Karin Adrian von Roques
Da sempre l’uomo ha cercato di esprimersi attraverso l’immagine. Il disegno l’abbozzo, il desiderio di creare forme secondo criteri estetici, come il piacere puro di decorare e di adornare, sono tutti impulsi originali dell’uomo. In effetti l’uomo primitivo si sforzava già di riprodurre il mondo in cui viveva, cioè voleva, nel significato più vero dell’espressione, “farsene un’immagine”. Tentava di trovare una rappresentazione dei fenomeni enigmatici e inspiegabili e di darvi forma. Ben presto l’uomo si interrogo sul “da dove” e il “verso dove”. Per queste prime immagini, egli si accontentava di qualsiasi sfondo. Come supporto delle sue rappresentazioni usava rocce, pietre, pelli conciate, le pareti del suo abitato (si pensi ad esempio ai dipinti rupestri dei popoli preistorici), tessuti, vestiti, utensili, gioielli. L’uomo creava segni semplici ai quali attribuiva un potere simbolico o magico: la capacità di allontanare i pericoli, di proteggere lui stesso e la comunità in cui viveva, di ammansire gli Dei e i demoni. Da quei segni semplici si sviluppò in seguito un linguaggio complesso di immagini e di forme. L’uomo traeva i suoi innumerevoli disegni dalle forme naturali, dai regni vegetale e animale, dagli oggetti della vita quotidiana o di culto, dal corso degli astri e dalle creature nate dalla fantasia. I modelli – piante, oggetti o esseri – venivano riprodotti con più o meno realismo naturalistico. Tuttavia, per molti aspetti, la riproduzione mirava a raggiungere l’essenziale tramite un’elaborazione stilizzata, geometrizzata e astratta.
L’uomo manifestava la sua volontà estetica nella creazione di immagini. La classificazione di un’immagine – ossia di una superficie cui é stata data una forma – come opera d’arte é determinata da diversi criteri formali, estetici e contenutistici. Per quanto riguarda il trattamento delle superfici, questi criteri possono variare fondamentalmente e nascere da presupposti del tutto diversi.
E’ interessante soffermarci qui, per contrapporre il concetto del trattamento delle superfici in Occidente e in Oriente. Da noi, l’insegnamento artistico tradizionale mira a familiarizzare lo studente con i criteri iconici. La superficie, che ha una dimensione prestabilita, va riempita in funzione di criteri strutturali ed estetici. Un oggetto da rappresentare secondo natura – per esempio una natura morta – deve quindi essere inserito nella superficie secondo proporzioni corrette e secondo una giusta divisione dello spazio. In altre parole, non deve essere troppo grande o troppo piccolo, né essere piazzato tutto a sinistra o tutto a destra del foglio o della tela. Viene ricercata una struttura armonica della superficie, con una giusta proporzione fra l’oggetto della rappresentazione e lo sfondo. Lo stesso vale per la pittura non oggettuale, astratta L’oggetto da rappresentare, il motivo (introduco qui il termine “motivo” per semplificare) viene inserito nella superficie. Da noi, quindi, conta prima la superficie, e soltanto dopo viene la rappresentazione del motivo. Il motivo deve articolare la superficie, e allo stesso tempo é questa operazione a dare il suo significato alla cosa rappresentata.
Nel mondo orientale la superficie ha un ruolo secondario. A primeggiare é il motivo, che il pensiero può sviluppare all’infinito; la superficie definisce un ritaglio di questo motivo illimitato. Per capire meglio questa affermazione, dobbiamo immaginare che abbiamo ritagliato una finestra (rettangolare o quadrata) in un foglio di carta e che lo applichiamo sul disegno di uno schema di motivi che si ripete all’infinito. Adesso spostiamo la finestra. A seconda della sua posizione, vediamo diversi ritagli del motivo. Così la funzione della superficie é di rendere più chiaro il motivo. Nella concezione orientale dell’arte questo significa che esistono due superfici disegnate: quella visibile all’occhio e quella invisibile all’occhio. In altre parole, esiste un motivo indipendente della sua rappresentazione sulla superficie, ed esso esiste, per modo di dire, come concezione anteriore, come “motivo in sé”.
Questo esemplifica l’idea della nostra esistente finita all’interno dello svolgersi cosmico infinito, articolato da Dio, anch’Egli infinito: l’idea della finitudine e dell’eternità. Qui la superficie trattata diventa un simbolo dello spazio e dell’eternità, mentre l’oggetto che riempie la superficie sta per la realtà fuggevole e limitata.
Questo principio si applica per esempio al tappeto orientale. La superficie del tappeto che ci appare come una unità di rappresentazione chiusa, in realtà é concepita soltanto come un ritaglio. Così il tappeto acquisisce caratteristiche simili a quelle di un mandala. Diventa oggetto di concentrazione, di meditazione.
In Oriente il motivo, infinito, primeggia.
Nel motivo viene scelto un ritaglio. Questo produce una superficie o l’altra
(questi esempi servono soltanto a illustrare il principio. Esistono ovviamente motivi o rappresentazioni ben più complessi).
In Occidente …
Qui i criteri di composizione sono corretti. La natura morta si conforma a un triangolo concettuale.
Esempi “sbagliati” …
La composizione a sinistra lascia troppo sfondo vuoto. Lo stesso vale per la forma di rappresentazione a destra.
Quindi, da noi é la superficie
che va riempita secondo criteri pertinenti.