Francesco Codello
I sistemi educativi nelle società del primo mondo stanno formando nuovi soggetti. Adatti alle esigenze della new-economy e alla divisione internazionale del lavoro. L’apprendimento deve quindi essere necessariamente e utilmente parcellizzato. Un processo che determina la formazione di una mente duttile, elastica, flessibile priva però di valori di riferimento e assoggettata a una funzione di dominio e potere che si regge sul proprio sull’assenza di principi come la libertà e la diversità. Insomma, sta nascendo un nuovo dominio basato sulla centralità e sull’importanza della formazione strutturale dell’uomo.
Questa è la riflessione che propone Francesco Codello, dirigente scolastico a Treviso e studioso dei problemi dell’educazione
Chiunque si accinga a riflettere sulla personalità infantile non può che constatare come progressivamente, ma decisamente, i ragazzi abbiano ormai uno sviluppo precoce di tutte le abilità cognitive. Bambini e ragazzi di entrambi i sessi, infatti, presentano una spiccata maturazione della sfera razionale e logica della loro personalità che interessa soprattutto l’ambito cognitivo e intellettuale. Questo fatto incontrovertibile emerge chiaramente da tutte le analisi, le osservazioni e gli studi psicologici, pedagogici, sociali che sono stati pubblicati in questi ultimi anni, ma anche dall’osservazione sistematica che genitori e insegnanti fanno quotidianamente nei vari contesti educativi.
L’intellettualizzazione dello sviluppo della personalità è ormai un dato incontrovertibile che evidenzia un abbassamento precoce e un anticipo dell’età nella quale ogni bambino sviluppa performance intellettive. Tutta l’organizzazione sociale dell’infanzia ruota attorno a questa impostazione: anticipo dell’età della scolarizzazione ai tre anni; organizzazione del tempo libero improntata a un «arricchimento delle opportunità formative»; invasione pressante della tecnologia audio-visiva tanto da provocare una diffusa intossicazione tecnologica [l]; decisa impostazione pedagogica dei programmi e dei curricoli scolastici in senso cognitivo-efficientista; frammentazione sistematica delle modalità di insegnamento e ricerca di modelli organizzativi della didattica che rispondano a criteri di produttività; intera organizzazione del sapere scolastico improntata a una logica economicistico-industriale; filosofia del tempo come opportunità di accumulazione di nozioni ed esperienze intellettive; assenza di spazi e tempi nei quali non vi sia presenza organizzata di adulti; radicale espulsione di fatto da ogni esperienza formativa di attività pratiche, manuali e corporee; progressiva trasformazione della famiglia da luogo deputato all’educazione (autoritaria) a nucleo di assimilazione e consumo.
Questo quadro produce inevitabilmente la nascita del bambino a una dimensione, quella cognitivo-intellettiva appunto, contribuendo in maniera decisiva alla formazione di personalità assolutamente disarmoniche e settoriali contraddicendo completamente ogni assunto libertario sul tema dello sviluppo della personalità.
Inoltre le tendenze sopra enunciate fanno cadere vertiginosamente un’altra caratteristica forte della concezione libertaria dell’educazione, vale a dire lo sviluppo dell’autonomia individuale che rappresenta l’elemento essenziale della libertà.
Infatti possiamo constatare che bambini e ragazzi si distanziano sempre più da una propria autonoma personalità, da un individuale stare al mondo, da un distacco esistenziale e conscio dalla massificazione. Ciò si manifesta in vari modi, come ad esempio nel prolungamento della permanenza in casa fino a età più avanzate, nella perdita di abilità e competenze elementari, nella dipendenza da modelli e comportamenti determinati non più dalla famiglia ma sempre più spesso dal gruppo, o meglio dal «branco» [2], in un crescente e spaventoso aumento di problematiche di tipo relazionale fin dalla tenera età che sostituiscono quelle di tipo cognitivo.
