Note attorno a
allievi stranieri, alloglotti, poveri
Quando si sente parlare di bambini stranieri nella nostra scuola spesso se ne parla come se rappresentassero un problema, o una ricchezza per i “nostri” bambini.
Un problema, in quanto il ritmo e la qualità del lavoro scolastico ne risentirebbero in maniera fortemente penalizzante.
Una ricchezza, in quanto la diversità delle origini, delle lingue e così via, permetterebbero un contesto di lavoro arricchito e maggiormente stimolante da un punto di vista culturale e sociale.
Alla prima osservazione – “con tanti stranieri il livello e il ritmo di lavoro scolastico sono penalizzati, chi ne risente sono i nostri bambini” – si tende a controbattere con la seconda: “é vero che può essere difficile, ma ci guadagniamo nello stare assieme”.
Non si dà quindi una risposta specifica e diretta alle preoccupazioni dei genitori.
Gli si gira solo attorno, si cincischia.
Ma non sono mica tutti scemi …
Io lavoro nelle scuole. Incontro dei genitori e mi fanno delle domande. Queste domande qualche volta non riguardano i loro propri figli. Mi chiedono del classismo a scuola. Così mi sono sentito nell’obbligo morale (oltre che umano e professionale) di rispondere in maniera documentata alle loro domande …
Prima lezione: il livello scolastico
La presenza di allievi stranieri e alloglotti, come pure i dati sull’analfabetismo di ritorno possono preoccupare i genitori. Eppure l’idea che il livello globale di formazione delle nuove generazioni é diminuito non ha nessun fondamento.
Nel confronto fra generazioni, i dati che emergono dalle rilevazioni statistiche ci indicano un numero crescente di laureati. Qui da noi basti ricordare l’aumento del numero di studenti liceali avvenuto dopo gli anni 70 (più che triplicati, se nel 1971-72 non raggiungevano il migliaio, nel 2000 superavano i 3500).
Dobbiamo confrontare la totalità di una generazione con un’altra, e non solo dei segmenti della stessa.
Anche il livello di preparazione degli allievi, dagli anni 60 in avanti è aumentato; ciò vale per tutti: perché pure gli allievi meno preparati hanno livelli migliori di quando erano esclusi dalla scuola. Non solo il numero di allievi è cresciuto, ma pure il numero di anni passati sui banchi di scuola!
In verità l’istituzione scolastica attuale forma almeno il doppio di ottimi studenti rispetto al periodo élitario (Baudelot, Establet 1989).
Quando alcuni datori si lamentano che gli allievi entrati in apprendistato non hanno i livelli requisiti, non è il livello che si è abbassato, sono gli allievi che non sono più gli stessi. Molti fra coloro che fanno oggi un apprendistato non l’avrebbero fatto nel passato. Sarebbero entrati immediatamente nel mondo del lavoro a 15 anni, senza formazione. Oggi ciò è sempre più difficile.
Del resto pure negli apprendistati l’esigenza di alzare l’asticella degli esami continua a salire (unico modo per competere nella concorrenza).
Seconda lezione: le competenze in lettura …
Nel passato molto si è sentito parlare di analfabetismo. Oggi si parla piuttosto di analfabetismo di ritorno, vale a dire di una padronanza insufficiente della lettura e della scrittura; l’analfabetismo é un handicap molto più forte.
L’analfabetismo concerne cittadini che mai hanno imparato, che mai sono entrati nei cicli formativi.
L’analfabetismo di ritorno é un fenomeno che tocca qualcuno che é stato a scuola, che ha imparato, ma che poi dimentica. Quindi che bene o male aveva mangiato qualcosa della minestra. Si dice anche illetteratismo.
Se consideriamo il fenomeno all’analfabetismo e dell’illetteratismo (analfabetismo di ritorno) i dati possono sembrare contradditori. Le statistiche ci dicono che il numero d’analfabeti si é ridotto, o quasi scomparso. Mentre gli analfabeti di ritorno raggiungono percentuali decisamente preoccupanti in tutto il mondo industriale.
In Ticino il 15% dei quindicenni (PISA 2000, Maccagno 1993) esce dalla scuola dell’obbligo (scuola media) con gravi difficoltà nella lettura. Ma i dati relativi a tutto il mondo occidentale (USA in testa) indicano dato che variano dal 15 al 20% di adulti con serie difficoltà.
