Disuguaglianze, scuola, rapporti sociali, a colloquio con il sociologo Roland Pfefferkorn

Intervista a cura di Guy Zurkynden

Alcuni autori hanno analizzato la scuola come luogo di riproduzione di disuguaglianze. Cosa intendono con questo?
Sappiamo dai lavori di Pierre Bourdieu e Jean Claude Passeron (1) che la scuola non è solo un luogo di trasmissione del sapere, ma anche un centro di smistamento, vale a dire una luogo di riproduzione delle disuguaglianze e un campo di battaglia nel quale i dominati sono votati al declassamento sociale. Le disuguaglianze delle situazioni dei genitori nella divisione sociale del lavoro generano tendenzialmente nei figli delle disposizioni e delle capacità diverse nei confronti della formazione scolastica che si tradurranno in risultati diseguali, portando a delle qualifiche professionali diseguali e delle inserzioni diseguali nella divisione sociale del lavoro

Si parla spesso di un processo di “democratizzazione” del sistema di formazione nel periodo precedente gli anni ’80 e la svolta neoliberale. Di che cosa si tratta?
Nel caso della Francia lo sviluppo importante della scolarizzazione a partire dagli anni 60, che si è tradotto in un aumento significativo dell’età media di scolarizzazione, non ha ridotto gli scarti sociali a scuola e questo a tutti i livelli. In generale le disuguaglianze nei confronti della scuola si sono spostate e hanno assunto forme inedite, principalmente attraverso la gerarchizzazione delle sezioni e dei percorsi formali e informali.
Ma non bisogna dimenticare che sono le disuguaglianze in seno ai rapporti di produzione che continuano a svolgere un ruolo centrale nella produzione delle disuguaglianze sociali. Queste disuguaglianze rinviano precisamente allo sfruttamento che è il cuore di questi rapporti sociali. Si potrebbe dimostrare che le disuguaglianze nella scuola retroagiscono sulle disuguaglianze in seno ai rapporti di produzione tendendo ad aggravarle. Le disuguaglianze nella scuola assicurano in effetti la riproduzione e la legittimazione di questi rapporti, anche permettendo ad alcuni membri delle categorie meno favorite di elevarsi socialmente. Questo spiega largamente perché l’immobilità sociale, tendenza pesante in seno alla nostra società, ha piuttosto tendenza a accrescersi in questi ultimi anni. Questo significa che la struttura di classe non solo è sempre presente, ma che ha tendenza a rafforzarsi, e questo malgrado l’aumento generalizzato del livello degli studi e della tendenza all’allungamento della durata della gioventù.

I giovani sono particolarmente toccati dall’aumento delle disuguaglianze e della precarietà. Nello stesso tempo frequentano un sistema scolastico che è stato al centro di molti cambiamenti. Come comprendere i mutamenti attuali dei sistemi di formazione, al di là delle specificità dei diversi paesi e regioni, e come questi interagiscono con l’evoluzione delle disuguaglianze nella società?
Le origini sociali pesano ancora e di più che negli anni ’70. Le giovani generazioni provenienti dalle categorie popolari o medie si ritrovano frequentemente, verso i 30 anni, malgrado un livello e dei titoli di studio più elevati per alcuni, in una situazione socioeconomica più sfavorevole di quella dei loro genitori. Le ragioni di questo capovolgimento sono diverse; possiamo evocarne almeno di tre tipi: il forte rallentamento della mobilità sociale strutturale da qualche decennio; l’aumento della disoccupazione, della precarietà e, più in generale, delle disuguaglianze sociali; infine una “resa” sociale minore dei titoli di studio da una ventina di anni, fenomeno che sembra accrescersi. Grazie ai percorsi dei giovani usciti dal sistema educativo possiamo mettere in evidenza in maniera indiscutibile che è sempre l’origine sociale che gioca un ruolo decisivo nell’accesso al lavoro dei giovani. Questo è un effetto della risultante della traiettoria scolastica molto marcata dalla stessa origine sociale. Ma anche la differenziazione secondo il sesso è molto importante. Le giovani donne uscite recentemente dalla formazione non hanno ancora raggiunto i loro compagni maschi. Il loro ritardo di attività aumenta tra le meno formate. Le giovani donne rifiutate precocemente dal sistema formativo iniziale sono anche le prime escluse dall’attività professionale ufficiale. In questo caso il sesso gioca un ruolo più importante rispetto all’origine sociale. Per contro quando si considera la proporzione di individui con un impiego tra gli attivi constatiamo il contrario. Se questa proporzione diminuisce con il livello di formazione degli individui, degli scarti si incrociano a dipendenza della loro origine sociale, vale a dire che ad un livello di formazione equivalente, i giovani provenienti da un ambito sociale più favorito sono più rappresentati tra coloro che hanno un lavoro. Da circa due decenni si è prodotta un’inversione di tendenza.