Questa anticipazione dello sviluppo cognitivo unitamente alla progressiva esclusione degli altri aspetti della personalità forma individui monodimensionali che ben si inseriscono però nel contesto socio economico e culturale dei Paesi post-industriali del nord del mondo e nell’occidente capitalista. Il processo di globalizzazione, che altro non è se non un nuovo feudalesimo culturale, si fonda proprio sui presupposti della divisione internazionale del lavoro conseguenza logica del primato della conoscenza intellettiva su quella operativa.
L’apprendimento dell’apprendere
Nell’era dell’accesso [3] lo sviluppo del sistema scolastico non può non essere, nei Paesi dominanti, che indirizzato e coerente con la logica sistemica generale della parcellizzazione delle conoscenze, la specializzazione spinta e la mancanza della produzione e della capacità di un pensiero di massa che sia «globale» [4]. Al contempo all’interno di questi Paesi l’apprendimento viene sempre più visto, non solo come necessariamente e utilmente parcellizzato, ma anche come «apprendimento dell’apprendere». La meta-cognizione quindi costituisce l’elemento fondante dell’intero sistema psico-pedagogico strumentale allo sviluppo della società in termini di globalizzazione. Questo fatto, di per sé interessante ed essenziale in una logica libertaria, diventa all’interno dell’intero sistema generale, un’abilità logica raffinata sulla quale selezionare le intelligenze e le conoscenze della nuova classe intellettuale che dirige e sposta, dispone e ipotizza, il lavoro intellettuale dei Paesi ricchi, creando così un nuovo e più sottile sistema di selezione [5].
Il pensiero unico che accompagna la globalizzazione del sistema mondiale costituisce l’inevitabile corollario dell’unicità dei valori dominanti, del trionfo del post-capitalismo e della nuova rivoluzione internazionale che fonda il nuovo feudalesimo culturale. Questo pensiero fondato esclusivamente sull’esperienza cognitiva e intellettuale domina nelle società privilegiate e si trasforma in quelle dell’esclusione in pensiero unico fondato sull’esperienza manuale e/o corporea. Il sistema qui esposto naturalmente si ripercuote in ugual modo anche all’interno delle singole società riproducendo però uno schema di divisione in classi che si basa anche sulla variabile geografico-ambientale. Un elemento tutt’altro che secondario analizzato da Pëtr Kropotkin ed Elisée Reclus. I due pensatori anarchici hanno infatti dimostrato come la divisione gerarchica del lavoro e la formazione delle classi sociali dipenda in modo considerevole dalla discriminazione ambientale, vale a dire che il contesto geografico marginale, rispetto a un centro, produce una nuova e più sottile differenziazione e determina una ulteriore divisione fondata sulla collocazione geografica. Un lavoratore dipendente di un Paese ricco guadagna molto di più e si garantisce una qualità della vita migliore di un pari o maggiore collega di un Paese povero.
Lo stesso ruolo dell’insegnante viene modificato da questo processo producendo uno spostamento radicale delle sue funzioni sociali. La scuola, in virtù della precoce scolarizzazione, diventa sempre più l’istituzione totale per eccellenza, assumendo sempre più il ruolo di contenitore esclusivo del processo istruttivo. Lo schema logico su cui si fonda l’istituzione-scuola viene riprodotto in tutto l’associazionismo che si occupa di dare contenuti al tempo dei bambini e dei ragazzi. L’esperienza dominante e tipica si risolve nella scuola in apprendimento intellettivo e astratto, in spazio di consumo e fruizione di conoscenze e nozioni, in unicità e settorialità di sviluppo della personalità.
Da questo approccio esclusivo nascono e si amplificano i disturbi di personalità, le dissociazioni logiche e relazionali che rappresentano ormai la quotidianità e la regola in tutti i contesti sociali giovanili.
L’insegnante, l’educatore, diventa pertanto sempre più tecnico specifico di una disciplina, incapace e impotente di fronte al disagio sociale che i ragazzi manifestano, che le famiglie globalizzate producono.
