I processi di “delocalizzazione” dell’insegnamento.

Per una scuola realmente democratica

Il dibattito sulla democratizzazione degli studi e sul diritto alla formazione ha segnato le politiche per la scuola della sinistra nel secolo scorso.
Un obiettivo sociale e politico come quello delle pari opportunità per tutti é stato bene o male (così così diremmo noi) perseguito e qualche volta conseguito:
– con la determinazione di favorire e di allargare l’accesso alle scuole secondarie e superiori 
– con la certezza che una migliore formazione fosse l’anticamera per una migliore professione e una garanzia per una migliore emancipazione professionale, sociale e personale.

Le pari opportunità (PO) rimangono l’obiettivo sul quale organizzare l’azione politica della sinistra per la scuola?
Come si pone oggi il tema delle pari opportunità?

Al giorno d’oggi, vedremo in seguito, possiamo affermare senza dubbi che l’obiettivo delle PO si é fatto più distante.
Invece di avvicinarci ci allontaniamo ogni giorno un po’ di più. Perché?
Subito il pensiero corre alle politiche meno statiste, ai vari tagli finanziari subiti dalla scuola, all’aumento degli oneri dei docenti; il tutto condito poi con la complessificazione sociologica della popolazione scolastica (con gli allievi di sostegno, gli alloglotti, i figli delle famiglie monoparentali) e i processi di pauperizzazione di alcuni strati della popolazione scolastica (con gli abbandoni scolastici, i casi sociali, i casi difficili, comportamentali) … 
Tutto ciò è ben vero. Questi ultimi anni abbiamo potuto ripetutamente vedere il peggioramento progressivo della scuola e delle condizioni di lavoro.
Vi è però un altro elemento che deve essere considerato. Una novità, che marca un vero e proprio salto paradigmatico, politico e sociale. Mi riferisco qui alla cosidetta formazione continua, che sia “la formazione non formale” o “l’apprendimento informale”.

La delocalizzazione della scuola.

Sentiamo parlare di delocalizazione. Questo lemma é essenzialmente collegato ai processi produttivi industriali. O ai processi gestionali direttamente collegati alla produzione di oggetti di consumo. Così sappiamo che una fabbrica delocalizzata é una fabbrica trasportata in un altro luogo. Oppure sappiamo di singoli reparti o di specifiche linee di produzione trasportate là dove il capitale può realizzare meglio la sua natura depredatoria …
Questo lemma é entrato infine a giusto diritto a far parte del nostro vocabolario quale segnale di licenziamento e di sfruttamento.
 
Meno frequente é l’utilizzazione del vocabolo “delocalizzare” a proposito dei servizi che lo Stato ancora offre ai suoi cittadini. Meno frequente e meno chiaro. Specie meno utilizzato e chiarito ed individuato quale processo neoliberista di smantellamento dei servizi pubblici e punta di diamante della privatizzazione dei servizi pubblici.
Anche qui si tratta di spostare qualcosa.

Occupiamoci allorae dei processi di delocalizzazione della scuola.
Come avvengono? Quali le caratteristiche essenziali della delocalizzazione nella scuola? Cosa si sposta?
Vedremo che la delocalizzazione della scuola é un processo che si fonda su due dinamiche:
– il riconoscimento dell’apprendimento informale
– la certificazione degli apprendimenti informali.

