(Alcuni percorsi di ricerca.)
Ciò che alla fine va ristretto
Deve prima essere esteso
Ciò che va indebolito
Deve all’inizio essere rafforzato
Ciò che va rovesciato
Deve all’inizio essere drizzato
Colui che vuol prendere
Deve cominciare a dare
-Lao Tzu, Tao Te Ching
Sovente … quando ci confrontiamo con un allievo che non riesce ad integrare gli insegnamenti in un insieme coerente, che non generalizza e non differenzia (l’assimilazione generalizzatrice é correlata a quella differenziatrice), che non scopre o costruisce regolarità, che non riesce a formulare ipotesi rispetto le proprie azioni (ciò che definisce l’entrata nel pensiero operatorio concreto in senso piagetiano), insomma di un bambino che ancora ragiona e si fissa sulle configurazioni, sovente … diciamo che questo bambino é ancora dominato da necessità percettive, ed eventualmente che si situa (ancora) ad un livello pre-operatorio. Le difficoltà che osserviamo sul piano cognitivo e quelle che osserviamo sul piano rappresentativo o figurativo sono speculari l’una all’altra. Quale sia l’immagine e quale sia lo specchio non é dato qui a sapere. Non si tratta, in questa sede, per il sottoscritto, di sapere di chi sia il primato – in una prospettiva piagetiana inequivocabilmente del lato operatorio – quanto piuttosto osservarne il gioco di riflessi.
Il pensiero più spontaneo e immediato, conseguente a quanto descritto, può essere quello di consigliare al docente, o al genitore, di insistere nella manipolazione di oggetti, affinché il bambino abbia ad esercitare sufficientemente le modalità a lui congeniali in quel momento … e ciò nella speranza che dette esperienze, queste ripetute azioni, lo portino automaticamente a delle operazioni (proprio come un aforisma Zen, o una cura omeopatica, o un principio sistemico che prescrivono i comportamenti che desidereremmo vedere modificati). Insomma siccome la resistenza si situa nell’incapacità ad abbandonare il dato sensibile e nel primato della percezione rispetto l’astrazione, come pure nell’azione con elementi figurali rispetto alle operazioni, ne prescriviamo la necessità e la continuità, sperando che una maggiore fissazione di queste modalità di “computazione” della realtà ne comportino automaticamente un loro superamento. Ma allora se abbiamo a che fare con qualcosa che giace nell’impossibilità ad abbandonare i dati sensibili (l’impossibilità di un pensiero che astrae é l’impossibilità del soggetto a diventare attivo, agente della propria epistemologia), una prima immediata domanda che sorge é la seguente: quali sono le condizioni indispensabili in questo tipo di lavoro (quello consigliato ai docenti o ai genitori) affinché il bambino scopra le regolarità logiche, scopra (costruisca!) le conservazioni, costruisca e comprenda i valori posizionali nella costruzione del numero, sappia affrontare un testo con atteggiamento attivo di ricerca e scoperta, sappia fare delle inferenze, delle ipotesi, astrarre delle regolarità tra elementi percettivamente dissimili, ecc … ?
Ma un’altra domanda é la seguente. Cosa é che definisce le necessità percettive di un bambino? quali sono le sue interne necessità che lo muovono in tal senso? Dire che un bambino ha ancora bisogno di manipolazioni concrete o che é ancora dominato da questo tipo di funzionamento non definisce ancora una relazione causale sul piano evolutivo. Perlomeno non spiega ancora il perché di un tale arresto evolutivo o di una difficoltà evolutiva che si situa su questo piano. Non ci da ancora una comprensione evolutiva e causale, non ne fa l’eziologia, ma ci muoviamo ancora piuttosto ed evidentemente su di un piano descrittivo (e purtroppo questo imperativo non é ancora sufficientemente autoreferenziale costretto come sono a muovermi – io stesso – ancora troppo su di un piano descrittivo …)
Allora, relativamente al soggetto, la prima domanda sarà allora piuttosto rivolta al suo esterno e ci porterà a riflettere sull’apparato psicopedagogico, pedagogico e didattico, a sapere come organizzare le esperienze, quali materiali proporre, che tipo di compito dare, affinché il bambino sia accompagnato nella scoperta e nella costruzione di strategie operatorie, ecc …; la seconda domanda ci porterà al suo interno, a riflettere sull’evoluzione psicologica del bambino. Ci muoveremo dunque senz’altro su di un piano cognitivo ma pure relazionale, affettivo, in quanto la simbolizzazione marca certamente la nascita del pensiero ma anche lo stacco nella relazione bambino-madre … la simbolizzazione é il crocevia del desiderio.
Allora per riflettere sul funzionamento di questi bambini bisogna ben cominciare a riconoscere il pensiero senso-motorio, a identificarlo quando esso si manifesta a scuola e riflettere sul pensiero simbolico ed operatorio (il pensiero simbolico si definisce sulla sua costruzione di significanti ed utilizzazione degli stessi). Ma bisogna pur ricordare che quando parliamo di pensiero simbolico ci muoviamo contemporaneamente su di un piano cognitivo quanto dinamico.
Le righe seguenti, e i capitoletti di questa dissertazione, non hanno assolutamente la pretesa di essere esaurienti del tema affrontato. Dei percorsi di ricerca, piuttosto come indicato nel titolo, non ancora unitari, come nemmeno articolati fra loro. Anzi forse é un bene considerarli indipendentemente l’uno dall’altro, come altrettanti percorsi possibili. E poi questo navigare sarà piuttosto limitato agli elementi cognitivi, tralasciando la relazione, la dinamica, gli affetti, il desiderio …
Excursus: alcune giustificazioni teoriche sulla “ripetizione parossistica”
Se vuoi vedere, impara ad agire.
-H. Von Foerster.
