Viandante, sono le tue
orme
la via, e nulla più;
viandante, non c’è
via,
la via si fa con l’andare.
Con l’andare si fa la via
e nel voltare indietro la vista
si vede il sentiero che mai
si tornerà a calcare.
Viandante, non c’è
via
ma scie nel mare.
-Machado
Rapidi appunti …
Quello dei giochi è un terreno vasto, in piena crescita, dai significati molteplici. Fin’anche insidioso, tanta è la materia da sviscerare.
Parlando di “giochi” potremmo parlare dei giocattoli, quelli in commercio, dalle scatole di montaggio, alle automobiline, alle bambole, ecc … ai video giochi; oppure potremmo parlare dei giochi di regole, quali gli sport, il gioco del calcio, la pallacanestro , ecc …, ai giochi da tavola come gli scacchi o dama. Gioco e gara vengono così a confondersi, perché nel professionismo il gioco elimina quella idea tanto diffusa che il gioco non é collegato ad un interesse materiale e utilitaristico, da cui non proviene nessun vantaggio.
Oppure facendone un ideale inventario, potremmo farne la storia; con i giochi vecchi e quelli nuovi, oppure una classificazione secondo le funzioni, dai giochi detti intelligenti a quelli stupidi, e così via.
Il mercato sforna annualmente sempre nuove proposte, innovative o semplici variazioni (repliche o clonazioni) di prodotti sempre accattivanti.
Oppure potremmo parlare del bambino e del gioco del bambino. Di quali funzioni il gioco assolve, di come si sviluppa, di come appare. Un approfondimento in tal senso ci farebbe dunque muovere decisamente allora in un contesto psicologico ed eventualmente psicoterapeutico nel caso in cui volessimo cimentarci con la cura delle malattie psicologiche infantili.
In gioco (scusate il bisticcio) avremmo: le tappe del gioco, da quello motorio, a quello simbolico, a quello di regole; i modelli o le scuole psicologiche, da quella psicoanalitica a quella piagetiana, tanto per ricordarne due fra altre molto importanti; le funzioni e le tappe, gli spazi e i tempi che il bimbo si prende per giocare (crescere ).
In particolare potremmo dilungarci sulla finzione, sull’immaginario che sviluppa il gioco (specie simbolico).
Oppure potremmo parlare dell’educazione (della dominazione) che con i giochi o attraverso i giochi si attua in un contesto sociale.
Parleremo allora degli spazi e dei tempi che la collettività accorda al giocare, parleremo dei moderni giocattoli, associati e connessi al giocare (connessione = congiunzione, giuntura, legame. Legame = legaccio, vincolo, obbligo, impedimento). Parleremo di come questi oggetti parlano, cosa ci dicono, cosa vorrebbero dirci secondo i loro creatori.
La colonizzazione dell’infanzia parte da un mercato sempre più invasivo e parte dell’immaginario infantile.
Una trattazione sistematica del gioco investe un lavoro enciclopedico.
Il gioco e l’infanzia
… cominciamo con qualche conciso concetto (da manuale) relativi alla psicologia dell’età evolutiva. Tanto per ricordare brevemente il quadro di lettura, infantile ed evolutivo, del giocare.
Nella sua crescita il bambino incontra il gioco. Il gioco è (forse) il luogo per antonomasia della crescita e dell’apprendimento: un fenomenale vettore per la crescita di ogni futuro cittadino. Con il gioco, tramite il gioco, il bambino impara a conoscere se stesso e il mondo. In psicologia si considera il gioco come decisivo luogo per lo sviluppo del pensiero, per l’accesso ai simboli, alle astrazioni, alle rappresentazioni, come pure alla gestione dell’ansia e del desiderio. Sembra pure precorrere la nascita del linguaggio oltre che del comportamento simbolico.