C’é da chiedersi se la struttura della scuola abbia seguito l’evoluzione della società moderna, con le sue accelerazioni e trasformazioni sociali. Ricordiamo solamente le trasformazioni della famiglia (da quelle ricomposte a quelle monoparentali), la modifica dello statuto sociale della donna, l’immigrazione, la precarizzazione e flessibilizzazione del lavoro, l’avvento di una società dell’informazione, eccetera. 
Ma in linea principale dobbiamo ricordare il grande sviluppo del mercato del tempo libero, fin’anche il mercato per l’infanzia, che sia di tipo enciclopedico, ludico, artistico o sportivo. 
Infine, tra internet, radio, Tv, cinema, teatro, giornali, società sportive, corsi di musica, corsi di lingue e informatica, di ricupero, osserviamo il propagarsi di occasioni, il moltiplicarsi di luoghi e di tempi dedicati ad attività di insegnamento apprendimento; occasioni più o meno strutturate.
Basta guardarci attorno. Il numero di offerte formative é crescente. Attorno alle “tradizionali” società sportive, corsi musicali e così via, vediamo la continua crescita di iniziative educative private.

La struttura della scuola pubblica odierna é incentrata ancora su un’idea ottocentesca del sapere e della sua trasmissione. Una pratica o una considerazione della pedagogia limitata alle 4 mura della scuola.
Nel contempo, ed é questo il fattore essenziale, il peso che viene accordato agli apprendimenti esterni alla scuola viene a trovarsi oggi riconosciuto dai poteri scolastici. E sottolineo “riconosciuto”. 
Vale a dire: non si dice più solamente che si impara continuamente; che gli apprendimenti informali sono una veste della formazione continua; che quanto si impara a scuola é una parte minoritaria degli apprendimenti dei ragazzi .. e così via. Queste cose sono un po’ come la scoperta dell’acqua calda. Già lo si sapeva. Già si sapeva che si impara continuamente e non solo nella scuola.

La certificazione

La novità vera sta nella certificazione di questi apprendimenti. Ovverosia concretamente sta nella creazione di un documento che indichi capillarmente tutti quegli apprendimenti detti informali.
E come si propone questa politica di certificazione? Si propone tramite libretti quali i PEL o i Portfolio. Veri e propri nuovi libretti scolastici, nuove pagelle.
Così si certifica che i giovani hanno imparano molte cose fuori scuola. E questi apprendimenti vengono indicati nero su bianco in qualche modo. 
Ma come meglio vedremo in seguito, oggi lo Stato sviluppa, propone ed implementa la certificazione dell’informale, senza però preoccuparsi di parificarne l’accesso! Altro che diritto alla formazione.
In verità la struttura della formazione dei giovani rimane così prigioniera della sua attuale forma. 
Una forma che prevede:
– una scuola di base (pubblica o privata) comune per tutti. Scuola che, come abbiamo visto negli anni scorsi, ha subito tagli finanziari e il peggioramento delle condizioni pedagogiche di lavoro;
– delle offerte formative private, che ottengono una sorta di “valore aggiunto”.
Insomma: per chi non dispone di sufficiente credito (finanziario), la struttura della formazione é prigioniera delle politiche di razionalizzazione, che considerano gli investimenti scolastici pubblici solo al ribasso.

Localizzare = individuare e determinare il punto in cui avviene un fenomeno.
Delocalizzare = Politica di distribuzione sul territorio di servizi sociali. Politica aziendale mediante la quale si decide di frammentare e suddividere settori o parti del processo operativo diffondendolo in più zone.

Cosa é quindi, in definitiva, la delocalizzazione della scuola?

La delocalizzazione della scuola indica che non un fenomeno non avviene più nei medesimi luoghi. O che non si sa più dove avviene.
1) si sono spostati i luoghi preposti ai processi di insegnamento e di apprendimento. Non é più solo a scuola che si impara e si insegna.
2) si sposta il luogo preposto alla certificazione. 
Lo Stato da un libretto, delle note, una licenza.
Il libretto scolastico (la pagella) di nostra vecchia conoscenza almeno trovava (trova ancora) la sua validità nel descrivere i livelli raggiunti dall’allievo rispetto un sapere ed un bagaglio d’insegnamento-apprendimento comune, uguale per tutti. Possiamo considerare che é una misura del grado d’acquisizione dei programmi comuni.
Oggi si propone la certificazione dell’informale! Dunque non esiste più solo la scuola come luogo di formazione certificata, comune a tutti. Esistono tanti centri, tante possibilità di vedersi certificati.
Con la certificazione dell’informale lo Stato abdica al suo dovere formativo in quanto propone ed introduce elementi di concorrenza privata nella formazione. Elementi che non può controllare e che non può offrire. Si limita alla constatazione senza optare per una ridistribuzione.