Dall’azione la rappresentazione …
-J. Piaget
Andrea, in classe terza, non presenta particolari e specifiche difficoltà ortografiche. Sbaglia grosso modo quanto i suoi compagni. Ha una buona competenza fonografica – sa far corrispondere correttamente ogni grafia a ogni suono – e sa segmentare le parole. Andrea ama molto disegnare, specialmente curare i disegni. Quando copia un testo, che sia a distanza o ravvicinato, scrive sempre una lettera dopo l’altra, copia lettera dopo lettera, senza mai fissare spezzoni di frase, parole o sillabe. Incede sempre senza mai fissare mentalmente più di un segno grafico per volta. Naturalmente in questa maniera non accede mai ai significati, non sa mai cosa sta scrivendo. La grafia, il gesto grafico é curato, un buona calligrafia … Un giorno la sua classe corrisponde in inglese con una classe estera. Una classe con al suo interno alcuni bimbi di lingua madre inglese non comporta problemi di traduzione e comprensione. Ma chi ha una buona calligrafia? Andrea ricopia le lettere da spedire. Non parla inglese e ricopia due pagine manoscritte in inglese. Un compito che a noi appare incredibile, improponibile, lo effettua senza obiezioni e senza ulteriori difficoltà. Evidentemente come per la copiatura di un testo italiano non accede o non costruisce significati. Spingiamo dunque al parossismo il suo modo di procedere … Ma ecco che a un certo momento scopre, sul manoscritto inglese, alcuni nomi di località circostanti alla nostra scuola. E dice: “qui non ho bisogno di copiare lettera per lettera perché so cosa vuol dire, so cosa c’é scritto, posso ricordarmi”. Ecco una esperienza senso-motoria di ripetizione ma che porta a un cambiamento del comportamento ristrutturandone le premesse. A questo punto Andrea può meta-cogitare. “Quando il testo é così e cosà devo copiare lettera per lettera, quando capisco e conosco le parole posso copiarle per intero”. Una intuizione che ha il senso dell’illuminazione. Andrea, tramite la scoperta di un significante (alcuni nomi di località), ha fatto la scoperta della possibilità di accedervi. La scoperta di un significato (concreto) e la scoperta della possibilità di accedere ai significati non sono uguali, perché la prima concerne l’oggetto, la seconda concerne il soggetto. La prima é relativa alla relazione significante-significato dell’oggetto che é immutabile, la seconda concerne le modalità di computazione del soggetto, che sono evolutive.
Un altro esempio simile al precedente vede Caterina impegnata in una lettura. Ebbene Caterina legge bene la scheda (una storiella), nel senso che la sua dizione é discreta, il testo ascoltabile, ecc … Normalmente, quando Caterina legge, legge sempre a sottovoce, mai mentalmente. Finita la lettura non sa rispondere a delle domandine. La docente invita la bambina a rileggere. Caterina rilegge per ben due volte. Ma ciò che ha letto non le pone il problema del significato. Sembrerebbe che per lei “leggere” sia pronunciare ad alta voce i suoni. Non immagina che il testo abbia un significato perché non si pone minimamente il problema che il testo ne possa avere uno. Almeno ciò é quanto era stato ipotizzato nei suoi confronti. Che fare allora? Alla bambina viene proposta una scheda assolutamente illeggibile sul piano del significato. Le parole della storia proposta sono state tutte rimescolate aleatoriamente. Dopo una prima scheda gliene propongo una seconda. In questa maniera procede per circa 15 minuti di lettura ad alta voce. Ecco che alla fine di questo “esercizio” a una mia domanda risponde: “Mi é piaciuto, perché le lettere … mi piaceva dire”.
J. Piaget nel testo “La naissance de l’intelligence chez l’enfant” descrive le reazioni circolari (primarie, secondarie, terziarie o differite). Si tratta di esercizi funzionali finalizzati al mantenimento o alla scoperta di risultati. In particolare con l’effetto di rafforzare e mantenere un insieme senso-motorio.
Le reazioni primarie non sono intenzionali, piuttosto fortuite. Quelle secondarie cominciano a differenziare i mezzi dagli scopi e quelle terziarie vedono il soggetto operare delle piccole variazioni per “vedere cosa succede”. Non si tratta dunque più solamente di riprodurre un risultato interessante ma di farlo variare. Le reazioni circolari differite sviluppano una forma primitiva di localizzazione dei ricordi: l’interruzione di un’azione ripresa in seguito (per delle definizioni particolareggiate cfr. Battro, Dictionnaire d’épistemologie génétique, Reidel). Ciò significa che attraverso la ripetizione queste azioni innescano una progressiva presa di coscienza della propria intenzionalità. Si parla anche di “potere causativo”, vale a dire della coscienza della propria capacità a provocare delle modifiche nell’ambiente: un allargamento della propria intenzionalità causale e del proprio mana (chiamo così questo “potere” visto come il bimbo si muove nella sfera della magia e del mistero) agendo, provando micro variazioni.
Per le seguenti note ciò implica immediatamente tre domande:
- qual’é il significato dinamico delle reazioni circolari, e delle resistenze al cambiamento;
- qual’é il significato psicologico del fallimento del proprio “potere causativo”;
- qual’é il significato dell'”accanimento tecnico”, della continua ripetizione di pattern, senza cercarne o registrarne le modificazioni, della senso-motricità.
I Tao Te Ching (cfr. pure i testi di P. Watzlawick, Change, e Pragmatica della comunicazione umana, entrambi alle ed. Astrolabio) ci insegnano … l’esperienza, la pratica, o il concetto di rilassamento é individuale. Se é introdotto in una dinamica relazionale – tra due o più persone dove l’una consiglia, dice all’altra come deve sentirsi e comportarsi &endash; ha dell’ingiunzione di un ordine. Ogni qual volta diciamo rilassati il messaggio stesso chiede e ottiene il suo contrario. Quale il significato di ciò? Bisogna dunque chiedere effettivamente il contrario di ciò che si vuole per ottenere ciò che si vuole.
Percorso 1
Deficit a livello rappresentativo e simbolico?
Ci sono deficit che si situano a livello rappresentativo e simbolico? Eccome. Dire il contrario, affermando che comunque sempre e solamente le difficoltà che si manifestano a questo piano sono effetto di un deficit operatorio (ecco una ortodossia di natura para-piagetiana), é come negare l’esistenza stessa dell’inconscio. Oppure in altri termini non fare l’economia del soggetto. Sappiamo che il modello piagetiano é un modello unicamente epistemologico, “auto-funzionante”, con un fine teleologico, una predestinazione di origine biologica. Nei casi considerati come non spiegare altrimenti la predilezione per le cose percettive (evidenti, visibili) e l’evitamento delle cose di pensiero? Questa difficoltà si situa ad un livello che collega indissolubilmente le capacità operatorie, con quelle rappresentative, ma pure con quelle dinamiche. Non dimentichiamo che la rappresentazione ha a che fare con il simbolo e che il simbolo é direttamente collegato con l’inconscio e la vita affettiva del soggetto.