In una ricerca ginevrina, il 10% degli allievi perde le competenze “normali” che aveva acquisito nella lettura, nella scrittura e nel calcolo negli anni successivi (Girod)!
Girod scrive: “L’intensité et le rendement de l’action des mécanismes du learning et de la conservation dépendent en dernier ressort des motivations relatives aux savoirs en cause – lire, écrire, calculer – et de la fréquence des occasions de les utiliser. Or, dans la société moderne … “ (p. 43).
Come possiamo considerare i dati relativi alla scomparsa dell’analfabetismo da un lato, all’aumento degli analfabeti di ritorno dall’altro e all’aumento globale della formazione ?
Insomma aumenta la formazione ed aumentano gli illetterati? Questi dati sono o non sono contradditori?
Una lettura, possibile, approssimata con un buon grado di possibilità, ci dice:
nel passato anni 30-60 si confrontavano i dati relativi alla formazione di grado primario e agli analfabeti, oggi si confrontano dati relativi alla formazione secondaria e agli analfabeti di ritorno. Questo testimonia delle cambiate ed accresciute necessità formative per l’accesso al mondo del lavoro in generale.
Nel passaggio dalle società pre-industriali a quelle industriali si misuravano i tassi di analfabetismo. Con l’avvento di società altamente industrializzate e post-industriali si misurano i tassi di analfabetismo di ritorno.
Ciò ci significa come il fenomeno dell’analfabetismo sia una problematica tipica delle società pre-industriali, sottosviluppate o in via di sviluppo; mentre l’analfabetismo di ritorno é un fenomeno decisamente post-industriale e strettamente legato ai processi di produzione, alle accresciute capacità produttive, come pure alle accresciute necessità formative, alla ottimizzazione e alla competizione.
Terza lezione: classi omogenee e classi eterogenee
Qua e là, avrete letto o sentito, genitori, educatori e politici lamentarsi che i migliori allievi vengono penalizzati dalla promiscuità con allievi meno bravi. Insomma che i meno bravi rallentano il ritmo dei “nostri figli”, dei migliori che devono sempre stare ad aspettare.
Per classi eterogenee si intendono le classi dove tutti gli allievi – bravi e meno bravi – stanno assieme.
Si parla di classi a livello, o di classi omogenee (opposte alle classi eterogenee), per le classi dove gli allievi sono separati secondo criteri etnici, linguistici o cognitivi. In pratica facendo riferimento ad una differenziazione curricolare che separa gli allievi. Da un parte l’élite (i migliori) con una classe tutta per loro e una massa (i peggiori) con un’altra classe.
A corretto parlare andrebbero chiamate scuole segregate.
Le scuole eterogenee sono quelle che vigono per esempio nel Cantone Ticino: una scuola unica obbligatoria per tutti, senza distinzioni (ancor che la nostra scuola media con i suoi livelli in 3a e 4a non propone integralmente classi omogenee).
Vi sono due tipi di ricerca che considerano la composizione delle classi. Quelle che tengono conto delle condizioni pedagogiche eccetera di lavoro e quelle che non lo fanno.
Per quanto concerne la ricerca USA ed europee, le conclusioni sono le seguenti:
a pari qualità pedagogica e pari contenuti d’apprendimento ed insegnamento i risultati fra classi “forti” e classi “deboli” non differiscono in maniera significativa. Ciò sia per quanto riguarda il settore primario che secondario. L’effetto della composizione delle classi é quindi nullo per quanto riguarda gli esiti degli alunni, inseriti in una classe piuttosto che un’altra (Slavin 1987, 1980)
Anche in una ricerca effettuata a Ginevra (cfr. Rastoldo, Bain, Davaud, Favre, Hexel, Lurin, Soussi), si scopre che la riuscita degli alunni é analoga nei vari sistemi di raggruppamento degli allievi (classi omogenee ed eterogenee). Vale a dire che gli allievi migliori delle classi eterogenee (miste) raggiungono i medesimi risultati degli allievi migliori raggruppati nelle “classi forti”. E gli allievi medi, raggiungono risultati analoghi nei due tipi di struttura …
Quindi: la costituzione di classi segregate ha un effetto nullo ad uguali condizioni. Il diverso grado di formazione d’uscita dalla scuola, il livello raggiunto dagli studenti alla fine del curricolo non dipendono dalla maniera di riunire gli allievi.