Il gioco permette al soggetto (bimbo o adulto) di gestire i suoi errori controllando le sue azioni e facendone variare le sequenze. E’ importante perché anticipa l’approccio alla realtà permettendo un contesto esplorativo, dove l’errore non ha valore di sanzione.
Il saper giocare è direttamente correlato con la creatività e l’apprendimento. Creare situazioni fittizie sempre più complesse e strutturate porta allo sviluppo del pensiero astratto.
Nel gioco si attua la possibilità di montare e rimontare sequenze di comportamenti volte a conseguire destrezza. Riduce o neutralizza le difficoltà implicite delle azioni finalizzate. Minimizza le conseguenze delle azioni e quindi aiuta ad apprendere in situazioni meno rischiose. Riduce gli eccessi di tensione come quelli di frustrazione. Non è un caso che i bambini piccoli siano in grado di apprendere meglio e più rapidamente a risolvere dei problemi che concernono l’utilizzazione di materiali precedentemente utilizzati ludicamente.
Il gioco rappresenta una buona occasione per tentare nuove combinazioni comportamentali che non possono essere attuate in situazioni strumentali.
Nelle sue variazioni, nei suoi tentativi, nelle sue fantasie, ecc … dà all’errore uno statuto che non rientra in un contesto performativo, competitivo, educativo, ecc …
L’esperienza ludica diventa un terreno dove provare, sbagliare, variare le proprie sequenze di azioni in un contesto libero, di continue re-invenzioni.
Il gioco è dunque una spinta alla variazione.
E può avere uno spazio di attività in cui al bimbo viene concessa piena autonomia dal mondo degli adulti.
Il processo di continuo adattamento del bambino al mondo degli oggetti e della realtà in toto è fortemente ansiogeno e conflittuale, poiché ad ogni istante rimanda alla valutazione del sé, alla propria capacità ed adeguatezza a figure esterne che decidono per lui, che decidono del suo valore e delle sue possibilità.
L’io infantile necessita di un luogo di rappresentazione delle proprie difficoltà in cui liquidare le tensioni che lo abitano. Questa rappresentazione viene attuata specie nei giochi simbolici.
Il gioco simbolico viene così ad essere considerato l’apogeo del gioco infantile. Il bambino assimila a sé (accomoda poco) e costruisce un proprio sistema di significanti, un sistema soggettivo e docile ai propri voleri.
Questo potere evocativo mobilita conflitti interni, fantasmi, bisogni, ecc … che il soggetto cerca di controllare. Persegue dunque una liberazione ed una estensione dell’io (Io = istanza psichica costantemente mediatrice tra le spinte pulsionali e le componenti superegoiche interiorizzate e il mondo esterno).
Una delle funzioni del gioco è quindi la creazione di uno spazio dell’immaginario. L’osservazione dell’infanzia ci insegna che dopo i giochi motori i bambini, nella loro crescita, scoprono i giochi simbolici e i giochi di regole.
Ma in particolare ci insegna che quello spazio immaginario è uno spazio di incontro, uno spazio dell’illusione possibile (Winnicott). Uno scenario che il bambino sviluppa nei suoi incontri con le realtà interiori ed esteriori, uno spazio d’incontro.
I bambini imparano meglio quando si tiene conto delle loro motivazioni e delle loro tendenze.
La maturazione cognitiva, la socializzazione, la crescita affettiva, l’apprendimento sono obbiettivi pedagogici che passano attraverso la motivazione.
Varie sono le impostazioni didattiche che includono o escludono il gioco come vettore di apprendimento e crescita.
Il gioco è uno strumento che viene più o meno strumentalmente e più o meno sistematicamente utilizzato per far apprendere. Abbiamo così momenti di giochi più o meno liberi e giochi finalizzati (specie i cosiddetti giochi didattici). Come insegnatoci dalla psicologia il bambino prima adatta le cose a se stesso (Piaget) per poi giungere ad un accomodamento nei confronti degli oggetti e della realtà.