Quali sono gli altri elementi che contribuiscono alla gerarchizzazione dei percorsi formativi e all’assenza di democratizzazione delle scuola?
Alla diminuzione di valore sociale dei diplomi possiamo sicuramente aggiungere gli effetti delle strategie scolastiche messe in opera dalle famiglie che dispongono di informazioni ad hoc e che sanno utilizzare al meglio un “mercato scolastico” formalmente egualitario ma di fatto fortemente gerarchizzato. 
Per esempio nel primo ciclo di insegnamento secondario constatiamo delle divisioni socialmente e scolasticamente fortemente polarizzate, a dipendenza delle lingue vive o morte scelte o a dipendenza delle opzioni seguite.
Lo stesso fenomeno si osserva già prima fase della scolarizzazione primaria e poi nel secondo ciclo, nella scuola pubblica e nella scuola privata, il cui ricorso permette di sfuggire alla carta scolastica quando questa non è già stata soppressa, indebolita o aggirata.
L’essenziale dei lavori di sociologia della scuola sono stati per molti anni consacrati all’insegnamento generale, ossia alle materie umanistiche. Pertanto anche dopo l'”onda liceale” in Francia solo un terzo di una generazione ottiene una maturità generale (contro il 39% che si ferma a un livello più basso con o senza diploma e il 27% che ottiene una maturità professionale o tecnica).
L’apprendistato, l’insegnamento professionale e l’insegnamento tecnico coinvolgono essenzialmente i bambini delle categorie popolari (operai e impiegati). Questo ordine di insegnamento e di formazione continuano a essere fortemente stigmatizzati in Francia rispetto a altri paesi come per esempio la Germania.
Le campagne e i discorsi ufficiali di riabilitazione non sono sufficienti di fronte alla valorizzazione in termini di prestigio sociale e alla prospettive salariali. In una delle rare opere dedicate agli apprendisti, Gilles Moreau (2) intitola in maniera significativa il capitolo che riporta le loro prospettive per il futuro “Superare l’orizzonte dello SMIC”
In queste condizioni di precarietà è difficile costruire un sentimento d’appartenenza di classe. In un contesto sociale segnato da un alto livello di disoccupazione, che rende l’accesso al lavoro problematico, l’orizzonte dello SMIC è diventato la norma di una frazione importante di giovani, principalmente, ma non elusivamente, di origine popolare, anche quando concludono degli studi superiori.

Quali potrebbero essere le linee di forza di un sistema di formazione che sia uno strumento di lotta contro le disuguaglianze?
E’ difficile in poche parole dare delle indicazioni esaustive. Una prima tappa nella realizzazione di una vera uguaglianza in materia educativa dovrebbe passare dalla costruzione di corsi comuni per tutti gli allievi fino a 16 o 18 anni, in altre parole bisognerebbe combattere la gerarchizzazione precoce dei settori o dei percorsi formali e informali. In seguito bisognerebbe cercare di smussare tutto quello che sul piano materiale può creare degli ostacoli alla scolarizzazione dei bambini provenienti da famiglie socialmente sfavorite, instaurando il principio della gratuità totale dell’educazione compresi i pasti, i trasporti e il materiale scolastico. Bisogna prima di tutto assicurarsi che i bisogni fondamentali del bambino siano soddisfatti, prima che egli possa consacrarsi all’acquisizione di sapere scolastici.
Infine bisognerebbe mettere in atto un’organizzazione della scuola e della pedagogia efficace che permetta a tutti di acquisire una formazione di base adeguata.
Gli esempi della Finlandia o della Corea del Sud mostrano che un tale orientamento è possibile, e che permette sia di ridurre le disuguaglianze nei confronti della scuola e di alzare il livello delle competenze scolastiche per tutti gli allievi.

Oggi si sente molto parlare, in relazione alla ridefinizione del sistema scolastico, della nozione di “uguaglianza delle possibilità”. Cosa pensa lei di questa nozione?
L’espressione di ispirazione liberale di “uguaglianza delle possibilità” tende a rimpiazzare nei discorsi pubblici la parola “uguaglianza”.
Questa espressione era già utilizzata negli anni ’60, ma restava essenzialmente confinata ai dibattiti che attraversavano la sociologia dell’educazione, in particolare attraverso la domanda: la scuola contribuisce a parificare le possibilità di accesso a una carriera corrispondente al talento o alla vocazione di ognuno, a mantenere o a rafforzare le disuguaglianze?
Se i sociologi si confrontavano vivamente sui meccanismi generatori di queste disuguaglianze e sulle interpretazioni teoriche, concordavano invece largamente sui fatti, a sapere cioé che la scuola non diminuiva globalmente le disuguaglianze di accesso a questo o quest’altro destino, la riproduzione sociale aveva la meglio sulla mobilità. Questa nozione di “uguaglianza delle possibilità” non equivale né all’uguaglianza dei risultati né all’uguaglianza delle condizioni. In effetti l'”uguaglianza delle possibilità”rimanda anzi tutto a una finzione, una sorta di specchietto per le allodole, perché l’uguaglianza delle possibilità non esiste nel mondo sociale reale, sia che parliamo di Svizzera o di Francia. Questa espressione si basa su un mito o una mistificazione, ma permette di giustificare la disuguaglianza, molto reale, dei risultati. Bisogna ricordare che dove c’è uguaglianza per definizione non sono necessarie possibilità; e dove ci sono possibilità, non c’è uguaglianza, ma caso, grossi premi o premi di consolazione…
La parola possibilità non rimanda forse alle lotterie o al mondo delle scommesse?Un mondo dove pochi vincono e molto perdono?ß