Se però le condizioni (i soldi investiti, la quantità e la qualità dell’insegnamento, numerosità della classe, le aspettative degli insegnanti, ecc …) non sono più uguali per i due gruppi, allora i risultati scolastici sono pure diversi (Dupriez, Draelants).
Vale a dire: nella composizione delle classi secondo i criteri di livello, l’effetto che noi sappiamo nullo, si trasforma in un effetto reale, concreto, tangibile, di stampo negativo, quando le condizioni pedagogiche di lavoro vengono a deteriorarsi! Oppure, si trasforma in uno stampo positivo, quando la classe di allievi viene maggiormente investita di mezzi finanziari ed umani.
In questo confronto fra “classi forti” e “classi deboli”, le classi deboli marciano quindi piuttosto sul posto, quando addirittura non regrediscono, mentre le classi forti migliorano (Dupriez, Draelants).
L’effetto del raggruppamento degli allievi, secondo le loro competenze, ha dunque un effetto positivo per gli allievi delle “classi forti”. Perché? Ma perché tale raggruppamento è diventato il diretto ed unico beneficiario di una politica d’investimento scolastico chiaramente elitaria! Il che significa: più soldi, migliori condizioni di lavoro in genere.
Insomma ciò che si tace è che l’effetto positivo non è dovuto al raggruppamento degli allievi migliori, ma a migliori e maggiori investimenti finanziari, pedagogici ed umani! Vorrei vedere quali e quante classi, che siano alte, medie, basse o infime, non migliorerebbero il proprio livello generale quando si aumentano le risorse a loro disposizione.
Quanto poi l’effetto di “migliori condizioni” pedagogiche per tutti lo se vede nei confronti PISA. Basti guardare i paese scandinavi, dove a generali condizioni di salario migliori, si associano orari di lavoro ridotti, politiche dei congedi, numerosità delle classi (ridotte), rapporto tra PC e allievi …
Un altro dato interessante, forse con un effetto meno marcato da noi, è la verifica delle incidenze della segregazione residenziale. Immigrati e ceti sociali bassi tendono a frequentare scuole grandi, situate in quartieri “popolari”, mostrano un grado complessivo di minore riuscita, parimenti ad un minore grado di investimento educativo da parte degli operatori scolastici (Meunier).
In verità chi teorizza e pratica la creazione di strutture a livello persegue un disegno gerarchico, che diffonde dispositivi scolastici inegualitari. E’ questa l’unica validità scientifica delle classi omogenee. Ciò la dice lunga sulle vere intenzioni elitaria dei segregazionisti.
Quarta lezione: classi speciali
Il debole tasso di riuscita di allievi immigrati in rapporto agli allievi indigeni é un dato di fatto che caratterizza numerosi sistemi scolastici. Tanto più se i sistemi sono maggiormente selettivi.
Oggi gli allievi immigrati sono molto più facilmente assegnati a scolarità speciali che nel passato (Kronig 2001, 2003). In Ticino questo fenomeno é osservabile con gli allievi che frequentano il corso pratico nelle scuole medie, o il Servizio di Sostegno Pedagogico.
Questi sviluppi sono confrontabili a processi di creazione di sotto strati nel mercato del lavoro. Più ci sono immigrati nel sistema e maggiore é la possibilità di ascensione sociale per gli autoctoni. Ciò vale sia nel mondo del lavoro che a scuola (Hofmann).
A questi dati possiamo aggiungere che (Kronig, 2003, ):
– l’assegnazione ad una classe speciale varia da un cantone all’altro. In Ticino, é notorio, gli allievi che frequentano una scuola speciale sono molto pochi (attorno 1%);
– vi é una maggiore assegnazione di stranieri in funzione dei posti disponibili in classi speciali. Più ci sono posti e maggiormente la percentuale di stranieri assegnati alle classi speciali cresce;
– tale problematica conosce una scalata continua, dagli anni 80 il numero degli stranieri assegnati ad una classe speciale é quadruplicato;
– l’assegnazione di un allievo ad una classe speciale non é chiara da un punto di vista diagnostico scientifico. L’assegnazione ad una classe speciale piuttosto che ad una classe normale non dipende dal profilo del QI (quoziente d’intelligenza) dei due gruppi. La valutazione tramite QI non riesce a differenziare gli allievi delle classi speciali rispetto quelli delle scuole normali;
– allievi svizzeri ed allievi stranieri non sono quindi distinguibili dalla riuscita QI;
– più vi sono immigrati in un sistema maggiori sono le possibilità di riuscita e di ascensione degli allievi indigeni. I ragazzi svizzeri che provengono da classi con grande presenza di alloglotti passano più frequentemente nelle scuole superiori rispetto ai loro coetanei svizzeri che provengono da classi con pochi allievi alloglotti;
– l’insuccesso fra gli stranieri tocca i gruppi mediterranei e non i gruppi originari da F, A, D, GB. Tocca poi maggiormente i gruppi nuovi, extraeuropei. I gruppi mediterranei sono gruppi di immigrati a scarsa scolarità e a basso livello socio economico.
