Tra integrazione e specializzazione: l’organizzazione dell’insegnamento dell’obbligo in Europa

Arlette Delhaxhe e Marcel Crahay

Traduzione di Marco Gianini

Da molto tempo, in tutta Europa, le politiche educative si accordano sulla promozione dell’uguaglianza delle opportunità come anche sul raggiungimento, per un numero più alto possibile di giovani, di competenze necessarie per integrarsi socialmente e professionalmente nella società. La scuola si vede assegnare due missioni complementari: da una parte deve offrire a tutti l’opportunità di padroneggiare un insieme di competenze e/o di conoscenze giudicate indispensabili. D’altra parte, deve prendere in considerazione il fatto che la vita in società implica una differenziazione di funzioni assunte dai diversi individui. Sono queste le funzioni d’integrazione e di differenziazione della scuola, la prima è tipica d’una scuola detta di base e la seconda d’una scuola di specializzazione (Crahay, 2007b).

Ovunque in Europa, la scuola elementare primaria, privilegia la funzione d’integrazione: tutti gli istituti scolastici offrono lo stesso programma e lo stesso contenuto di formazione a tutti i ragazzi; l’insegnamento è assicurato quasi ovunque da un insegnante generalista responsabile della maggioranza delle discipline. Altra caratteristica comune a quasi tutti i sistemi educativi europei: l’età corrispondente alla fine dell’insegnamento obbligatorio a tempo pieno, 15 – 16 anni, che ingloba perciò totalmente o in parte l’insegnamento secondario. Si osserva quindi che circa l’ 80 % dei giovani europei continuano i loro studi al di là dell’obbligo scolastico e nel 2002, il 76,6 % degli Europei di vent’anni d’età avevano concluso con successo gli studi secondari superiori (Eurydice, 2005).

Ma come gestire la diversità degli allievi? Come la scuola deve affrontare le molteplici differenze tra i ragazzi, siano esse di genere, socioeconomiche, culturali, linguistiche o anche e soprattutto di competenza scolastica? Dobbiamo conservare l’eterogeneità degli individui nell’ambiente scolastico, mescolando in maniera aleatoria gli allievi della stessa età in una stessa classe? O dobbiamo al contrario organizzare e rendere obbligatoria l’omogeneità dei gruppi per ottenere classi dove tutti gli allievi hanno un livello di competenze simile, imponendo la ripetizione a chi non raggiunge il livello richiesto o orientandolo verso altri ordini di scuola o verso tipi d’insegnamento con livelli di difficoltà differenziati?

L’organizzazione del percorso degli allievi è sottomessa a legislazioni molto varie nei paesi dell’Unione Europea (Eurydice, 2006). In alcuni paesi la ripetizione dell’anno è autorizzata, in altri formalmente interdetta. L’insegnamento secondario inferiore è unificato in certi paesi, a volte integrato al primario, mentre ordini differenziati sono mantenuti altrove. Scuole d’insegnamento speciale sono istituite in numerosi paesi mentre, in altri, i giovani necessitanti cure educative particolari ( andicappati o altri ) sono integrati nelle scuole o le classi ordinarie. Alla stessa stregua la differenza maschi-femmine è gestita per mezzo dell’integrazione (classi miste) o della separazione. In pratica, per ogni condizione evocata prima, è possibile reagire con la volontà di separare gli individui in funzione delle loro differenze o, al contrario, di mantenerli nel gruppo. In altre parole, il principio è di promuovere l’eterogeneità nell’ambiente scolastico o di privilegiare l’omogeneità degli individui. Infatti è proprio sul modo di articolare la funzione d’integrazione e di differenziazione della scuola, la scuola di base e quella di specializzazione, che i sistemi europei molto si differenziano. In particolare differenze importanti si osservano riguardo al momento in cui la scuola comincia ad assumere la funzione di specializzazione: a partire da 10 anni o solamente da 16.