In una delle sue recenti opere (3) lei torna sull’aumento delle disuguaglianze sociali nel corso degli ultimi 25 anni e propone di analizzare queste disuguaglianze utilizzando il concetto di “rapporto sociale”. Potrebbe spiegare questo concetto e dire in cosa fornisce una griglia i analisi pertinente della realtà socio economica attuale?
Il rapporto sociale è una tensione che attraversa il campo sociale e che erige un certo numero di fenomeni sociali in elementi attorno ai quali si costituiscono gruppi sociali dagli interessi antagonisti. Per esempio, il lavoro e le sue divisioni o la divisione delle ricchezze prodotte sono degli elementi centrali attorno ai quali i gruppi sociali si sono costituiti, in particolare le classi sociali o le classi di sesso.
Questi gruppi sociali sono in tensione permanente attorno a questi elementi. L’articolazione di un rapporto sociale con altri rapporti sociali in seno alla totalità sociale è allo anche fonte potenziale di contraddizioni supplementari tra questi ultimi. Da questo punto di vista la realtà sociale può essere vista come un’unità risultante dall’organizzazione dell’insieme dei rapporti sociali, unità che non esclude assolutamente le contraddizioni tra loro e non implica dunque la chiusura di questa realtà su se stessa.

Qual è l’interesse di una concettualizzazione in termini di rapporti sociali?
Il concetto di rapporto sociale come paradigma di intelligibilità della realtà sociale permette di evitare la maggior parte delle impasse comuni ai modelli epistemologici più correnti nel campo delle scienze sociali. Penso in particolare alla sterile opposizione tra individualismo metodologico e olismo. Qualsiasi rapporto sociale è, per sua natura, fonte sia di coesione che di conflitto. Unisce (o lega) i soggetti sociali che mette in contatto, costituisce uno degli elementi a partire dal quale si costituisce l’architettura della società globale. Ma per contro, secondo forme e contenuti ogni volta specifici, qualsiasi rapporto sociale è, almeno potenzialmente, fonte di tensione e di conflitto tra gli attori o agenti, individuali o collettivi.

In questa prospettiva l’analisi non si ferma quindi agli individui …
Esattamente. L’elemento sociale, la realtà ultima su cui l’analisi deve soffermarsi, non è l’individuo (o gli individui) presi isolatamente, ma precisamente i rapporti sociali. Un individuo solo è sempre un’astrazione mentale. E’ in questo senso che Marx ha potuto affermare che nella realtà effettiva l’essenza umana non risiede nell’individuo isolato, ma nell’insieme dei rapporti sociali. Gli individui devono concepirsi come agenti/attori di questi rapporti sociali che, nello stesso tempo, li producono come tali attraverso gli atti stessi nei quali gli individui li mettono in opera, realizzando tutte le sollecitazioni, le richieste, le disposizioni e le potenzialità.
L’analisi deve quindi concentrarsi sul processo di totalizzazione, sempre incompiuto e contraddittorio, sui rapporti sociali, parzialmente coerenti e parzialmente incoerenti – cosa che non esclude l’esistenza di “effetti di totalità”, vale a dire di retroazioni di questa unità incompiuta e contraddittoria sui rapporti e sui processi parziali che li generano.
Il sociale non è dunque pensabile né come semplice somma di individui, né come sostanza sovrastante questi ultimi. Il sociale opera come una realtà prodotta e riprodotta attraverso interazioni multiple tra individui e gruppi. E per questo che l’assenza del termine “rapporto sociale” o “rapporti sociali” in numerosi dizionari di sociologia o di scienze sociali mi stupisce in continuazione.

Il presente articolo è stato pubblicato in Solidarietà.ch, Anno 10 – N° 11 – 11 giugno 2009


Note

1. Pierre Bourdieu, Jean-Claude Passeron : Les héritiers. Les étudiantes et la culture. Paris, 1964 ; e La reproduction. Elements pour une théorie du system d’enseignement, Paris, 1970 torna al testo

2. Gilles Moreau, Le monde apprenti, Paris, 2003 torna al testo

3. R. Pfefferkorn, Inégalité et rapports sociaux. Rapports de classe, rapports de sexes, Paris, La Dispute, 2007 torna al testo