Gli allievi di gruppi mediterranei di livello sociale alto conoscono il medesimo successo degli svizzeri.
Quinta lezione: allievi stranieri o classi sociali disagiate? l’etnicizzazione della diversità scolastica
Nei discorsi pubblici, sapienti o meno, le difficoltà scolastiche e comportamentali degli allievi appaiono sempre più come effetto delle loro origini etniche. Le spiegazioni culturaliste, magari condite con il più becero determinismo sociobiologico (quante volte si sente dire “gli slavi sono incrociati con gli arabi” …), prendono il sopravvento su quelle legate alle origini sociali.
Nel recente passato vi è stata una vera e propria trasformazione del discorso sul disagio e la nascita di una categoria dell’intervento pubblico relativa alle origini geografiche (Mottet, Bolzman).
Se ne negli anni 60 si metteva l’accento sulle origini sociali, oggi l’accento viene piuttosto messo sulle origini nazionali ed etniche, quale elemento di disagio, insuccesso o mancata integrazione nella scuola.
Dire però che un allievo è straniero o parla un’altra lingua non è sufficiente.
Per esempio:
– da un lato abbiamo i bambini originari dei quartieri (paesi) industrializzati con riuscite analoghe agli svizzeri di alto bordo, mentre dall’altro quelli dell’area mediterranea, con riuscite di minor livello … (Rosenber S., Lischer R., Kronig W., Nicolet M., Bürli A., Schmid P., Bühlmann R.,);
– se guardiamo le statistiche che concerno il sostegno pedagogico in Ticino osserviamo un movimento analogo. I ragazzi stranieri seguiti dal sostegno sono “sovra rappresentati” rispetto la popolazione normale. Anche qui, apparentemente, questi ragazzi sono prevalentemente originari del bacino mediterraneo e dei paesi del terzo mondo (questi non sono dati statistici ma una rilevazione personale presso vari colleghi);
– nel sostegno é difficile trovare ragazzi di alto ceto sociale provenienti dai paesi mediterranei;
– i ragazzi provenienti dall’area nord europea e dai paesi industrializzati in genere, hanno un vantaggio rispetto i ragazzi provenienti dall’area mediterranea e del “sud”.
La sostituzione della categorizzazione sociale con quella etnica é il riflesso dei processi recenti di globalizzazione, di ottimizzazione e di delocalizzazione delle risorse (risorse= mano d’opera). Il conflitto di classe viene automaticamente e mondialmente internazionalizzato, vuoi spostando i luoghi di produzione là dove la mano d’opera costa meno, vuoi spostando la mano d’opera nei centri di produzione.
Questi processi, di concentrazione e globalizzazione, (di riflesso) hanno accelerato i meccanismi di pauperizzazione e di emigrazione verso le nazioni ricche e fornitrici di lavoro.
In questi ultimi anni in CH, in questo modo, abbiamo osservato l’arrivo:
– di quadri qualificati, specialmente dai paesi industrializzati quali D, F, A, GB
– di una massa sottoproletaria (lumpenproletariat) divisa fra lavoratori non qualificati, rifugiati di guerra, rifugiati politici, o rifugiati economici, dalla regione mediterranea e da paesi extraeuropei, africa, caraibi, sud america.
Non stupisce scoprire così che la diversa collocazione geografica e professionale degli immigrati corrisponde ad una corrispettiva categorizzazione e riuscita dei loro figli a scuola … da un lato i paesi industrializzati e dall’altro quelli mediterranei.