Oggetto di dibattiti ricorrenti in numerosi paesi europei, la gestione del percorso degli allievi verso il secondario inferiore è quindi sottomessa a legislazioni molto differenti. Si possono tuttavia distinguere tre grandi modelli.

Nel modello chiamato Struttura unica, tutti i ragazzi seguono tutta la loro scolarità obbligatoria (tra 6/7 anni fino a 16) in uno stesso istituto senza transizione tra il livello primario e secondario inferiore. Vi seguono un programma di formazione generale con obbiettivi di competenze uguali per tutti. D’altronde questi paesi hanno abbandonato la pratica della ripetizione. La promozione da una classe all’altra è automatica. Questa organizzazione del percorso formativo è stata da molto tempo messa in atto nei Paesi Nordici (Paesi Scandinavi e Finlandia, n.d.t.), in Portogallo (dal 1986), e in numerosi paesi d’Europa centrale e orientale (come in Bulgaria, in Estonia, in Lettonia, in Slovenia. Nella Repubblica Ceca e in Slovacchia come in Ungheria, questa struttura coesiste con un accesso possibile al Ginnasio all’età di 12 anni).

In alcuni paesi, soprattutto germanofoni, la fine del livello primario la conclusione del ciclo elementare (tra i 10 e i 12 anni) costituisce un momento chiave poiché gli allievi sono orientati verso tipi d’insegnamento differenti secondo le competenze acquisite.Gli ordini scolastici offrono spesso una formazione generale con molti percorsi accademici gerarchizzati (Germania, Austria, Liechtestein) o un orientamento verso ordini di scuola professionale in senso stretto (Belgio, Paesi Bassi, Svizzera nella maggioranza dei Cantoni). In questi paesi dibattiti sono in corso o riforme sono state effettuate per ritardare l’orientamento di uno o di due anni. D’altronde, la promozione da una classe all’altra non è automatica, ma dipende dalla valutazione data dagli insegnanti agli allievi. La ripetizione sancita al termine dell’anno scolastico è pensata come mezzo per gestire le difficoltà di apprendimento degli allievi. La decisione di dirigere l’allievo verso l’uno o l’altro ordine di scuola si basa in generale sull’opinione d’un consiglio d’orientamento, in particolare dopo un esame d’entrata negli istituti che offrono un livello di apprendimento più elevato e quindi riservato de facto agli allievi più brillanti.

Tra questi due modelli estremi si trova un sistema intermedio, chiamato Tronco comune. Questo si avvicina al secondo modello perché mantiene la transizione tra il livello primario e secondario: cambiamento d’istituto e necessità per gli allievi d’aver compiuto, secondo disposizioni variabili da un paese all’altro, la scolarità primaria. L’allievo francese, per esempio, passa dalla scuola primaria alla Scuola Media (Collège, nei paesi francofoni, n.d.t.) detta unica, all’età di 11 anni. Ciò nonostante, questa organizzazione, come nel primo modello, offre una formazione generale comune per tutti, per almeno tre o quattro anni. Questo modello si ritrova soprattutto nei paesi latini e mediterranei, ma anche in Polonia, in Lituania e in Gran Bretagna. Regolarmente investito da animati dibattiti che vertono sugli aspetti strutturali della scuola. Ciò avviene in modo particolare in Francia, in Spagna e in Italia.

S’impone a questo punto una questione; concerne l’influenza di queste differenti maniere di gestire i percorsi scolastici e il rendimento stesso del sistema educativo. Detto in altre parole, come influisce questa modalità di gestire le differenze individuali sull’efficacia e l’equità dei sistemi d’insegnamento? Sarebbe certo ingenuo, perentorio e rischioso affermare un nesso di causalità diretta tra l’organizzazione del percorso degli allievi nel ciclo d’insegnamento obbligatorio e il profitto scolastico. Più in generale, non si può neanche immaginare di spiegare il profitto scolastico per mezzo di una sola variabile o anche per mezzo di un gruppo di qualche variabile organizzativa. Le pratiche pedagogiche (che favoriscono per esempio la competizione o la cooperazione), le norme di valutazione degli allievi (che privilegiano la valutazione formativa o, al contrario, la classificazione degli allievi), i mezzi messi in atto per differenziare l’insegnamento, la formazione degli insegnanti, la modalità di scelta delle scuole da parte dei genitori sono altrettante variabili che hanno un ruolo importante nel processo di acquisizione dei saperi scolastici. Tuttavia, se tentiamo di tracciare un parallelo tra i dati comparativi ottenuti nel programma IEA literacy nel 1991 e di nuovo in PISA 2000 e 2003 e la struttura dell’insegnamento secondario inferiore, si rivelano alcune grandi tendenze (Crahay, 2000; 2007a).

