Raffaele Mantegazza
Circondati da oggetti
Veniamo al mondo circondati da cose: oggetti che ci accompagnano, ci aggrediscono, ci assediano, ci consolano, oggetti che ritroviamo sulla nostra strada e dei quali non possiamo fare a meno; il nostro rapporto con il mondo è anzitutto un rapporto con le cose del mondo stesso: una seria pedagogia materialistica non può non occuparsene, non può ignorare questo dato di fatto. Una pedagogia della resistenza 1 non può che essere pedagogia della materialità e nel mondo della materialità affondare le sue categorie e proporre le sue strategie.
Il mondo occidentale è letteralmente assediato dalle cose: basta fare una gita in un deposito di rifiuti per rendersene conto. Solo gli imballaggi, cose che contennero cose, riempiono ogni anno centinaia di ettari di terreno con la loro ingombrante presenza.
Siamo schiavi delle cose al punto che non sappiamo come smaltire le buste, le scatole, i barattoli che le contengono. E il nostro potere sulle cose a volte si riduce al potere sugli imballaggi, e forse nemmeno a quello. La nostra cassetta delle lettere trabocca involucri di plastica contenenti riviste che mai leggeremo, le nostre bevande sono contenute in bottiglie contenute in confezioni da tre contenute in scatoloni da cento.
Assistiamo alla clonazione delle cose che lungi dall’essere moltiplicazione delle possibilità di intervento sul reale è clonazione dell’inutile: i ragazzi a scuola comperano antologie di 1000 pagine delle quali ne studieranno 50, e sfoggiano in prima elementare pastelli a ducento sfumature che non servirebbero nemmeno a un pittore affermato.
Occorse ribellarsi non tanto alle cose quanto alla loro assurda proliferazione, occorre una ribellione attenta e materialistica contro un sistema che ha eretto la peggiore e la più inutile delle metafisiche, quella dell’involucro.
In questo senso, nei confronti delle cose del mondo che ci circonda, una scelta di resistenza è, oggi in
Occidente, necessariamente una scelta di sobrietà; sobrietà che però non significa equa condivisione della povertà: si può scegliere di essere sobri quando non si muore di fame, c’è poco da essere sobri nelle scuole dei villaggi africani che hanno una sola matita per dieci bambini; c’è poco da essere sobri nei villaggi che non hanno scuole. La scelta di sobrietà è una scelta che proviene dall’élite occidentale e che non può come tale essere estesa a tutto il mondo; ma oggi a volersi estendere a tutto il mondo è il sistema di vita occidentale, che spaccia democrazia fittizia con gli slogan del tipo “un frigorifero in ogni casa e un’auto in ogni garage”; lungi dal voler davvero portare i garage in Africa questi slogan hanno solo il senso di perpetuare e di naturalizzare il western way of life: è così che si vive, dunque è cosi che si deve vivere, è impensabile l’altrimenti.
La scelta della pedagogia della resistenza
La scelta della sobrietà nell’uso e nel consumo degli oggetti è una scelta di pedagogia della resistenza se e solo se si connette a un chiaro e consapevole rifiuto delle fittizie opportunità di scelta multipla offerte dal mercato. La clonazione dell’identico non è certo un delirio fine a se stesso; è certo un delirio che però giova a qualcuno, che a qualcuno fa guadagnare denaro e prestigio. “Ci sono troppe automobili, troppe case, troppi canali televisivi, troppe radio, troppi giornali, troppi garage, troppi appuntamenti (…) Tu dimmi una cosa qualunque e io ti dimostrerò che ce n’è troppa.” 2: ma questo troppo è necessario, è quella declinazione dell’ideologia che Marx chiamava “apparenza socialmente necessaria”.
Se si proponesse di limitare i consumi, di limitare i cloni, di abbandonare la ricerca attorno a qualche nuova forma inutile di volante d’auto o di tubetto di tempera, qualche economista liberal ci metterebbe davanti agli occhi il ricatto della perdita del posto di lavoro per gli addetti ai cloni. Il contenuto di verità della sua affermazione è nel fatto che il sistema si cambia solo integralmente, modificandone gli assunti di base; il suo carattere ideologico è nel fatto che la base non possa modificare lo stato di cose presente, che occorra rassegnarsi.
L’esperienza del doppio
Gli oggetti sono tanti, sono troppi, sono infinite reduplicazioni di una identità che va smarrita. La letteratura tardoromantica ci ha narrato l’esperienza perturbante del doppio: una esperienza di morte e di perdita di sé che però poteva portare a un ritorno a sé, a un arricchimento causato proprio dall’essere stati fuori-di-sé, in una specie di esilio nell’altro-da-sé. Ma se vi sono tanti doppi, infiniti doppi, va a finire che non vi è nessun sé a cui ritornare, arricchiti; il sé si sdoppia all’infinito finché non si perde nell’infinità perturbante dei suoi cloni; così l’oggetto, vero specchio nello specchio, realizza quel delirio dell’infinita riproducibilità che fa smarrire l’esperienza dell'”aura delle cose” 3: l’aura era infatti legata all’autenticità dell’oggetto riprodotto, ma laddove l’oggetto è per essenza riproducibile e sdoppiabile, non c’è autenticità possibile ed è ozioso chiedersi quale sia l’originale. La produzione in serie degli oggetti oltre a moltiplicarne le presenze provvede a introdurre in ogni “clone” dei minimi e inessenziali elementi differenziali che operano pseudo-restituzione di soggettività. Non si tratta allora del problema di scoprire quale sia l’oggetto falso e quale l’autentico, né di denunciare l’effetto di massificazione tipico della catena di montaggio e della produzione in serie (di cui era emblema la Ford modello T che poteva essere prodotta “in qualsiasi colore, purché nero”). Alla paura della massificazione il postfordismo e la pseudo-individualizzazione tipica della nuova declinazione del modo di produzione capitalistico sostituiscono l’apparente restituzione di soggettività, tramite l’accentuazione di minimi caratteri differenziali. Gli oggetti saranno allora tutti uguali ma esibiranno innumerevoli differenze specifiche ed irrilevanti, utili però a cullare il soggetto nell’illusione di avere trovato il suo proprio oggetto. Un’analisi dei messaggi pubblicitari costituisce una prova di questa dinamica: da un lato si cerca di vendere il tuo sapone, il tuo canale televisivo; dall’altro si diversifica l’oggetto (il colore del frontalino del cellulare; il tipo di essenze contenuto nel sapone; il numero delle righine rosse sulla leva del cambio dell’auto) e il messaggio pubblicitario punta quasi esclusivamente su questa pseudo-diversificazione.