Come affrontare per esempio la predilezione, a scuola, delle “schede da eseguire” (con poco testo) rispetto le “schede da leggere” (con molto testo)? Cos’è questa fretta, questo rincorrere un atto esecutivo … Possiamo unicamente affermare che queste derivano dalla poca dimestichezza con la lettura, con una demotivazione nei suoi confronti, con una incapacità di tipo “tecnico”, … oppure con un blocco, una difficoltà relative all’anticipazione? nel senso della mentalizzazione, della costruzione di immagini, della trasformazione (elaborazione) di un messaggio (scritto) in una comunicazione mentale interna? Perché la lettura ha qualche cosa delle trasformazioni e della conservazione. E’ vero che nella situazione appena descritta c’é qualcosa che riguarda la lingua (competenze, semantiche, sintattiche, morfologiche, ancor prima di quelle specifiche alla lettura) ed é vero che ciò riguarda delle modalità spontanee e soggettive rispetto l’apprendere a scuola, come pure la motivazione e pure ha a che fare con l’interesse per le scorciatoie. Ma é specialmente vero che c’é qualcosa a cavallo tra il pensiero senso-motorio (o pre-operatorio) e quello operatorio concreto. Ed il linguaggio, il suo avvento e le prime costruzioni sono proprie a questo periodo. Il bambino a scuola é chiamato a passare decisamente e obbligatoriamente dal primo al secondo. All’utilizzazione di linguaggi che traducano esperienze, ma anche di linguaggi che producono nuove esperienze, di esperienze possibili solo con i linguaggi … Ma qui ci confrontiamo con bambini che funzionano prevalentemente a livello senso-motorio (percettivo-motorio). Dove i contenuti della sensomotricità sono le grafie, i segni (non i simboli), i colori, la colorazione, il numero dei quadratini, la loro forma o grandezza, le ripetizioni, l’ortografia, gli algoritmi aritmetici, il disegno stereotipato, l’occupazione del foglio (dove scrivo, quanti quadratini in basso, …), il calcolo come iterazione di unità, la riuscita corrispondenza fonografica (magari alfabetica), quindi la dizione corretta nella lettura (magari la decifrazione), ecc … Certamente, tutte queste cose (a un momento o un altro) sono importanti e necessarie. Quella senso-motoria non é una tappa dello sviluppo? E poi? Vorrei ricordare che l’intelligenza senso-motoria é essenzialmente conservatrice. Essa deve ritrovare continuamente le stesse condizioni e dinamiche per poter essere. E’ la ripetitività delle reazioni circolari …
Percorso 2
Piaget: azioni, configurazioni, operazioni
Grande – piccolo,
nero – bianco,
giorno – notte,
leggero – pesante.
… chilometro? …
ortemolihc!
-Filippo, classe 5a
In queste note i concetti epistemologici e cognitivi di riferimento sono prevalentemente di tipo piagetiano. Ciò non per definire o ridefinire le tappe e le modalità d’interazione che Piaget ha così doviziosamente descritto nei suoi lavori consacrati allo sviluppo dell’intelligenza sensomotoria e operatoria. Non si tratta di sapere se un bambino si situa a uno stadio piuttosto che un altro. Ciò che é importante é che le tappe evolutive rimandano a differenti modalità di coscienza (autocoscienza) – corporea, mentale o quant’altro – a successive modalità di interazione con la realtà, a successive modalità dell’immagine di Sé (successive l’una all’altra sul piano cognitivo ed epistemico, ma non escludentesi sul piano evolutivo e psicologico); lasciandoci ben immaginare quali siano le reali possibilità di introspezione o di metacognizione, specie in quei bambini che a scuola non riescono ad essere che degli esecutori di algoritmi o esecutori di schede; quei bambini che scarsamente mentalizzano, che mai o quasi sono sicuri di Sé, che non sanno rispondere alle domande, che non riescono a dare senso a un testo, perché i processi di costruzione di senso domandano qualcosa di personale, perché il dare senso ha a che fare con la rappresentazione, vale a dire con immagini da creare, immaginare, o pensare piuttosto che da guardare; bambini che, come già ricordato, prediligono attività ripetitive ed esecutive rispetto altre più partecipative, d’argomentazione, di confronto, di ipotizzazione o di ricerca attiva di indizi, notizie, soluzione, piuttosto che quelle di scoperta insomma. Il riferimento a tali concetti non deve pertanto portare a immaginare o considerare che un bambino a scuola possa essere realmente situato ad un livello (stadio) di intelligenza senso motoria; piuttosto l’euristica di tali concetti, in un ambito pedagogico e istituzionale sta nel riconoscerli come modalità residue o non ancora sufficientemente abbandonate nel relazionamento alla realtà e all’oggetto del sapere dell’allievo.
E’ importante soffermarsi un poco sul significato della decontestualizzazione. Perché é proprio decontestualizzando una esperienza, per ricontestualizzarla con altri tipi di materiale, che creiamo delle conservazioni e delle conoscenze di tipo logico, fisico, linguistico …
Vi é una differenza fondamentale tra:
- ragionare sulle modificazioni dell’oggetto (al esempio la configurazione dello stesso – la modificazione della palla di plastilina nelle prove di conservazione fisica (sostanza, peso, volume) – o per esempio di una conservazione numerica – la corrispondenza termine a termine)
- ragionare sulle operazioni eseguite sull’oggetto o l’insieme degli oggetti.
Ciò che segna il passaggio dal pre-operatorio (che é ancora invaso da strategie o modalità di computazione della realtà di tipo sensibile-percettivo) all’operatorio é il concetto di reversibilità e con esso la conservazione. Cosa significa decontestualizzare?