Ha perso completamente la sua funzione sociale o di selezionatore della nuova classe dirigente o di coscienza critica, di intellettuale disorganico della società.
L’economia della conoscenza
La scuola deve formare la «risorsa umana», che in quanto riconosciuta e definita come tale, viene assimilata alle altre «risorse» e acquisisce pertanto lo stesso valore e poiché il termine di riferimento è passato dal capitale alla macchina intelligente intorno a ciò si gioca il suo futuro [6].
Come giustamente rileva Jeremy Rifkin [7] l’economia è ormai economia della conoscenza nel senso che questa diviene la risorsa principale della new economy, fatta di imprese sempre più virtuali, nelle quali la sempre maggior produzione di ricchezza esclusiva passa attraverso la fine del lavoro opprimente e manuale (per la parte delle società dominanti). Ciò (contrariamente a quanto sostengono gli ottimisti sostenitori delle virtù dello sviluppo tecnologico [8], che pure ci sono) porta in una società classista in un mondo feudalizzato, alla formazione di una nuova alienazione di cui l’esempio più sconcertante è costituito proprio dal bambino e dal ragazzo a una dimensione.
La risorsa intellettuale, da una parte, e quella manuale, dall’altra, sono ormai strumenti al servizio della redditività del potere di una nuova classe intellettuale di proprietari immateriali [9]. Inoltre occorre tener presente che le conoscenze cambiano e raddoppiano circa ogni cinque anni producendo un frenetico tempo di consumo del sapere e pertanto soltanto chi possiede una capacità meta-cognitiva è in grado di pensarsi o come dominatore o come contestatore.
Questo sapere esclusivo diventa dunque il veicolo e lo strumento per la formazione del privilegio: padroneggiare e commercializzare le intelligenze, vale a dire il «saper sul sapere», «saper sapere». In altre parole andare al di là della conoscenza acquisendo una struttura metodologica che consenta di imparare ad imparare, determina la formazione di una mente duttile, elastica, «flessibile» priva però di valori di riferimento e assoggettata a una funzione di dominio e potere che si regge proprio sull’assenza di principi come la libertà e la diversità.
Insomma un nuovo dominio viene formandosi basato sulla centralità e sull’importanza della formazione strutturale dell’uomo a una dimensione, quella della razionalità del sistema, sottile e profonda, tanto da mutare anche le strutture della formazione del pensiero (basti pensare al ruolo della formazione iconica e delle immagini nel processo di modificazione della percezione e dell’assimilazione).
Vale la pena sottolineare come questo impianto sociale produca, accanto a quanto esaminato, anche sul piano dei valori l’affermarsi del valore della tolleranza, che diventa indispensabile perché ideologicamente tutto si tenga, vale a dire l’accettazione passiva dell’altro. Non certamente la solidarietà, che implica esattamente il contrario della passività. Ed è quello che invece ai libertari interessa.
Il presente articolo è stato pubblicato in Libertaria 1/2001, viene qui riprodotto per gentile concessione del suo autore.
Riferimenti bibliografici
1. John Naisbitt, High tech e rapporti umani, Franco Angeli, Milano, 2000
2. Judith Rich Harris, Non é colpa dei genitori, Mondadori, Milano, 1999
3. Jeremy Rifkin, L’era dell’accesso, Mondadori, Milano, 2000
4. Thomas L. Friedman, Le radici del futuro, Mondadori, Milano, 2000
5. Jeremy Rifkin, La fine del lavoro, Baldini & Castoldi, Milano, 1995
6. Riccardo Petrella, Educazione e formazione: le cinque trappole, in Libertaria, n.2/2000
7. Jeremy Rifkin, L’era dell’accesso, op.cit.
8. Thomas L. Friedman, Le radici del futuro, op.cit.
9. Kevin Bales, I nuovi schiavi, Feltrinelli, Milano, 1999