentativi per ovviare alla differenze evolutive con degli apparati didattici che meglio vorrebbero essere attenti alle differenze degli allievi. E ciò fa decisamente onore ai docenti.
D’altro lato credere che si possa ovviare alle insufficienze strutturali della formazione odierna con qualche rinnovamento pedagogico didattico sa di infatuazione (nel migliore dei casi) o di adulterazione (nei casi peggiori).
Oggi sarebbero necessari investimenti massicci, nella diminuzione degli allievi per classe, nella generalizzata iscrizione alle scuole dell’infanzia a tre anni, e così via … [5].
Ma probabilmente si deve pure cominciare a mettere ordine nelle offerte formative del cosiddetto tempo libero, che il privato accorda così selettivamente.
L’insegna “scuola” sta fuori, e non dentro le mura del palazzo.

Il presente articolo é stato pubblicato in Verifiche, periodico di cultura e politica dell’educazione, n° 1, febbraio 2005, Mendrisio


Note

[1] Questo articolo riprende due miei testi precedenti. Per i riferimenti bibliografici, come pure per una trattazione più sistematica e approfondita cfr.: Disadattamento, selezione scolastica, democrazia degli studi
scarpe rotte, eppur bisogna andar! Indizi e considerazioni sulla democraticità della scuola. torna al testo

[2] Dati raccolti dal sottoscritto. torna al testo

[3] Idem. torna al testo

[4] Intendiamoci: la differenziazione dei programmi è e resta una ottima chance per una organizzazione ottimale della classe, questa però non ha nulla a che fare con la democratizzazione (in verità non viene a ridistribuire nulla …). Per una trattazione più approfondita del sottoscritto sulla differenziazione dei programmi cfr.: I vestiti dell’imperatore. (Il soggetto tra globalizzazione e individuazione) torna al testo

[5] Lo stesso gruppo di lavoro del rapporto PISA segnala che bisogna incoraggiare la lettura, intensificando la collaborazione con le biblioteche. Per gli allievi che parlano una lingua straniera è opportuno predisporre corsi specifici e se necessario estenderli ai loro genitori. Si impongono poi misure sociali che portino ad un rafforzamento degli asili nido, delle mense e dell’assistenza agli allievi al di fuori dell’orario scolastico. L’applicazione di questi provvedimenti ha un prezzo: il gruppo di lavoro Pisa 2000 calcola una spesa di 1,2- 1,9 miliardi di franchi. torna al testo