Ma per esempio riutilizzare uno schema di operazioni in ambiti e contesti differenti (in senso piagetiano il concetto di operazione é differente da quello di azione, il primo associato indissolubilmente alla reversibilità e al pensiero operatorio). Lo stesso operare con materiali differenti. Si capirà che se siamo fermi alla osservazione o registrazione dei dati percettivi ben difficilmente potremo costruire conservazioni … E appare evidente e sostanziale la distinzione tra ragionare sulle modificazioni dell’oggetto e ragionare sulle operazioni eseguite sull’oggetto. Ciò però non significa assolutamente lavorare in assenza di contesto. Significa che c’é sempre e sempre deve esserci se vogliamo proprio favorire le riflessioni sulle azioni/operazioni. L’eliminazione del contesto non può essere assunta come procedimento di lavoro, ma risulta solamente dalla astrazione degli elementi comuni che caratterizzano l’operare con materiali diversi.
“… l’objet n’est connu que conceptualisé à des degrés divers. L’image reste bien toujours le produit d’un effort de copie concrète et même simili-sensible de l’objet, mai cette copie demeure fondamentalement symbolique puisque une signification effective est à chercher dans le concept … “.(J. Piaget, L’image mentale …, pag. 8)
Percorso 3
Ancora sulle configurazioni (e il numero)
2x + 3y + 5z =
2napoli +
3calzoni +
5birre =
-In pizzeria
Filippo, in classe quinta, guarda una sottrazione in colonna:
767 –
764 =
A lato dò un foglio con i numeri seguenti:
3 – 72 – 628 – 1314
E chiedo “senza calcolare, prova a indovinare rapidamente quale può essere il risultato?” Da annotare che lascio guardare la sottrazione per un solo istante, poi la maschero. Risponde 628 perché “ha tre cifre”. Filippo ha lavorato sulla configurazione e ha lavorato ad un livello senso-motorio (o percettivo-motorio), nella ripetizione di pattern esecutivi mnemonici e spaziali. Questo é un esempio dove il “contesto” (il foglio, la disposizione dei numeri sul foglio, le righe tracciate, i pattern esecutivi, …) funziona da soluzione … é la soluzione (per la maggior parte degli allievi il calcolo in colonna é l’occasione per rimuovere strategie di calcolo ben più intelligenti, quali potevano essere quelle adottate nel calcolo mentale).
I concetti derivano non tanto dal materiale impiegato, quanto dall’apprezzamento del significato delle operazioni realizzate. La percezione può facilitare od ostacolare l’acquisizione, ma non é la sola figurazione che favorisce lo sviluppo. E’ la comprensione dell’operazione effettuata che é strumentale allo sviluppo cognitivo, operatorio, logico e logico-matematico. Possiamo anche dire che il soggetto perviene ai concetti manipolando oggetti. Ma non é dall’oggetto che estrapola il concetto. E’ dalla manipolazione o meglio dalla trasformazione/manipolazione degli oggetti che lo estrapola.
Un docente sta presentando un sistema di rappresentazione del raggruppamento per decina di elementi vari di un insieme numerico. Ciò per introdurre il valore posizionale relativo alla base 10. Racconta alla classe: “ecco ogni 10 palline facciamo un sacchetto …”. Una bambina non ha capito, o ha poco ascoltato, il che equivale alla stessa cosa. In seguito il docente dice: “bene adesso fate l’esercizio. Fate come me”. Ebbene la bambina riproduce esattamente lo stesso raggruppamento eseguito dal docente (due sacchetti e poi ancora tre palline), anche se il numero degli elementi o degli oggetti non corrisponde alla situazione stimolo (per esempio aveva 45 palline), non applica dunque il raggruppamento in base 10 alle differenti situazioni proposte. Esegue una azione non una operazione. E ad ogni nuova situazione non capisce perché non riesce ad eseguire rapidamente il raggruppamento “due sacchetti e poi ancora tre palline”.
L’aspetto percettivo, o il contenuto su quale il soggetto lavora, non é comunque inutile. Anzi esso può aiutare e facilitare un compito previsto (ma lo può pure complicare). L’utilizzazione di un tipo di materiale che presenta una particolare raffigurazione può aiutare per esempio a rappresentare i numeri (così come il docente di cui sopra ha cercato di fare). Le prime collezioni effettuate dal bambino sono figurali e non sono prive di significato, tendono a riproporre schemi, oggetti, immagini a lui familiari; familiari per le ripetizioni eseguite con essi, familiari per i significati affettivi connessi alla realizzazione di tale configurazione (magari eseguita con i genitori o il docente in una situazione emotivamente pregnante). La forza di tali configurazioni é tale che per alcuni bambini si ha l’impressione che non si possa mai superare la fase di una corrispondenza – diretta e univoca – tra una quantità e una sua rappresentazione; come se, ogni volta per questi bambini, una raffigurazione debba essere “La raffigurazione tipo”. E’ un problema di identità che implica una ricostruzione percettiva e motoria dell’oggetto (ad esempio la raffigurazione di un calcolo in colonna ed il suo algoritmo) – ma pure una ricostruzione affettiva, tanta é la fatica messa in un apprendimento – piuttosto che implicare una ricostruzione rappresentativa e operatoria del concetto. Fissandosi su un’idea statica, su di una rappresentazione elettiva del numero questi bambini non possono mai cogliere la sua costanza attraverso le sue continue variazioni e modificazioni simboliche (ad es. 8 = 2+2+2+1+1 = 4x X 2 = EEE +EE.+ecc … Ma sappiamo che le collezioni figurali rispondono a dei criteri organizzativi del soggetto. Che queste collezioni hanno per lui un senso, una organizzazione e corrispondono ad un adattamento con un suo valore, uno suo scopo e un suo equilibrio.
Due aspetti “deficitari”.