Tra gli indicatori calcolati, la media generale ottenuta in un paese può essere considerata come un indice d’efficacia globale del sistema d’insegnamento. La parte di varianza (indice di dispersione n.d.t.) dei risultati attribuibili alla scuola o alla classe frequentata permette di valutare l’omogeneità degli effetti dell’insegnamento dispensato nelle diverse scuole presenti in un paese: più un sistema è egualitario, meno l’appartenenza a una scuola deve determinare il profitto degli allievi e più la parte di varianza riferita alla scuola è debole. La percentuale d’allievi deboli (rispettivamente di allievi forti) e i loro risultati medi permettono di cogliere in quale misura l’organizzazione dell’insegnamento è propizia a promuovere le competenze dei più deboli (e rispettivamente dei migliori). In maniera ideale, una scuola giusta ed efficace deve: 1) caratterizzarsi per una debole varianza legata alla scuola frequentata, 2) produrre una proporzione più bassa possibile di allievi deboli, 3) dotare questi allievi deboli di un livello di competenza in lettura più alto possibile. I risultati degli allievi più forti da un’informazione del livello raggiunto dai migliori allievi: più i risultati medi riferiti agli allievi che si situano al di sopra del terzo quartile sono alti, più il sistema riesce a produrre lettori molto competenti. Per concludere, un sistema d’insegnamento efficace dovrebbe tendere a che gli allievi deboli e forti ottengano un buon livello in lettura, ciò che comporterebbe che lo scarto tra gli uni e gli altri sia attenuato.

L’analisi di questi differenti indicatori riferiti ai paesi europei porta a molte osservazioni di grande peso:

1. i paesi che privilegiano l’eterogeneità (struttura unica o tronco comune) si caratterizzano per un’efficacia globale più che dignitosa e per una parte di varianza del rendimento imputabile alla scuola, inferiore del 10%, cioè molto debole;

2. tra i paesi che si caratterizzano per uno o molteplici meccanismo/i segregativo/i (ripetizione, esistenza di più ordini di scuola, libertà di scelta delle scuole), succede che l’efficacia globale sia buona, o addirittura molto buona. Al contrario, la parte di varianza legata alla scuola frequentata è sempre grande (superiore a 22%);

3. infine, per ciò che concerne la percentuale degli allievi deboli, si nota che nei paesi nordici che hanno fatto la scelta dell’integrazione, è inferiore a 15%.

I Paesi Nordici , dove il sistema scolastico mette fortemente l’accento sulla funzione d’integrazione della scuola (struttura d’insegnamento unica fino alla fine dell’insegnamento obbligatorio, assenza di ripetizioni, ma anche sostegno personalizzato degli allievi in difficoltà d’apprendimento), ottengono una media generale più che dignitosa e contano una percentuale di allievi deboli particolarmente bassa. D’altra parte, in questi paesi, appartenere a uno o all’altro istituto condiziona poco il profitto degli allievi. Per di più, gli effetti favorevoli agli allievi deboli non hanno per corollario una diminuzione dei benefici che caratterizzano i migliori. In altre parole, non si osserva l’effetto Robin Hood, tanto temuto da taluni: la scuola non si comporta come il giustiziere inglese che prendeva ai ricchi per dare ai poveri; non è suo compito frenare i migliori per dare ai più deboli condizioni ottimali di progresso. Al contrario, la percentuale di buoni lettori è generalmente superiore alla media internazionale. Questa organizzazione dell’insegnamento sembrerebbe quindi propizia non solo a promuovere le competenze degli allievi deboli ma anche quelle degli allievi forti.