I ferri del mestiere

I moderni “ferri del mestiere” hanno nomi del tutto particolari: Passaporti, Pel e Portfolio …
L’introduzione dei Portfolio o dei Passaporti quali il PEL (passaporto europeo delle lingue) é una operazione del tutto selettiva, competitiva e di delocalizzazione (leggasi pure deresponsabilizzazione) o abdicazione dello Stato rispetto i suoi compiti e suoi doveri nella educazione ed istruzione democratica e paritaria della sua gioventù. 
PEL e Portfolio propugnano una struttura classista e mercantile della formazione e ne sono i testimoni.
I PEL-Portfolio riconoscono l’importanza degli apprendimenti informali, quale parte degli apprendimenti da certificare. Tale certificazione é sintomo dell’avvenuta moltiplicazione delle offerte formative.
Il luogo dell’apprendimento é stato allontanato (o si ritrova, come per incanto, allontanato) dal suo tradizionale centro: la scuola pubblica. Non vi é più un Luogo solo dove si impara – nelle strutture pubbliche. Vi sono molti luoghi.
Il PEL é però la punta di volta dello smantellamento del diritto alla formazione e della democratizzazione degli studi.
Perché?
Perché il PEL é concepito come uno strumento promotore. Per esempio come uno stimolo a perseguire i propri sforzi con una lingua, una guida a perseverare, una procedura atta a identificare forze e debolezze del soggetto con una data lingua straniera … 
Certamente, é uno strumento promotore, uno strumento del tutto singolare ed individuale, ma uno strumento privato! Il soggetto quale promotore di sé.
Questa ”promozione” considera che per ottimizzare gli apprendimenti questi vanno ricercati nei vari luoghi ove avvengono. Quindi per esempio anche tramite soggiorni linguistici all’estero.
Il PEL é una vero e proprio cavallo di troia, é una vera e propria quinta colonna nei rapporti fra scuola pubblica e privata.

Secondo i principi sorvolati, se non c’é più un Luogo solo della formazione, ma molti luoghi, anche la responsabilità della certificazione va cambiata. Vediamo così pure la delocalizzazione del principio di responsabilità. Non é più lo Stato a dare i libretti e quindi a sancire un eventuale insuccesso scolastico. E’ l’allievo che si autovaluta. La responsabilità sarà tutta sua. Di lui e dei suoi genitori. E’ l’allievo che si autovaluta, che decide di frequentare un soggiorno linguistico all’estero piuttosto che comprare un nuovo PC. E così via.
E’ questa una vera e propria abdicazione delle responsabilità dello Stato. Lo Stato resta al meglio un fornitore di servizi dequalificati.

Certificare l’informale = delocalizzare la certificazione = allontanare la responsabilità dello Stato.

E’ assolutamente inaccettabile che sia lo Stato a promuovere strumenti che lo dequalificano. Invece di rafforzare il suo ruolo e il suo peso lavora per la propria squalifica.

Prospettive politiche

Di fronte a queste dinamiche abbiamo tre possibilità.
A) Rifiutare la certificazione dell’informale. Il rifiuto della certificazione non é però sinonimo di diritto e accessibilità alla formazione informale.
B) Considerare PEL e Portfolio quali strumenti classisti e di selezione, da non da rigettare del tutto, quali strumenti che certificano nero su bianco le impari opportunità.
C) Oltre che certificare gli apprendimenti informali, bisogna richiederne l’accesso democratico e paritario!

Il presente articolo è stato pubblicato in Solidarietà, anno 10, n° 3, febbraio 2009