Non stupisce scoprire che le riuscite scolastiche, con la formazione di dinamiche sottoculturali particolari seguono sovente i destini socio-professionali parentali (Kronig).
Insomma: l’etnicizzazione del discorso pedagogico funziona, ma solo per alcune etnie. Funziona per le etnie dei paesi mediterranei per esempio. Funziona per i cittadini africani. Non funziona per i germanici, i francesi o gli austriaci … c’è da meravigliarsi?
Le tesi individualiste, etniche, sociobiologiche e razziste della riuscita fanno totale astrazione delle determinazioni sociali, economiche, storiche, biografiche degli allievi.
Queste tesi si applicano in maniera discontinua.
Lo sviluppo del discorso etno-pedagogico é così un fenomeno decisamente legato alla globalizzazione e alla ottimizzazione delle risorse, che percorre gli abissi sociali prodotti dall’economia capitalistica.
Dovremo dire che c’è, piuttosto, un problema della pedagogia, quando non sa (o non vuole) riconoscere i processi di sfruttamento; oppure quando confonde l’emancipazione sociale con l’affermazione delle proprie origini etniche geografiche.
C’é un problema della pedagogia, quando i processi di pauperizzazione, di ricerca di un posto di lavoro, di una vita migliore, di sradicamento sociale, eccetera … vengono ridotti ad una questione culinaria, al ricupero di qualche canzoncina in classe, o di una favola del villaggio abbandonato.
Sesta lezione: il classismo
Il discorso pubblico sulla ricerca tende per lo più a indicare le dinamiche svizzeri/ceto medio-alto da un lato e bacino mediterraneo/ceto medio basso dall’altro. Come se non esistessero più svizzeri di ceto basso. Nelle ricerche si fa sempre più fatica a trovar dati relativi a questo gruppo “etnico”.
Eppure, dove il dato livello socio-economico o professionale viene raccolto, si confermano totalmente le conclusioni già conosciute nel passato (cfr. ad esempio, Berger, Wolter, Tozzini-Paglia).
Le determinazioni sociali, economiche, culturali, i determinismi di classe insomma sono presenti.
Oggi, come si manifestano le tendenze classiste in educazione?
Per esempio:
– nella frequenza dei licei;
– nelle bocciature ai licei;
– nella frequenza ai diversi curriculi scolastici (scuole superiori, scuole professionali, scuole per apprendisti);
– nel numero di anno di frequenza scolastica;
– nella frequenza dei corsi attitudinali (di livello superiore) nella scuola media, o di un maggior numero di corsi attitudinali;
– nella scelta dei corsi attitudinali. A parità di competenze gli allievi provenienti da famiglie agiate seguono più frequentemente i corsi attitudinali;
– nelle note;
– nel livello delle competenze linguistiche;
– nelle competenze in lettura;
– nella frequenza di corsi privati di ricupero (decisamente frequentati specialmente da chi se li può permettere);
– nella frequenza di altri corsi privati di vario genere (anche qui per chi se li può permettere);
– nelle strutture ad accoglienza continua, frequentabili per lo più con rette inaccessibili alla famiglie popolari;
– nel numero di allievi seguiti dai servizi di sostegno;
– nella sovra determinazione progressiva e cumulativa. Se alle scuole dell’infanzia i determinismi ci sono, ma pochi (specialmente quelli linguistici, quale il vocabolario ristretto), man mano che i ragazzi crescono, questi determinismi vengono ad associarsi e cumularsi (ad ogni gradino di scuola il percento crescente di allievi di ceto sociale basso viene a crescere).
Altri dati interessanti possono essere tolti dagli indici al consumo. In particolare al consumo di “cultura” da parte delle famiglie (acquisto libri, CD, apparecchi informatici, frequenza concerti, cinema eccetera).
Negli ultimi 20 anni non si notano variazioni significative di questi indizi. Vale a dire: i determinismi sociali esistono sempre, sono sempre massicci. Anzi, con i tempi che corrono ci lasciano presagire segni grami. In Svizzera il contesto sociale e culturale incide sul successo scolastico degli allievi più che in altri paesi (Pisa 2000). Forse per questo è meglio tacerli? Nel test Pisa 2000 i migliori risultati sono stati ottenuti da giovani cresciuti in un ambiente propizio, dove i genitori vantano una solida formazione culturale ed esercitano un’attività professionale ben remunerata e di alto prestigio sociale. Un fatto appare evidente: per avere successo a scuola è meglio avere genitori svizzeri e colti (Pisa 2000).