Al contrario, i paesi che privilegiano la funzione di specializzazione della scuola – con una separazione tra il settore primario e il secondario inferiore, e la pratica della ripetizione e dell’orientamento verso differenti ordini di scuola – presentano scarti dei risultati nettamente più grandi tra gli allievi e gli istituti. Per di più, i risultati delle loro élites non sono particolarmente brillanti rispetto agli altri paesi.

Insomma, sembra proprio che le differenti modalità di strutturare il percorso scolastico degli allievi durante l’insegnamento obbligatorio producano effetti diversificati in termini di efficacia e di equità. Inoltre, certi sistemi d’insegnamento ¬– in modo particolare quelli dell’Europa del Nord – sembrano vincere la scommessa di combinare efficacia ed equità.

Alla luce di queste risultanze, l’esempio dei Paesi Nordici sembrerebbe indicare la via da seguire. Ma si possono trarre conseguenze dalle comparazioni statistiche in ambito educativo per imporre una riforma del sistema scolastico a una comunità educativa che non aderisce ai principi fondamentali d’ordine culturale e ideologico che la sottendono? Detto in altre parole, si può imporre la struttura unica e la promozione automatica fino a 15 anni in paesi come la Germania, l’Austria, il Belgio, la Svizzera o ancora i Paesi Bassi che per tradizione, procedono alla selezione degli allievi, dall’inizio del ciclo secondario?

Per noi, la trasformazione della scuola passa attraverso il dialogo costruttivo tra i molteplici attori che la compongono: insegnanti, genitori, scolari o studenti, politici, pedagogisti, e semplici cittadini. Le conoscenze derivate dai confronti in campo educativo devono divenire elementi importanti della riflessione e dei dibattiti. Rappresentano una barriera contro una forma dissimulata di etnocentrismo: che consiste a rinchiudere la riflessione sulla scuola nei limiti di ciò che si è sempre fatto nel luogo. È poi altrettanto discutibile credere che la scuola possa trasformarsi con la semplice riflessione degli insegnanti sulla loro pratica educativa. Questi non sfuggono al contesto socioculturale che li ha visti diventar grandi e formarsi. Sono portatori d’habitus che strutturano, ma che limitano anche la loro capacità effettiva di riflessione. Non appena si prende coscienza che le concezioni pedagogiche degli insegnanti sono influenzate dal contesto culturale nel quale vivono, bisogna aiutarli a prendere una distanza critica dalle loro convinzioni. Il comparativismo in educazione può contribuire ad aprire una riflessione sul nuovo possibile facendo esistere soluzioni che a priori parevano impensabili, o neppure considerate. La conoscenza di ciò che si fa altrove e degli effetti collegati può e addirittura deve divenire un bene culturale che, condiviso da un sempre più grande numero di cittadini, può essere il fermento di una maniera più rigorosa di pensare la trasformazione della scuola.

Il presente articolo:

è stato ripreso, con aggiornamenti, da un articolo pubblicato nella rivista Sciences humaines, 2005.

è stato pubblicato in Verifiche.ch, n° 3, giugno 2008, Mendrisio

Riferimenti bibliografici

Crahay, M., L’école peut-elle être juste et efficace?, Bruxelles, De Boeck 2000.

Crahay, M., Peut-on lutter contre l’échec scolaire?, Bruxelles, De Boeck 2007a (3e édition).

Crahay, M., L’école peut-elle se concevoir sans échec? Educateur, 2/2007b, 26-29.

Eurydice/Eurostat, Chiffres clés de l’éducation en Europe, Volume général, Commission européenne, Luxembourg, Office des publications officielles des CE, 2005.

Eurybase: base de données sur les systèmes éducatifs en Europe. Disponible sur le site http://www.eurydice.org/Eurybase