Pedagogia, differenziazione, individualizzazione dei programmi.

Ancora a proposito di selezione, democrazia scolastica e maneggio della precarietà. (L’individualizzazione dei programmi è ugualitaria?)

Che la pedagogia della differenziazione (PdD) convoli a nozze con le politiche neo-liberiste, con l’ottimizzazione e la razionalizzazione delle risorse, l’abbiamo visto nel mio precedente articolo “Pedagogie della differenziazione: pedagogia per gli sfavoriti o maneggio della precarietà?”.
In quell’articolo mettevo l’attenzione sulla confusione

  • che viene fatta a livello concettuale e teorico,
  • che viene fatta de facto,
  • tra differenziazione dei programmi e democratizzazione degli studi,
  • tra rispetto delle differenze individuali degli allievi e obiettivi (minimi) di programma.

Perché, osservavo, se la PdD rispetta le differenze degli allievi, non per questo è in sé e per sé, un garante per tutti del raggiungimento degli obiettivi minimi.
In verità, a ben guardare, la confusione maggiore viene fatta tra uguaglianza delle probabilità di apprendimento (égalité des chances) e uguaglianza degli acquisiti!

Ciò che, in quell’articolo, potevano apparire insufficienti erano:

  • una lettura critica “dell’epistemologia differenzialista”, vale a dire di quali teorie, modelli psicologici di crescita, evolutivi dell’infanzia e dei processi di apprendimento la sorreggano,
  • una osservazione delle ricerche empiriche, sulla relazione tra apprendimento e PdD.

1) Appunti sulle correnti differenzialiste

1.1 Una distinzione va fatta sulla differenziazione, perché i suoi insegnamenti possono prendere delle vie divergenti, complementari, contradditorie o incoerenti a seconda delle varie combinazioni dei vari approcci.
Se, in ogni caso, sempre si tratta di prendere in considerazione la realtà individuale degli allievi, questa considerazione può portare a due obiettivi differenti.
Il primo è quello di adattare l’insegnamento al destino sociale degli allievi. Il secondo è quello di definire degli obiettivi comuni, conducendo gli allievi, dalla differenziazione, alla uguaglianza degli acquisiti.

1.2 La differenziazione prendendo in considerazione le ineguaglianze degli allievi, dovrebbe tener conto del capitale culturale a disposizione, del livello di riuscita dell’allievo, delle potenzialità prossimali di apprendimento, delle motivazioni e delle modalità di apprendimento. Ciò per tentare di correggere o di compensare i ritardi con un apparato didattico e/o relazionale maggiormente sostenuti.

1.3 Fondamentalmente alla base di tutto ciò c’é l’idea che se un allievo, fronte a un materiale didattico, si ritrova solo con un suo ritmo spontaneo ed auto diretto possa imparare meglio e magari di più. Però due elementi fortemente ideologici rischiano di inquinare l’atto pedagogico: l’individualismo e la competitività.
In verità non si dissipa il rischio di veder i più rapidi progredire più velocemente e i più lenti più lentamente, a difetto di motivazione ed autostima.
Dalle ricerche sulle bocciature (cfr. Bless, Bonvin, Schupbach) si sa che, a pari livello, un bambino promosso progredisce meglio e di più di un bambino bocciato.

1.4 L’idea che ogni bambino possa marciare al proprio ritmo, lo si rispetti per questo, e che quindi si debbano creare degli apparati didattici conseguenti, deriva da concezioni e ideologie naturaliste dello sviluppo.
“E’nella natura del bambino …” Quante volte si sente questa locuzione … In verità, come la locuzione “ritmi spontanei di sviluppo”, é un falso ideologico. Il naturalismo maschera così un elitarismo depurato dalla sua falsa coscienza.
L’insegnamento non é fatto per assecondare questi supposti “ritmi spontanei di sviluppo”, ma per stimolare, accrescere rinforzare …

1.5 Gli apparati didattici e/o relazionali accresciuti possono essere indirizzati a tutta la classe, oppure a singoli individui, o gruppi distinti, a seconda di principi più o meno espliciti che perseguono la “discriminazione positiva”.
Quanto questa “discriminazione positiva” sia agita é tutto da vedere … 
Si può considerare il sostegno pedagogico uno strumento per l’accrescimento dell’apparato relazionale.