Settima lezione: le domande (faq) dei genitori
Queste le domande tipo dei genitori incontro.
1) la presenza di tanti allievi differenti fra loro non é negativa?
2) é vero che qualcuno rimane penalizzato? chi trae profitto dalla presenza di bambini stranieri e alloglotti nelle classi di scuola elementare o scuola media?
3) a cosa serve accentuare l’attenzione sui bambini stranieri e alloglotti nelle classi di scuola elementare o scuola media?
4) chi sono veramente i “nostri”
A queste domande bisogna dare delle risposte concrete, pratiche e politiche.
Innanzi tutto va fatta un’osservazione di carattere generale.
E’ difficile affermare che il merito delle maggiori o minori competenze di un bambino siano da ascrivere alla sua origine. Tipo é intelligente perché svizzero, é stupido perché italiano (come qualcuno diceva negli anni 60), o perché é slavo (come si dice oggi), o perché extraeuropeo (come si tenderà a dire domani).
La spiegazione razziale non é altro che un tentativo di spiegare le differenze individuali, nascondendo le responsabilità sociali ed economiche (quanto le responsabilità politiche). Un tentativo asservito al disegno razziale (e vediamo nella storia a che cosa hanno sempre servito i disegni razziali, leggasi l’asservimento di masse di mano d’opera a costi zero).
Già negli anni 40-60 negli USA trovavano grande sviluppo tesi che davano molta importanza alle determinazioni biologiche. Eysenck, fra i più famosi ricercatori WASP asserviti al disegno razziale metteva in relazione il QI con l’appartenenza razziale.
Non meraviglia osservare che lo sviluppo di queste teorie era però pari ai processi di proletarizzazione di masse di neri.
Queste ricerche razziali commettono molti errori. Ma prima di tutto non fanno i conti con due processi di sviluppo differenti. Due processi di natura differente: il primo é quello della scalata sociale intergenerazionale; il secondo é quello detto dell’etichettamento sociale.
Non spiegano cioè come mai in capo a due o tre generazioni gli immigrati dimostrano un grado di integrazione in una comunità del tutto normalizzato. Come pure non spiegano come mai ogni 20 anni circa cambia il gruppo etnico mira delle tesi sociobiologiche.
Oggi, il multiculturalismo in classe concretamente non rappresenta nessuna ricchezza.
In verità l’allievo alloglotta (che parla una lingua straniera) deve essere agganciato il più rapidamente possibile al lavoro in classe; deve essere agganciato alla comprensione e alla produzione di testi, all’esecuzione di calcoli, di problemi, e a stare con i suoi compagni nel lavoro scolastico. Altro che festini culinari …
In verità, in un regime dove conta solo la concorrenza, la produzione e il profitto, e dove vige l’ottimizzazione delle risorse, il multiculturalismo arricchisce solamente le tasche degli sfruttatori.
1 Problema o risorsa?
Certamente il riconoscimento e la valorizzazione della diversità degli allievi pone problemi per la loro gestione.
Oggi giorno vigono e si sviluppano sempre più approcci competitivi, differenziati ed individualizzati. Approcci che spronano “l’autonomia”, approcci che permettono ai docenti di stimolare quanto meglio le reali competenze verificate degli allievi.
L’aumento di allievi stranieri ed alloglotti che si é verificato nell’ultimo decennio, ha portato ad oneri maggiorati per i docenti titolari.
Oneroso è il riconoscimento di queste diversità e la loro valorizzazione, perché richiede competenze didattiche come pure competenze gestionali complesse …
A onor del vero va detto che gli oneri sono aumentati sotto molti altri aspetti.
I problemi, se problemi vi sono, vanno affrontati con delle risorse.
Le soluzioni segregative (tipo classi separate), oltre che essere eticamente indifendibili, sono chiaramente soluzioni per le élite.
2 Chi ci smena e chi ne profitta:
2.1 La presenza di allievi stranieri e alloglotti in generale rappresenta un vantaggio per gli allievi svizzeri.
Più vi sono emigrati in un sistema, maggiori sono le possibilità di riuscita e di ascensione degli allievi indigeni. I ragazzi svizzeri che provengono da classi con grande presenza di alloglotti passano più frequentemente nelle scuole superiori rispetto ai loro coetanei svizzeri che provengono da classi con pochi allievi alloglotti.