In primo luogo, ma non necessariamente in primo tempo, questi bambini lavorano sulle percezioni e non sul concetto. Il numero é reificato in una scrittura e il bambino considera che la scrittura é il numero (vedi l’esempio 767 – 764). In secondo luogo vediamo che questi bambini difficilmente riescono a modificare le proprie configurazioni perché per loro cambia, in qualche maniera, l’identità stessa del materiale e della sua configurazione (ad es. una cosiddetta classe figurale). Allora si potrebbe dire: certo, succede così perché questi bambini lavorano solo su dati percettivi e fino a che lavoreranno su dati percettivi non potranno accedere a una conoscenza realmente operatoria del numero. Tutto ciò é vero, ma rischiamo di correre su un filo vizioso fino a che non riusciremo a dare una lettura di tali difficoltà anche come un blocco reattivo alla costruzione di immagini mentali.
Due altri esempi possono forse meglio illustrare queste ultime righe. Questi portano di nuovo sotto osservazione le reazioni circolari; rammentando l’importanza della distinzione tra esercizio funzionale e azione simbolica. Distinzione tanto importante quanto euristica. Distinzione tanto importante perché forse ci mostra come per molti bambini l’esperienza numerica, aritmetica, l’esperienza di lettori, ecc … siano solo dell’ordine dell’esercizio funzionale. Ma vediamo il primo esempio. Un bambino ripete, per imitazione, l’atto d’imboccare. Imbocca una bambola, ripete l’atto, muove il braccio. Ma per lui tutta l’attività, a questo stadio, si risolve nell’aspetto motorio, muovere il braccio meccanicamente e ripetutamente. E’ questo un esercizio funzionale, della funzione che muove il braccio … é una reazione circolare. Un’azione simbolica si manifesta quando, ritrovando la stessa situazione precedente il bambino si immagina i risultati della sua azione, il nutrimento, il capriccio. per esempio quando muove le labbra nel gesto di mangiare … Abbiamo qui un passaggio dal semplice fare meccanico a un fare simbolico. Da un gioco funzionale, meccanico, esecutivo (magari di tipo imitatorio) a un gioco simbolico. Un secondo esempio concerne i comportamenti contrastanti rispetto un compito apparentemente identico. Su una scheda di calcolo c’é scritto “esegui la sottrazione seguente: …” il bambino non sa cosa fare. Solo quando sente o sbirciando s’accorge che c’é tracciato il segno “-” (meno) da qualche parte dice “ah devo fare il meno”. Il segno meno ha fatto scattare un pattern di tipo esecutivo, immediato e meccanico. Ma il bimbo non é giunto al simbolo (la lingua é un sistema di simboli) ), tanto é vero che non sa fare il collegamento tra esso e il termine “sottrazione” che rimane incompreso, pure dopo vari anni di frequenza scolastica. Ma la stessa situazione del calcolo in colonna citato precedentemente (767 – 764) ripete questo ordine di discorso. Oppure la lettura, silenziosa o non, quando é unicamente manifestazione della corrispondenza tra segno scritto e suono. Cosa che non é altro che una corrispondenza termine a termine e che converrebbe forse semplicemente chiamare “dizione”.
La fissazione su configurazioni tipo interferisce con la trasformazione/ conservazione del reale:
- perché impedisce la costruzione di permanenze, che per essere operatorie non devono essere percettive(e qui abbiamo a che fare con le capacità d’astrazione);
- perché “costruita” una immagine dell’oggetto (materiale), vale a dire data una identità a un oggetto questa non può più essere modificata. Nel caso contrario, se l’immagine dell’oggetto (che potremmo chiamare pseudo-identità) é modificata, é la stessa identità dell’oggetto a frantumarsi (vi é dunque come una specie di centrifugazione tra permanenza percettiva e conservazione operatoria);
- perché ogni nuova configurazione cozza con le precedenti, e con la configurazione tipo, ogni qualvolta queste vengono rammentate.
In assenza di permanenza il ricordo stesso dell’azione effettuata cade e con esso quindi ogni confronto retroattivo. Siamo sempre e ancora a un tipo di funzionamento senso-motorio.
Percorso 4
“macchine” cibernetiche di prim’ordine e “macchine” cibernetiche di second’ordine
Operazioni e rappresentazioni. Queste sono le due parole magiche, centrali. Tutto succede come se il bambino debole esegua azioni senza nessun tipo di elaborazione, una ripetizione continua di gesti, pattern o che si voglia, specialmente e preferibilmente senza variazioni. Ma ciò che colpisce in questa coazione ripetitiva e chiusa su se stessa é che é paradossalmente incerta. Paradossalmente il bimbo che continua a ripetere gli stessi gesti continua ad essere incerto, insicuro. Per forza, visto che la realtà e mutevole e non si piega al soggetto, per forza visto che gli insegnamenti sono progressivi e presentano continue rielaborazioni, modifiche, ecc …. Domanda: ma come mai questa continua esperienza e constatazione di insufficienza – le strategie che metto in atto non sono sufficienti – spinge il bambino a ripetere continuamente, a intestardirsi …?
Diremo che é un problema di sicurezza/insicurezza del soggetto, d’accordo. Ma qui ci troviamo per l’appunto nel paradosso: ciò che, apparentemente, da sicurezza perpetua l’insicurezza. I bimbi ripetono continuamente delle modalità che non fanno che ripetere la ricerca delle soluzioni che li hanno appagati. L’attivazione di una reazione circolare, di un pattern senso-motorio, li libera dall’ansia di dover creare delle immagini (o ripescarle al proprio interno). Ma queste sono le stesse soluzioni che li destrutturano …
Ecco poi nascere le resistenze al nuovo …
Ci sono almeno tre elementi da considerare.
1) Purtroppo, sovente, l’insegnamento é di tipo imperativo. Diciamo ai bambini come devono svolgere un calcolo, come devono scrivere una parola, come devono occupare lo spazio sul foglio, come devono scrivere, come tenere la matita, ecc … e facciamo fare degli esercizi affinché abbiano a ben dimostrare d’aver acquisito questi algoritmi o pattern. In genere li sottoponiamo a dei problemi per i quali esistono già delle risposte ed essi confondono gli uni con le altre, per cui l’importante non é creare problemi e scoprire (costruire) regolarità, fare scoperte, ecc, … quanto captare il più rapidamente possibile le risposte alle quali il docente vuole che arrivino.