1.6 Per quanto riguarda l’apparato pedagogico, didattico, oggi noi assistiamo:

  • ad uno sviluppo di materiali validi per tutta la classe – ciò che permette sicuramente una migliore e ottimizzata gestione della classe e delle differenze (e non é poco!),
  • ad uno sforzo piuttosto nella preparazione e compilazione di manuali e schedari.

Due dinamiche contribuiscono a questi sviluppi:

  • lo sviluppo di teorie neo-cognitiviste
  • la riduzione degli apprendimenti alla esecuzione ed appropriazione di schemi e classificatori artefatti.

1.7 Alcuni modelli volgarizzano o banalizzano i modelli d’apprendimento costruttivisti in approcci (implicitamente?) behavioristi.
Il progetto e l’ipotesi soggiacenti sono: tradurre lo sviluppo stadiale della cognizione in progressioni per difficoltà degli schedari.
Suppongono così che i materiali didattici proposti (e la loro progressione) siano equivalenti allo sviluppo stadiale. Si fa largamente strada la pericolosa idea che lo sviluppo cognitivo non sia nient’altro che l’esecuzione progressiva delle schede.
Considerare poi l’esecuzione autonoma delle schede – vale a dire l’indipendenza funzionale ed esecutiva dell’allievo in quegli apparati – come autonomia, autonomia di giudizio, autonomia di crescita, autonomia di pensiero, é una mistificazione.
L’autonomia diventa una normativa (prescrittiva?) di comportamenti necessari alla realizzazione di un apparato. Come dire: “essere autonomi = fare così e così”. E’ il paradosso, gia descritto da Watzlawick , delle ingiunzione “devi essere spontaneo”.

E’ noto come la scuola ginevrina parlasse della necessità di fare esperienze. I materiali differenziati invece propongono perlopiù schede da compilare, da eseguire secondo modelli input-output. Vediamo così una riduzione drastica della faccia relazionale dell’atto di apprendimento e di insegnamento e dell’atto pedagogico; dove – tra lettura della scheda ed esecuzione della stessa – quanto succede all’allievo é una scatola nera.
Questa é l’epistemologia differenzialista oggi imperante?schemi ben fatti, classificatori ben fatti, apparati ben organizzati, allievi chini ognuno sul suo esercizio, un approccio poco interattivo, molto individualista ed operativo? 
La sistematica applicazione di questi materiali porta paradossalmente ad una, agita, indifferenza alle differenze.
(Per un ulteriore approfondimento del sottoscritto sulla riduzione dell’epistemologia genetica ad un apparato burocratico cfr. “I vestiti dell’imperatore”).

1.8 Si concepisce una possibile deriva delle PdD in quanto modelli non sufficientemente appoggiati su modelli psicologici di sviluppo del bambino, ma piuttosto appoggiati su necessità funzionaliste e di gestione delle differenze in classe.
Non per niente i modelli neo-cognitivisti non sono evolutivi. Presentano schemi, processi, organigrammi sul modello delle scienze cibernetiche, o delle teorie della comunicazione. Ma allora cosa ci dicono i modelli di crescita, la psicologia evolutiva, la psicologia dell’infanzia, la psicanalisi, gli approcci multiculturali, ecc …?
La gestione della classe con un apparato differenziato, non é equivalente alla gestione delle difficoltà scolastiche. La gestione della classe e dei differenti livelli raggiunti dai suoi allievi nulla ci dicono sulle modalità di apprendimento, le competenze trasversali, le funzioni, lo stadio raggiunto, le patologie, le crisi identitarie, i disturbi narcisistici, ecc …
(per una valutazione critica della PdD come apparato per la gestione di una classe – ma non degli scolari – cfr. ancora il mio “I vestiti dell’imperatore”).