2.2 Invece la costituzione di classi preferenziali o omogenee serve allo sviluppo di una politica classista della formazione (classi per il privilegio). Serve interessi di classe. Ma non certo di quella popolare. Le conseguenze sono maggiori investimenti finanziari e pedagogici nelle classi per le élite, minori investimenti finanziari, pedagogici, personali nelle classi per gli altri.
Le spinte politiche odierne che vanno in questo senso sono strumentali alla formazione delle nuove élite e alla riproduzione della stratificazione sociale e dei nuovi quadri dirigenti, eccetera.
3 La rimozione della questione di classe
Mettere l’accento sui bambini stranieri piuttosto che sui bambini di bassa estrazione serve a 2 cose almeno.
3.1 la preservazione del dominio (a cosa serve parlare degli stranieri come problema)
Introdurre un paradigma etnico porta alla rimozione della questione di classe. Se parliamo di stranieri non parliamo di sfruttamento. Evitiamo di mettere l’accento sui privilegi e sullo sfruttamento.
Ciò porta alla costruzione di alleanze fra gruppi sociali differenti della popolazione.
3.2 la salvaguardia del privilegio (a chi serve mettere l’accento sugli stranieri)
Chi sostiene l’affermazione che il livello scolastico si è abbassato? Quale soggetto sociale ha l’interesse a perseverare sulla strada della separazione degli allievi?
La scuola soffre dell’élitismo della sua cultura, cultura della classificazione e della precoce eliminazione, della sua tolleranza alle ineguaglianze e alle loro riproduzione privilegio (Baudelot, Establet, 2009).
La scuola resta ostaggio delle idee che l’hanno vista nascere all’inizio del 900. Distinguere una piccola élite senza preoccuparsi troppo del livello degli altri. Tutt’al più alle loro rimostranze ed insubordinazione risponderà con misure per il mantenimento dell’ordine pubblico.
Per alcuni, la meritocrazia è una corsa alle migliori posizioni, per altri, molto numerosi, la meritocrazia si traduce nella relegazione rapida, nell’attesa di entrare nel mondo del lavoro.
Ciò che si vuole è preservare una scuola per pochi.
La generalizzazione dell’istruzione secondaria superiore ne modifica il significato: non può più essere strumento di differenziazione sociale, ma costituisce per tutti la base indispensabile per vivere nella società contemporanea.
4 I nostri
4.1 Quando un genitore di ceto medio e medio-basso fa suo un discorso “etnico” sul disagio, crede con questo di meglio difendere i suoi figli.
Questa difesa dei figli, con la conseguente ricerca di una migliore scuola, sta nel suo diritto e dovere di genitore.
Purtroppo deve capire e accorgersi che l’esclusione di presunti allievi che rovinano la scuola e ne fanno abbassare il livello, di allievi stranieri che disturbano, di allievi poveri che puzzano, o quant’altro, in verità non corrisponde alla protezione dei suoi diritti di “classe”. Lui crede di difendere i suoi figli. In verità tale esclusione del diverso favorisce solamente il privilegio dei pochi.
Quando questo genitore spinge per l’esclusione di un qualsiasi allievo diverso convola a nozze con la relegazione sociale di tutto il ceto medio e basso.
4.2 Al genitore vanno presentate le possibili alternative che si pongono nella politica scolastica. In questo senso il quadro odierno è molto grave oltre che minaccioso.
I ceti popolari hanno perso di vista quali sono i loro interessi di classe. Recriminano (al massimo) contro la presenza di qualche poveraccio nella classe dei loro figli, raggiungono gli slogan populisti e razzisti propagandati dall’UDC, dalla Lega, o da altre destre “popolari”.
Senza nemmeno avvedersi che queste stesse formazioni politiche vogliono:
1- ridurre i compiti dello Stato nella scuola.
2- deregolamentare sempre più orari e ritmi di lavoro
Che ipocrisia affermare che è compito delle famiglie occuparsi dei loro figli; quando ambedue i genitori devono lavorare per tirare la fine del mese.
4.3 Quali gli interessi di classe allora?
Vanno spiegati e dispiegati i nostri standard.
Urge un manifesto.
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