Attenzione: non vorrei essere frainteso. L’insegnamento é anche imperativo – insegnare dei saper fare, dei pattern esecutivi, grafo-motricità, algoritmi, ecc … – deve pure esserlo. Voglio pure anche ben riconoscere che il condizionamento operante, o pedagogie impostate sui modelli neo-cognitivisti, sono necessari. Ciò non mi scandalizza assolutamente. E perché no? Ma dobbiamo pure essere sinceri e individuare a quale fine ciò serve, per quale tipo di apprendimenti … (fare l’epistemologia e l’ecologia dell’intervento psicopedagogico diventano dunque parte integrante dello stesso intervento con il bambino).
2) Sovente si confonde un segnale con una informazione (Von Foerster). L’informazione non sta nell’oggetto ma nell’azione (computo, Piaget direbbe operazione) che il soggetto fa su di esso. Un libro in sé non é una informazione, l’informazione é creata dal soggetto, nella relazioni che crea tra i dati raccolti nel libro e quelle già in suo possesso. L’informazione deriva dalle operazioni che il soggetto fa sull’oggetto.
Operare = computare, trarre informazioni (soggettive) dalle mie azioni sugli oggetti.
Rappresentare = vuol dire, prima o poi, fare scelte con il linguaggio e ordinare gli avvenimenti (dunque a fare delle scelte).
3) I bambini deboli si comportano sovente come se fossero delle “macchine comportamentiste”, dove funzionano bene, imparano a funzionare bene, solo con il linguaggio imperativo, dove l’informazione é uguale al segnale (si pensi alla cartellonistica stradale: ci dice “fermati”, “svolta a sinistra/destra”, “qui (non) puoi posteggiare”, ecc …)
Domanda: come passare da una psicopedagogia degli imperativi a una psicopedagogia che sia costruttrice di informazioni (il che equivale a creare nuovi problemi, nuove intuizioni, nuove percezioni)? In fondo con i bambini deboli si finisce a proporre una pedagogia neo-comportamentista mentre si tratta di “abbandonare quella strategia che ci spinge a cercare tra gli oggetti al di fuori di noi per adottare un’altra che ci permetta di andare alla ricerca dei processi dentro di noi (Von Foerster, pag. 172). Piaget direbbe che si tratta di passare da un dominio delle percezioni a quello delle operazioni. In termini cibernetici diremo che si tratta di passare da una cibernetica di primo ordine a una di secondo ordine (la cibernetica di primo ordine ci dice come funziona un sistema, é la cibernetica dei sistemi osservati; la cibernetica di secondo ordine ci dice come funziona l’osservazione di un sistema che funziona, é la cibernetica dei sistemi che osservano. I primi funzionano, i secondi osservano (come funzionano)). Parafrasando potremmo dire che si tratta di passare da una psicopedagogia di prim’ordine a una psicopedagogia di second’ordine.
Percorso 5
rappresentazione, mentalizzazione, evocazione …
Durante il periodo senso-motorio nasce la rappresentazione. Le condotte che si manifestano e si sviluppano sono: l’imitazione differita, il gioco simbolico, il disegno, l’immagine mentale. Esse sono tutte forme del pensiero simbolico e s’appoggiano sull’imitazione (in termini piagetiani). Nell’analisi dei deficit bisogna quindi insistere e vegliare su quale di questi singoli processi di formazione delle differenti forme del pensiero semiotico si presentano delle difficoltà. La distinzione é necessaria in quanto possono insorgere significati di differente natura per la spiegazione della genesi dei deficit che descriviamo. Varie le osservazioni che si possono allora fare:
- distinguere quello che é operatorio da quello che é figurativo – osservarne i legami e scoprire quali componenti operatorie risiedono nella figurazione e viceversa -;
- distinguere quello che é cognitivo e razionale da quello che é dinamico e affettivo;
- scoprire in quale maniera e quando le reazioni circolari e l’esercizio funzionale sono prediletti rispetto la creazione di immagini e quindi al loro differimento temporale (con la relativa archiviazione nella memoria a lungo termine).
- …
Le nozioni logiche possono evidentemente soffrire dell’esistenza di un deficit a livello della costituzione delle prime significazioni e dei deficit d’evocazione (anticipazione). In questo caso bisogna vedere se le relazioni tra significato e significante si elaborano normalmente.
Le difficoltà rappresentative, o della cosiddetta funzione simbolica sono da ricercare a livello d’immagine mentale, di tipo imitatrice, oppure di anticipazione e evocazione? Quindi nella possibilità di archiviazione delle immagini e dei risultati di operazioni a corto e a lungo termine e nella conseguente capacità riproduttrice delle esperienze vissute? oppure é già deficitaria l’immagine imitatrice (la copia)? Capire da dove deriva una difficoltà così elettiva significa interrogare il terreno della simbolizzazione, il suo sviluppo e le sue patologie.Il problema della creazione di una immagine mentale é evidentemente quella della costruzione di immagini (visive ma non solo) come pure quella della costruzione del linguaggio (attenzione pure l’immagine é un linguaggio e ha un linguaggio). E’ ancora il problema della mentalizzazione. La stessa cosa vale per il concetto, che si esprime con un linguaggio. Come accedere, sviluppare, costruire conoscenze se non abbiamo delle immagini (un linguaggio corrispondente)?Con Franca faccio un gioco, un gioco progressivo, o una progressione di giochi. Qualcosa tra il gioco di Kim e il Memory. Prendo