L’esperienza ludica diventa un terreno sul quale seminare qualunque apprendimento (più o meno creativo).
Giochi e giocattoli
Ma è proprio così? E proprio vero che il bimbo è (ancora) libero di giocare? E’ vero che il bimbo ha ancora una completa e totale libertà ed autonomia dal mondo degli adulti? E quale mondo adulto?
La presenza del mercato nella società odierna e nel quotidiano nostro vivere, ha decisamente stravolto ed oltrepassato i suoi propri abituali confini. Oggi il mercato ha invaso ogni sfera del vivere. La stessa società si presenta come un gigantesco iper-mercato, globalizzato, onnipresente.
Si compra e si vende di tutto, dallo spago per arrotolare l’arrosto alle protesi dentarie, dai prodotti alimentari alle confezioni per congelarli, dalle automobili ai biglietti per i trasporti pubblici, dalla consulenza finanziaria ai titoli di borsa, dal pane alla farina per impastarlo, dai vestiti ai seni, alle labbra, tutto siliconato, e così via … fin’anche la spiritualità, propagata da sorridenti telepredicatori.
Il mercato ha oltrepassato gli spazi e i tempi ad esso abitualmente concessi (in genere i nuovi stabili, concepiti sempre più sovradimensionati, sono costruiti appositamente per diventare un ricettacolo di tutti prodotti, di tutte le repliche e di tutte le clonazioni).
Ha superato quei confini per riversarsi in ogni spazio pubblico, dagli ospedali (ove il “diritto” alla salute non è certo un Diritto con i costi che ti ritrovi) ai servizi postali (tra posta lenta e posta rapida), alla pubblicistica, alla radio, alla scuola, ecc …
Interviene poi in ogni momento, tramite le pubblicità – vera avanguardia simbolica del capitalismo consumista -, a ricordare la sua, la nostra e la vostra vera (si fa per dire) ragion d’essere.
In questo contesto mercantile e consumista i giocattoli non vengono a mancare.
Le sempre nuove (si fa per dire) proposte, i nuovi prodotti sfornati ad ogni nuova stagione, invadono certo le corsie dei supermercati, appaiono nelle pubblicità, ma occupano le menti dei nostri figli.
“Nei giochi e con i giochi la vita sociale si riveste di forme soprabiologiche che le conferiscono maggior valore. Con quei giochi la collettività esprime la sua interpretazione della vita e del mondo” (Huizinga, p. 55)
Il mercato come gioco, il mercato come forma di socializzazione, socializziamo attorno al mercato. La comunicazione si organizza attorno alla merce. Attorno alla merce si gioca; si gioca con il giocattolo assunto a ruolo di merce. Si gioca attorno al mercato, il mercato come gioco. Il mercato come luogo di socializzazione e apprendimento. Apprendimento simbolico e sociale (nel senso di diventare socializzati, adattati al sistema mercato; socializzati = che sanno stare alle regole).
Il mercato come gioco, il gioco del mercato
Ebbene un cinico pragmatismo gestisce queste offerte. Un pragmatismo che va ben al di là del solo consumismo.
Nella ri-produzione del modo di produzione attuale vi è una dinamica stretta tra il giocattolo e il gioco perché il consumismo si propone sempre più come fornitore di oggetti ma pure come fornitore di rituali. Come vedremo ancora in seguito, esso propone non solo gli oggetti di consumo (i giocattoli) ma pure e principalmente rituali (i giochi) ad essi connessi, con i manuali, modelli, riti e modalità d’uso ad esso connessi.
Il nostro modo di produzione capitalistico, nostro nel senso che è quello che ci domina, quello in cui che volenti o nolenti ci viviamo, viene giudicato abitualmente quale modo di ri-produzione di determinati beni di consumo. Ma tale modo di produzione non è solo un fatto economico. Esso è già di per sé una prassi determinata dell’agire, un modo di vita determinato.