1.9 Un sogno borghese é venuto ad impossessarsi e a dominare le pratiche e le idee sulla individualizzazione e la differenziazione. L’assioma che dice “più l’insegnamento é adattato alla caratteristiche dell’allievo e quest’ultimo meglio più apprende” assomiglia al precettorato presente in molte famiglie aristocratiche e dell’alta borghesia. Una pratica riservata a una minoranza di individui, una pratica dominante per molti secoli, magari accanto all’inesistenza di scuole pubbliche.
Il docente é decisamente distante da quella realtà, non avendo la possibilità di clonarsi tante volte quanto il numero degli allievi della sua classe. Così, quanto é obbligato a ridurre il tempo della relazione por poter amministrare la differenziazione?

2) Altre teorie

2.1 Il successo della PdD, la sua comunque confermata necessità, nella gestione di classi numerose, oggi vieppiù complesse, per le differenti origini culturali, sociali dei suoi allievi, per l’insorgere di maggiori e complessi conflitti sociali, familiari, e così via, il successo della PdD rischia di annebbiare altre teorie. Teorie non individualiste e che fanno dell’interazione fra soggetti il motore dello sviluppo, delle novità, della crescita, nonché della motivazione …

2.2 Così abbiamo gli approcci argomentativi; abbiamo gli insegnamenti di Vygotskij, sulla zona prossimale di sviluppo, che si esplica in una zona sociale, relazionale; oppure gli insegnamenti della psicologia costruttivista sociale (Doise, Mugny, Carugati …).
Fondamentalmente, questi approcci ci dicono che:
a) le conoscenze elaborate dal gruppo sono superiori e più complesse rispetto a quelle elaborate individualmente;
b) l’allievo tende ad appropriarsi (o a ricostruire) individualmente di quanto elaborato collettivamente, da qui l’importanza di avere gruppi eterogenei (ma non con divari troppo marcati);
c) le esperienze sviluppate a partire del costruttivismo sociale dimostrano come la messa in comune e la co-costruzione delle conoscenze siano feconde per tutti. Considerando le zone prossimali di sviluppo i bambini più deboli sono portati a sviluppare conoscenze maggiori.

2.3 Con il lavoro individuale la zona prossimale d’apprendimento non può essere vissuta. L’attuazione di tali progetti non trovano così una funzionalità nelle comunicazioni che i bambini intrattengono fra di essi; fra i saperi che si scambiano, così come le visioni, le ipotesi, ecc …
Limitando le occasioni di scambio, la comunicazione implode frantumandosi in micro-scambi senza continuità. L’apprendimento di strumenti del sapere manca di un motivo valido che lo giustifichi.

2.4 Per approfondire il concetto dispazio prossimale o zona prossimale di sviluppo bisogna riferirsi a L.S. Vygotskij.
Questo concetto vuole definire una zona ma anche delle condizioni dell’apprendere. Questa zona e queste condizioni si osservano e si realizzano essenzialmente attorno alla distanza tra conoscenze del bambino (a quale punto del programma, sviluppo, stadio o quant’altro é arrivato) e conoscenze che deve ancora apprendere. Se il livello di quest’ultime é troppo distante dal livello raggiunto dal bambino ecco che ogni intervento pedagogico-didattico si vanificherà.
Trattiamo allora della definizione del possibile e del necessario nell’apprendimento.
Possibile: quanto il bambino può apprendere di nuovo (nella quantità delle acquisizioni, ma anche dalla qualità, il livello per intenderci).
Necessario: quanto il bambino deve assolutamente ritrovare di “vecchio” nella proposta, per non sentirsi in alto mare e credere di non sapere più nulla.