delle figurine e comincio con il gioco di Kim. Franca deve memorizzare le postazioni relative ad ogni immagine che io metto in fila davanti al lei. Diciamo che uso 6 o 7 figurine. Quando ha ben memorizzato le postazioni io cambio il posto di alcune figurine, e in progressione magari ne aggiungo di nuove che non c’entrano o ne tolgo, e Franca rapidamente e correttamente ricostruisce la sequenza iniziale, eliminando le eventuali nuove figurine o ricuperando quelle tolte. Ha dunque ben memorizzato non solo tutte le figurine, ma anche le rispettive posizioni nella fila. In un secondo momento faccio la stessa cosa con 6 o 7 parole scritte. Stessi sviluppi. A questo punto riprendo le figurine, che capovolgo, quindi non si vedono più. Ebbene se chiedo a Franca di dirmi in quale postazione si trova una carta che io nomino (un sacco, una pesca, un treno …), prontamente me la indica senza errori. Quando io le chiedo di nominarmi la carta (la stessa carta) indicandogli una postazione (“cosa c’é qui”?) non me la sa nominare. Stessa dinamica con le parole scritte. Da notare che il materiale é stato scelto appositamente con Franca al fine di eliminare oggetti sconosciuti, così come per le parole.Franca sa trovare una figura o una parola nascoste se gli dico il nome. Se indico la postazione e chiedo di nominarla non é più in grado. Questo succede diverse volte anche modificando il materiale. Cosa succede? Forse fino a quando Franca aveva uno stimolo, una percezione esterna – la parola dell’oggetto o la sua raffigurazione – poteva mettere in atto una associazione tra l’una e l’altra, poteva dunque avviare una reazione di tipo circolare, un pattern di tipo senso-motorio. Ma nella situazione ravvisata manca uno stimolo esterno – rimane solo una posizione astratta che essa sola non serve per evocare dei significanti (i nomi degli oggetti). Per funzionare, la senso-motricità, abbisogna di una sensazione iniziale. Così Franca non può evocare, non ha un elemento sensibile che possa avviare il suo schema esecutivo. Prima trovava un riferimento esterno a sé, visivo o uditivo, una configurazione … ora lo dovrebbe ricercare e ricostruire al suo interno … Senza volerne assolutamente farne la stessa cosa (non ne sono nemmeno uno specialista), questa situazione mi ricorda, almeno su un piano più fenomenologico, le afasie, specie quelle di tipo nominale, dove le parole hanno perso il loro valore simbolico (cioè di sostituto dell’oggetto reale, qualsiasi sostituzione immaginata dell’oggetto reale é un simbolo …). Interessante é poi vedere cosa succede quando continuo l’attività. In sostituzione dell’impossibile evocazione del significante orale, chiedo alla bimba di disegnarmi cosa c’é nascosto. Ebbene anche qui si blocca.Pure l’esperienza stereognosica (riconoscimento tattile di un oggetto) può informarci. Ma anche questa ha a che fare con la formazione e la rappresentazione dei concetti. Ciò lo osserviamo quando alterniamo la tridimensionalità (stereognosia dell’oggetto) e la bidimensionalità (stereognosia del disegno dell’oggetto, più correttamente del profilo cartonato, come nel gioco Tactil). Succede così che il bambino sa rispondere in situazione di stereognosia tridimensionale (3D) di un oggetto -“ho in mano una mela”. Ma non é in grado di rispondere in situazione di stereognosia bidimensionale (2D). La mela, non é il disegno della mela, la scala non é la sua raffigurazione, l’uovo non corrisponde al suo profilo di forma più o meno ovale …Forse l’esperienza stereognosica 2 D é difficile perché manca una immagine più direttamente correlata con l’oggetto fisico … la stereognosia 2D di un oggetto (per esempio il profilo cartonato di una mela) equivale alla stereognosia della sua immagine (vale a dire alla stereognosia di una costruzione di una rappresentazione).
Prime parziali conclusioni
Nell’introduzione scrivevo che si trattava di riflettere a due livelli: quello dell’apparato psicopedagogico, pedagogico e didattico, sapere come organizzare le esperienze, il materiale, ecc … e quello dello sviluppo del bambino. E poi scrivevo che il pensiero simbolico si definisce sulla costruzione di significanti e la loro utilizzazione. Allora in un ambito di rieducazione, o di stimolazione cognitiva, si tratta di cominciare a fare l’economia de:
1) quali sono i processi di costruzione di significanti presenti o assenti, o “deficitari”:
- l’imitazione
- l’imitazione differita
- il gioco simbolico
- l’immagine mentale (riproduttiva o evocativa)
- il disegno
2) a livello di immagine mentale quale tipo di raffigurazioni costruisce il bambino? Per esempio (cfr. Piaget, L’image mentale …) distingue almeno 5 tipi di raffigurazione:
- immagini riproduttrici (statiche, cinetiche, di trasformazioni)
- immagini d’anticipazione (cinetiche, di trasformazioni).
Quali significanti é in grado di produrre/costruire il bambino?3) quali sono i legami che vengono a costruirsi fra significato e significante?Mi pare poi che ci siano due possibili livelli di osservazione dello sviluppo e del funzionamento della funzione rappresentativa: il primo indipendente all’utilizzazione della lingua parlata, il secondo che ne dipende. Perché se sappiamo che il pensiero é linguaggio – che il pensiero viene a realizzarsi concretamente sulla lingua e pure che la lingua é costitutiva di pensiero (Vygotskij), sappiamo pure che c’é pensiero senza lingua, … come lingua senza pensiero.