I suoi rapporti sono intrinsecamente sociali (o socializzanti, nel senso che, se pur sono poco o per niente sociali, danno e determinano dei modi di vivere organizzati).
Come modo basato sull’espropriazione della forza lavoro si propone oggi esso stesso come un rituale, un modello, oltre che una organizzazione. Il modo di produzione capitalista ha una veste simbolica attorno alla quale e con la quale sviluppiamo il nostro immaginario. Il capitalismo consumista, come modo di produzione, producendo giocattoli e giochi produce la sua stessa rappresentazione di sé. Oltre che proporre la sua rappresentazione del mondo.
Così abbiamo il Monopoli, modello della speculazione urbanistica e immagine del diritto alla casa (si fa per dire); la Barbie, modello della emancipazione del corpo; i Pokemon, veri e propri ambasciatori delle manipolazioni genetiche; i video porno bellici, modelli delle future guerre umanitarie e della relazione uomo-donna; le play station, vero e proprio apprendimento al lavoro flessibilizzato (dati i tempi che i ragazzi vi concedono); i giochi robotizzati o i super eroi, cavalli di troia della disseminazione nucleare del mondo …
Certamente: la quantità di giocattoli immessa sul mercato opera un salto qualitativo nel modo di porre lo scenario consumista, perché la grande massa impone un gioco simbolico socializzante di nuovo tipo.
Belli o brutti, dolci o aggressivi, i giocattoli vengono proposti con immagini da raggiungere e toccare nella riproduzione di fattezze e movenze, con i modelli di utilizzazione. Ti dicono pure come giocarli, imbrigliando la fantasia, attraverso gli spot artefatti. Attraverso quella massa di oggetti oggi ti propongono temi da giocare. Così Harry Potter è presente nei libri, ma pure nelle scatole da costruzione Lego, alle carte, ai video giochi, ecc … La stessa cosa succede per il Signore degli anelli. La McDonald propone poi personaggi più o meno sinistri che mangiano i suoi panini, ecc …
Ma non è tanto la poco ecologica, molteplice ed infinita sequela di nuove automobiline o di nuove bamboline a sottolineare lo sviluppo simbolico del consumismo capitalista. Non sono tanto le Barbie a creare un senso di inadeguatezza educativa nelle proposte che la produzione lancia sul mercato. Certamente possiamo disquisire quanto possa portare di negativo, come modello, il proliferare di Barbie nelle case di tutto il globo, o anche solamente nella nostra casa: e per riflesso potremmo dissertare sul perché il chador arreca tanto scandalo nell’occidente “emancipato” …
Abbiamo visto, oggi il mercato propone tanti giocattoli e questi giochi invadono la casa co manufatti di plastica, che finiranno prima o poi nella spazzatura (eccolo un altro imprinting: il gioco dello spreco!).
La quantità crescente di oggetti di consumo determina un salto qualitativo nel modo di porre il consumo.
Oltre al giocattolo, come oggetto da comprare, da toccare, giocare, ecc … c’è tutto il resto. La bambola è fornita con vestiti, sempre nuovi, per ogni stagione, ha degli amici, la bambola utilizza lei stessa degli oggetti, ha degli spot pubblicitari che la mostrano in piena forma (piene forme), attiva o magari malata, spot pubblicitari che ti mostrano come fare, ti fanno vedere come la bambola si muove, che cosa desidera, come vestirla, con gadget (case, carrozze, cavalli, cucce per il cane …), e così via. Assieme all’oggetto si propone una serie ininterrotta di gadget. Assieme all’oggetto si propone una serie di utilizzazioni dello stesso. Assieme all’oggetti si propongono degli scenari. Questi scenari vengono proposti come immaginari infantili … vengono poi adattati, clonati, replicati a iosa.
E’ su questi immaginari che la vecchia invadenza consumista rinnova la sua odierna forza. Un po’ come se, tramite tutta quella panoplia di oggetti associati, il mondo delle regole tendesse ad invadere o controllare il mondo simbolico! Massima illusione?