L’abitudine alla clonazione degli oggetti rende difficile la scelta della sobrietà che può essere presentata ai giovani come reale esperienza dell’oggetto mio, ovvero percezione di quell’unicità dell’oggetto che ci consente l’investimento affettivo ed emotivo sulle cose del mondo materiale e per così dire l’umanizzazione dell’oggettualità.
L’oggetto mio è unico e non riproducibile, perché è la riscoperta del mio senso nell’oggetto; un senso che è il rispecchiamento di ciò che io ci ho fatto, che io ci ho trovato, che io ho subito dall’oggetto. Per questo nelle nostre scuole ci sono troppe cose, si studiano troppe cose, si spreca troppo. Una sobrietà pedagogica passa attraverso la riscoperta di quei pochi oggetti (in senso sia materiale sia spirituale: la IX di Beethoven è un oggetto) che permettono di scrivere la mia autobiografia oggettuale. Al potere decisionale dell’oggetto, che decide su di me, si affianca cosi il potere sull’oggetto, che non è un potere annichilente ma un potere di scelta. I giovani devono essere guidati alla critica nei confronti degli oggetti, a una loro classificazione, a scegliere l’oggetto migliore non solo perché funzionale ma perché mio e solo mio, nostro e solo nostro in quello specifico momento.
Oggetti senza storia
Se gli oggetti sono tutti uguali non hanno più una storia, e gli elementi differenziali introdotti in essi per poterli vendere sono altrettanto astorici in quanto non restituiscono all’oggetto quella dimensione di autenticità che ha smarrito nell’era della riproducibilità. Ma se quell’oggetto è il mio perché mi narra una storia mia, se è il nostro perché noi ci abbiamo lavorato o giocato, se è il vostro perché è deposito di una memoria che io/noi non conosciamo ma che attraverso esso voi potete narrarci, allora l’unicità dell’oggetto riverbera sull’unicità del soggetto. Scuole arredate con meno cose, ma con cose scelte dai ragazzi e portate dalle loro case; meno poesie da studiare ma quella specifica poesia da imparare e sulla quale piegarsi per estrarne il mio senso, il senso del poeta, il senso per noi; cartelle scolastiche e zaini scout meno rigonfi ma con quei due o tre oggetti la cui perdita mi causerebbe dispiacere e smarrimento; sono strategie per liberare il deposito di senso che è bloccato nell’oggetto, riscoprire i “propri” oggetti, le “proprie” cose, quelle che parlano a me e soltanto a me, a noi e soltanto a noi: strategie per sentirci nemici delle cose, a loro soggetti e di loro soggetti, ma non più dominati e dominatori. Circondati da poche cose ma davvero nostre; e forse di cose che ci sentono, anch’esse, un po’ più “loro”.
Il presente articolo è stato pubblicato in Conflitti, rivista italiana di ricerca e formazione psicopedagogica, 2003, anno 2, n° 1.
edita dal centro psicopedagogico per la pace di Piacenza
Note
1) Definiamo pedagogia della resistenza una nuova opzione di ricerca e intervento n campo educativo. Il Gruppo d pedagogia della resistenza, nato nel 2002 attorno a la cattedra di Pedagogia Interculturale e della Cooperazione Internazionale della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Milano Bicocca (Dr. Raffaele Mantegazza), propone lo studio e lo sviluppo di una pedagogia che abbia come suo scopo essenziale la formazione di soggetti resistenti ne confronti di ogni tipo dominio, a partire da una rilettura pedagogica delle esperienze di resistenza proprie di coloro che si sono opposti al totalitarismo ed allo sterminio. Le strutture e i dispositivi educativi vengono indagati sia per quello che riguarda il loro potenziale di condizionamento e di espropriazione nei confronti dei soggetti sia del loro potenziale di emancipazione e di liberazione degli uomini e delle donne. Il Gruppo lavora sia sul versante teoretico che su quello di una implementazione pratica degli assunti della pedagogia de a resistenza, a livello di interventi di formazione con insegnanti, studenti, gruppi informali etc.
Per informazioni: raffaele.mantegazza@unimib.it torna al testo
2) Michele Serra, Walter, in Il nuovo che avanza, Milano, Feltrinelli, 1991, pag. 73 torna al testo
3) Cfr Walter Benjamin, L’opera d’arte…,. cit torna al testo