Percorso 6
cognizione, metacognizione, linguaggio
Ci meravigliamo delle flebili capacità meta-cognitive di alcuni bambini disadattati a scuola, per non parlare delle loro debolezze autodescrittive, introspettive. Quello della meta-cognizione é un problema indissolubilmente legato alle competenze linguistiche? Se penso a quali sono le competenze linguistiche dei bambini descritti, quale tipo di linguaggio sviluppano quotidianamente (piuttosto imperativo, performativo o funzionale, … ), quali le loro competenze semantiche e morfo sintattiche (penso a tutto questo sul piano orale, solamente orale), mi sembra che si possa concordare nell’affermare genericamente che queste sono ridotte, scarse. E che, senza voler tracciare una causalità tra linguaggio e metacognizione, in quegli stessi bambini, le competenze meta-linguistiche siano altrettanto ridotte. Certamente il linguaggio é una rappresentazione, e come rappresentazione é una sostituzione della realtà e come sostituzione della realtà ne é un elemento ordinatore. Questi bambini allora hanno o non hanno modo di sviluppare un linguaggio relativo alle operazioni eseguite? Il loro linguaggio mi sembra poco operatorio. Le sue funzioni logiche (come quelle connotative e denotative) come si sono sviluppate? Piuttosto, ho l’impressione, che quello dominante, quello sviluppato, sia un linguaggio performativo, imperativo, legato dunque all’espressione delle azioni (pattern) da eseguire, ancora legato all’intelligenza senso-motoria. Un linguaggio ripetitivo, circolare (vedi le reazioni circolari). Connotare = definire, caratterizzare mediante delle proprietà (é nero, é bianco, … é quanto in logica viene espresso in intensione, vale a dire la proprietà di una classe. Denotare = designare l’oggetto (o un insieme di oggetti) con un segno … é quanto in logica viene espresso in estensione, vale a dire la numerosità di una classe.Vediamo due esempi. Con Adelmo, all’inizio dell’anno scolastico, riordino il materiale di matematica (DIMAT). Questo é organizzato in maniera che il programma é suddiviso in numero preciso di argomenti, nel programma in questione sono 21, con una progressione facile, medio, difficile. Così il bambino, davanti a lui si ritrova 63 fogli – corrispondenti a 63 “test” – relativi agli argomenti e ai tre livelli di difficoltà. Ogni foglio ha la sua intestazione e numerazione relativa all’argomento. Il bambino riceve tutto il materiale già ordinato. Da notare che sono già due anni Adelmo lavora con questo sistema e il materiale appena ricevuto é lo stesso di quello dell’anno precedente. Ebbene io elimino tutti i riferimenti “classificatori”: le intestazioni (titolazioni dei 21 argomenti) presenti su ogni foglio, le numerazioni (in quanto la titolazione ha una sua numerazione associata). Lascio solo le consegne relative alle operazioni aritmetiche, le misure, i numeri, ecc … su ogni foglio tolgo dunque ciò che serve per ordinare il materiale nel classatore, e lascio tutto quanto é relativo all’esecuzione di operazioni aritmetiche. Lascio pure le indicazioni facile, medio, difficile. Eliminati i riferimenti descritti, mescolo i 63 fogli é chiedo al bambino di ordinare il materiale secondo i suoi criteri. Da notare che i raggruppamenti spontanei non corrispondono per niente a quelli del materiale. Adelmo raggruppa per esempio schede che concernono operazioni aritmetiche di segno differente, oppure di misure differenti, ecc … Ecco alcune sue verbalizzazioni: “vanno assieme perché hanno…
… i cerchi” (nei fogli presi ci sono dei numeri sparsi inscritti in una forma circolare);
… la mano” (qui c’é una mano come elemento iconografico per indicare qualche cosa);
… i quadrati (stessa cosa come per i cerchi);
… c’é scritto indica e indicare” (nel testo della consegna Adelmo scopre queste parole);
… queste colonne”;
ecc.
In questo caso quale allora la funzione del linguaggio? Quella di raggruppamento e descrizione logica? Oppure di descrizione di pattern?Vediamo l’altro esempio, quello già descritto del “fate come me”. Il docente aveva esemplificato come raggruppare le palline in base 10. Allora quale il messaggio di quel “fate come me”. Quello operatorio, implicito, legato all’operazione del raggruppare? Oppure letterale, descrittivo, dal senso “fate due sacchetti”, oppure “prendete solo due sacchetti”, legato alla percezione dell’azione, quindi di tipo percettivo-motorio o senso-motorio? Quindi magari da esplicitare nel senso: ” ogni 10 palline fate un sacchetto, ogni volta che ci sono 10 palline fate un sacchetto, e poi vediamo quanti sacchetti avete fatto e vediamo alla fine se rimangono fuori delle palline”, alfine di dare o descrivere la funzione operatoria della frase “fate come me”.E’ questa sicuramente una esperienza di meta-cognizione, anche se non esplicita, perché ogni messaggio ricevuto deve ben essere computato dal soggetto. Abbiamo visto qui due esempi opposti di possibile comprensione del messaggio.Quale allora il ruolo della parola, in questo ordine mancato di sostituto della realtà percettiva e dell’esperienza, quando le funzioni logiche della lingua tendono non a costruire un universo simbolico, a diventare sostituto dell’esperienza, ma a descrivere le azioni svolte o dare gli ordini? C’é una sorta di cortocircuitazione, nel senso che la lingua perde una delle sue funzioni d’interfaccia, di traduzione operatoria, per rimanere legata solo a quella letterale … ? Se così fosse la meta-cognizione potrà certamente trovare un suo sviluppo. Ma quale sviluppo? Certamente per un bambino che tendenzialmente tende a tradurre letteralmente i messaggi bisognerà esplicitare a livello performativo quel “fate come me”, affinché la sua spontanea traduzione letterale non sia da lui stesso incompresa: “ma io ho fatto come lui”.
Alla fine di questo navigare
Alla fine di questo navigare avrei voluto ancora occuparmi delle dinamiche seguenti:
- in particolare le dinamiche legate all’ansia, le reazioni circolari e la gestione delle attività mentali,
- e poi principalmente avrei voluto interrogare la questione dinamica, affettiva della nascita del pensiero.
- Poi ancora mi sarebbe pure piaciuto affrontare le questioni metodologiche legate all’intervento pedagogico. In particolare la distinzione di due piani differenziati del cogitare quali quello dell’azione e quello della rappresentazione, ciò con le rispettive implicazioni pedagogiche. Ciò considerando due modalità dell’agire che vanno dal piano dall’immediato al piano del mediato, cosa che comporta obbligatoriamente dei mezzi di annotazione mnestica.
Per ora però qui mi arresto.
Bibliografia:
R. ARNHEIM, Arte e percezione visiva, Feltrinelli
B.M. BARTH, L’apprentissage de l’abstraction, Retz
G. BATESON, Mente e natura, Adelphi
E. MORIN, Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kuiper
J. PIAGET, L’image mentale chez l’enfant, PUF 1966
J. PIAGET, La pensée symbolique et la pensée de l’enfant, Arch. de psy. XVIII, 72, 1923, pagg. 273-304
H. VON FOERSTER, Disordine/ordine, in: Sistemi che osservano, Astrolabio
L. VYGOTSKIJ, Pensiero e linguaggio, Giunti
P. WATZLAWICK, J. BEAVIN, D. JACKSON, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio
P. WATZLAWICK, J. WEAKLAND, R. FISCH, Change, Astrolabio
Il presente articolo è stato pubblicato ne:
P & E, psicologia & Educazione, rivista dell’Associazione Svizzera di Psicologia dell’Età Evolutiva,
2, 24, 1998, Solothurn