Oggi si producono scenari e si consumano scenari. Questo è il nuovo gioco.
Il gioco consumista non è più votato solo alla produzione di oggetti: la bambola, la macchinina, la scatolina di montaggio, ecc … da replicare in tutte le salse, da vendere e far comprare.
Il gioco consumista propone che il gioco (infantile) assuma vieppiù posture, modelli, contenuti, forme, rappresentazioni ed obiettivi proposti dal mercato.
Si dovrebbe dire: il gioco consumista assume modalità che si sviluppano in un rituale: tramite il giocattolo, i suoi vestiti, le pubblicità che lo reclamizzano, i comportamenti che gli prestano, le storie che costruiscono, i fumetti che lo rappresentano …
Il consumismo turbo-capitalista da produttore di oggetti di consumo diventa produttore di modalità di consumo, o produttore di modalità di utilizzazione dei giocattoli e quindi di socializzazione con i compagni.
Nella peggiore delle ipotesi la sostituzione del mondo (gioco) simbolico con il mondo (gioco) di regole: ecco quanto Momo scopre e rifiuta nel famoso romanzo di M. Ende.
Nella migliore delle ipotesi una sovrapposizione del mondo (gioco) simbolico con un mondo di regole sempre più sovra determinato. Regole determinate NON da un dato gruppo di appartenenza (quello degli amici che giocano la partita al campetto, o quello del caseggiato, o quello dei compagni di scuola) ma dalle regole del mercato (quanto siamo distanti dalla crescita della morale autonoma in un contesto di reciproco rispetto descritto-idealizzato da Piaget).
Il gioco simbolico (luogo della soggettività) viene così ad essere inquinato, invaso dagli spot pubblicitari associati al giocattolo. Verrà così ad essere ridotto ad un mondo (gioco) di regole (del consumo)?
Il gioco si pone come vettore di apprendimento: di apprendimento simbolico e di apprendimento sociale.
In un contesto vieppiù dominato dalle regole di mercato,
– dove il giocattolo non è più il solo prodotto venduto,
– dove il giocattolo non è più la sola posta in palio,
– in un contesto produttivo dove la vera posta in palio è diventata l’invasione dell’immaginario infantile con i prodotti finiti,
acquistare giochi diventa un rituale simbolico che introduce e socializza alle regole del mercato.
Produrre giocattoli oggi significa produrre modalità di utilizzazione dei giocattoli. Il modo di produzione capitalistico non propone più solo oggetti di consumo, ma tende ad invadere le stesse modalità di utilizzazione, tende a mercificare l’immaginario e la fantasia (non per niente esiste la lucrosa industria dello spettacolo, non per niente una delle principali e fondamentali rivolte giovanili si esprime nei centri sociali autogestiti).
Imprinting
In questo panorama il pensiero critico si pone l’obiettivo di contrastare l’invadenza del mercato perché cosciente che attraverso il gioco si aprono le porte di una colonizzazione.
L’infanzia è diventata un mercato di sfruttamento e di investimento finanziario. Luogo di sfruttamento simbolico ed investimento sociale (il consumismo come modo di socializzazione).
Questa nuova frontiera si fa forza non della sola sua forza finanziaria; nel senso di apertura di nuove linee di credito e di guadagno. Non rinforza il capitalismo solamente sul piano del guadagno. E’ irrimediabilmente una frontiera simbolica, una frontiera che organizza i rapporti sociali a partire dell’infanzia. Una frontiera che organizza un vero e proprio “imprinting”.
Imprinting = impronta. In genere negli animali, nelle loro prime ore di vita, se viene presentato un oggetto sostitutivo della madre (anche un peluche o altro sostituto), questi animali si comportano subito rispetto a tali oggetti come se fossero animali (i genitori, la madre) della loro specie. Vi ricordate Lorenz e le sue paperette?