2.5 Il “conflitto cognitivo” é un concetto sviluppato originariamente dalla scuola di psicologia sociale ginevrina.
Si riferisce a situazioni ove il bambino viene messo o si trova in contraddizione (alle sue rappresentazioni se ne contrappongono così delle altre). L’interesse del conflitto sta nel fatta che le rappresentazioni, o gli schemi operatori, dei bambini in confronto tra di loro, passano da un livello inferiore a uno superiore. Dunque sarebbe il confronto con altri che porta al superamento di se stessi. Il modello teorico sottostante a questa idea considera che il bambino impara grazie a questi confronti.

2.6 Con il concetto di “co-costruzione” si vuole ricordare e dimostrare la valenza euristica del confronto tra i bambini. In particolare due sono i punti forti: il sapere della classe È superiore al sapere dei singoli bambini; e, quello che ci interessa attualmente, i bambini costruiscono meglio e di più interagendo tra di loro (da qui l’importanza degli approcci attivi della argomentazione, nel senso che questa sia diretta dal docente e non lasciata al caso, pur non essendo costrittiva).

3) Qualche osservazione empirica

3.1 Sul mercato ci sono molti materiali, essenzialmente schedari, che permettono una amministrazione di esercizi personalizzati. Dagli ormai storici “quaderni di pratica del calcolo, agli schedari ortografici e così via. Fra questi alcuni sono pensati come apparati complessi da amministrare lungo tutto l’arco dell’anno scolastico. Altri come proposte occasionali, puntuali, che non si sostituiscono a un approccio indifferenziato più tradizionale.

3.2 In due studi (Burns, 1984 e Shimron, 1976) si osserva che:
– c’é una relazione negativa tra tempo consacrato dagli allievi all’apprendimento e ritmo di progressione gestito autonomamente,
– i migliori completano più schede d’apprendimento.
Le mie osservazioni sono che:

Origine socioculturale e livello di padronanza raggiunto in
matematica alla fine dell’anno (Dimat)

classe 3 
indagine su 4 classi del cantone TI

classe 5
indagine su 7 classi del cantone TI

livello socio economico basso
scarto dalla media
– 5,14– 4,15
livello socio economico medio
scarto dalla media
+ 1+ 0,68
livello socio economico alto
scarto dalla media
+ 4,14+ 3,47


Ebbene sia in terza che in quinta S.E. i ragazzi di estrazione sociale più bassa non raggiungono la media della classe e si situano rispettivamente 9,28 e 7,62 punti sotto i ragazzi di livello superiore.

3.3 Una meta-analisi (Bangert Drowns, Kulik, Kulik , 1983) dei maggiori dispositivi di apprendimento individualizzato nelle secondarie quali
– l’Individually Prescribed Instruction, IPI, 
– il Program for Learning in Accordance with Needs, PLAN,
– l’Individually Guided Education, IGE
– il piano Keller, Personalized System of Instruction, PSI,
non permette di concludere a favore (o sfavore) dei dispositivi di insegnamento individualizzato rispetto quelli collettivi.

3.4 Un’altra meta-analisi (Kulik, Kulik, Bangert Drowns, 1990) delle applicazioni individuali o collettive della pedagogia della padronanza (PdP) descrive che, in generale, i metodi individualizzati sono più efficaci di insegnamenti tradizionali, ma che i metodi ispirati dalla PdP, che conservano delle fasi collettive, sono ancor più efficaci.
La PdP comporta poi maggiori benefici per gli allievi deboli rispetto a quelli forti nelle disposizioni collettive.
I metodi individualizzati organizzati sulla PdP comunque non vedono accrescere i divari fra allievi deboli e forti.

3.5 Dulcis in fundo, in due altre meta-analisi (Johnson, Maruyama, Johnson, Nelson, Skon,1981, e Qin, Johnson, Johnson 1995) si osserva che i gruppi cooperativi sviluppano effetti d’apprendimento maggiori rispetto quelli competitivi o rispetto alla creazione di dispositivi d’individualizzazione. Ciò a livello prescolare, scolare primario e secondario, in qualsiasi disciplina scolastica proposta. A onor del vero va detto che gli effetti benefici della competizione sono legati alla numerosità del gruppo. Più é grande e minore é il beneficio.

Bibliografia

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