Ecco due esempi
A) l’esperienza del gruppo e del lavoro collettivo nelle scuole.
A scuola il senso di proprietà privata è rapidamente insegnato-assimilato, alla magica età di 5-6 anni grosso modo. Alla scuola dell’infanzia tutto il materiale di lavoro è ancora rigorosamente in comune. Alla scuola elementare invece ognuno ha il suo banco, il proprio astuccio, la propria gomma, i propri colori, cancellino, riga, compasso, ecc … e magari tutto ciò in fogge diverse, tutte acquistate nei grandi magazzini (penne rosa, gomme a forma di Paperino, matite magiche, ecc …). Rammento qui i litigi per le gomme (è mia non te la dò) prestate, rubate, imboscate, …
Questo individualismo continua poi nei giochi. In una classe ho contato 12 play station con relativi giochini. Tutti rigorosamente di proprietà individuale.
Queste sono le vere primordiali esperienze del gruppo e del lavoro “collettivo”.
B) l’alfabetizzazione
L’alfabetizzazione è ovunque garantita là dove i supermercati dominano i paesaggi urbani.
Vediamo l’esempio degli abbecedari (manuali per imparare a leggere e scrivere). Chi come genitore non si è accorto che, proprio appena quando il proprio figlioletto impara a leggere, comincia a sillabare tutte le pubblicità che incontra nelle strade. Legge tutte le insegne, oppure comincia a guardare (leggere) con nuovo interesse i cataloghi di giochi che i grandi magazzini distribuiscono gratuitamente con la posta?
Un ultimo desiderio
Quello del gioco è un tema decisivo ai fini dell’educazione e della socializzazione dei bambini e dei cittadini. Il gioco è sinonimo di apprendimento. Oggi questa sinonimia tra giocare e apprendere dilaga, ricuperata, strumentalizzata, specialmente nell’ambito dei materiali multimediali (materiali per lo più di pessima ispirazione vista la dilagante impostazione ripetitiva, meccanica, neo comportamentista di quanto viene proposto).
Il gioco ha uno spazio prediletto, è uno dei primi luoghi di apprendimento della realtà, delle regole e dell’immaginario.
Si attua tramite un oggetto o una finzione, ha un ideale estetico e uno comportamentale.
Il gioco è importante perché in esso il soggetto trova un crocevia tra il suo desiderio, il suo immaginario e l’immaginario collettivo. Nel gioco si gioca una appartenenza.
Il gioco è una pratica che allena il soggetto.
Allena i riflessi (playstation) e la muscolatura (calcio), allena la mente (scacchi) e si sviluppa nell’immaginazione (giochi simbolici). Ma attraverso gli scenari che esso presenta rende avvezzi i giocatori alle realtà che richiamano .
I contesti che propone rendono avvezzi ad un mondo competitivo, aggressivo, dove prevale la legge del più forte …
In questo senso tra il video gioco di guerra dell’adolescente e le video guerre odierne, tra i bombardamenti di orchetti virtuali e i bombardamenti intelligenti la continuità è assoluta. Il primo scenario si prolunga nel secondo. E l’odierna confusione del gioco con la realtà (o viceversa), o articolazione, non deve venire a sorprenderci.
La continua e inarrestata messe di oggetti che il consumismo immette sul mercato appare come luogo di soddisfazione del desiderio (dell’ultimo desiderio), in un consumo che non ha fine e che assoggetta il cittadino alle regole di un gioco di consumo che fine non ha. Una vera coazione …
Tramite il gioco e il giocattolo si dispiega l’immagine stessa dell’infanzia, una immagine che l’adulto costruisce sui banchi del mercato. L’immagine che l’industria ha dell’infanzia, l’immagine dell’infanzia che propone l’industria del giocattolo.
L’immagine dell’infanzia prefigura l’immagine dell’età della ragione?
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