Appunti di viaggio: sulla gestione del disadattamento scolastico. Un tentativo di condivisione.

Indice

Se il media é un messaggio le scelte procedurali non sono neutre. Definiscono le linee e il contesto di lavoro che regolarmente ri-creiamo. Ri-definendo linee e contesto della gestione del disadattamento produciamo una nuova significatività del disadattamento scolastico … insomma una nuova dimensione socializzante … (o de-socializzante)

La parola é il microcosmo della coscienza


-Vygotskji

Premessa

In alcuni istituti scolastici (del Cantone Ticino) sono apparsi tentativi di gestione del disadattamento che hanno cercato di promuovere dei luoghi e momenti di condivisione collettiva delle tematiche, delle problematiche ad esso riguardante. Ciò significa che si era tentato di trovare e creare degli spazi organizzati per una discussione collettiva all’interno dell’istituto. Queste discussioni riguardavano le tematiche relative alla cura in classe del disadattamento e relative alla segnalazione dei bambini ai Servizi di sostegno pedagogico (SSP).
Il documento seguente vuole descrivere il tentativo intrapreso per due anni consecutivi in un istituto scolastico dove il sottoscritto ha potuto operare (il detto istituto comprendeva sia le scuole elementari che la scuola dell’infanzia).

Si é parlato molto di gestione collettiva del disadattamento. Ma una prima precisazione s’impone subito. Forse, invece di parlare di gestione collettiva del disadattamento (cosa fuorviante se non sono specificati compiti e ruoli dei vari “gestori”, lasciando credere che tutti indistintamente fanno un po’ di tutto) é più corretto parlare di momenti collettivi di gestione e/o di concivisione.
Nell’esperienza descritta grosso modo sono stati affrontati due tipi di compito complementari l’uno all’altro: la segnalazione (in altre parole chi segnalare e chi no) e la condivisione di riflessioni, metodologie, materiali didattici utilizzabili in classe.

Questo documento é diviso in 6 parti:

– descrizione del modello di funzionamento (i “consigli di ciclo”),
– metodologia dell’osservazione,
– sviluppi concretizzati,
– alcune fra giustificazioni teoriche del tentativo, i suoi obiettivi,
– indeterminazioni e interrogativi,
– considerazioni finali.

Due allegati completano infinr il presente rapporto.

N.B. Questo documento si riferisce ad un’esperienza che non é stata per ora oggetto di una sistematica valutazione ed é comunque una esperienza nata spontaneamente con il consenso di tutti gli operatori. Le riflessioni, interrogativi, critiche ecc, qui presenti vogliono essere solo un contributo, una traccia, una pista per approfondire ed affinare l’esperienza. Con la speranza che questa possa essere continuata e ripresa.
Il documento non implica la responsabilità di nessuno se non quella del sottoscritto.

1) Il “consiglio di ciclo”

Il seguente documento si rifersice ad una esperienza durata due anni scolastici, 1997/1998 e 1998/1999.
Uno dei documenti che hanno stimolato la realizzazione dei consigli di ciclo é “La gestione del disadattamento scolastico nella scuola dell’infanzia e la scuola elementare” (Bellinzona, DIC, 1995).
In particolare vi si trovano delle affermazioni decisive nella definizione delle competenze e delle preoccupazioni degli operatori scolastici.
Fra altre cose si ricorda che il docente titolare é “il primo responsabile nell’adozione e nella promozione di misure intese a far fronte ai casi di disadattamento”. Si afferma pure che il disadattamento deve essere una “preoccupazione degli organi di conduzione dell’istituto”, favorendo, per esempio la “cooperazione fra docenti titolari, di materie speciali e gli operatori del SSP”. In quest’ambito al direttore é stata data dunque una importante funzione di coordinamento.
D’altra parte c’é la seguente constatazione. Sovente la gestione del disadattamento é basata principalmente su pratiche individuali, non condivise, che comportano anche differenze di valutazione da parte dei differenti docenti, che comportano pratiche e visioni implicite, ecc … .
Ciò pone appunto il problema di una condivisione, o di un avvicinamento delle prassi (ciò non tanto sul piano della metodologia e della didattica, quanto sul piano dell’osservazione e della valutazione del disadattamento …).
E’ così che con il consenso unanime di tutte le docenti e i docenti, sia di scuola dell’infanzia sia di scuola elementare, l’istituto scolastico decide di dar via all’esperienza dei consigli di ciclo.
L’esperienza dei consigli é quindi una prassi che si definisce come un progetto d’istituto.

Di cosa si tratta? Ebbene della creazione di un luogo (il consiglio, appunto) e di un tempo consacrati appositamente alla gestione del disadattamento a scuola: questi consigli appaiono dunque subito importanti per una loro doppia valenza.
Da un lato di tipo “amministrativo”, vale a dire sapere e decidere quali sono i casi da segnalare al SSP – casi che verranno decisi non più dal singolo docente, ma da tutto il gruppo.
E da un altro lato di tipo formativo: e qui molti sono gli elementi d’apprendimento. Ne elenco solo alcuni fra i molti potenziali:
cosa e come osservare, come interagire in classe con i bimbi in difficoltà, come raccogliere materiali e fare una sintesi, ecc …
Si tratta, in poche parole, di momenti regolari di discussione e regolazione di situazioni difficili a scuola. Momenti però che non vogliono e non devono sostituire la segnalazione tradizionale, così come é conosciuta da molti anni, ma la precedono. In questa maniera, si era pensato, – attraverso questa fase collettiva di valutazione di un caso e di riflessione delle possibili soluzioni da adottare in classe – avremmo potuto dar via ad un processo di condivisione e formazione reciproche …

Prima di diventare operativa questa proposta ha avuto una fase di “preparazione” e riflessione che ha visto impegnato il sottoscritto, con la logopedista dell’Istituto e il Direttore, nell’individuazione delle possibili modalità, condizioni, difficoltà di realizzazione dei consigli. Se sui principi generali tutti si era d’accordo, le modalità di realizzazione locale non erano poi immediatamente del tutto chiare … Questa preparazione era molto importante per anticipare e individuare l’insorgere di problemi, impasse, inghippi … Ma pure per determinare gli elementi positivi che una scelta di lavoro di tal genere avrebbe fruttificato.

2) Modello di gestione

(presento qui il modello che ha condotto idealmente i comportamenti degli operatori scolastici. Difficoltà, impasse, obiezioni, opposizioni, sorprese, ecc… verranno descritte in seguito).
Sinora la pratica voleva che la segnalazione di un allievo venisse fatta dal docente quando, dal suo punto di vista, dal suo metro e anche dalla sua soglia di sopportabilità di comportamenti di disturbo in classe, l’allievo oltrepassava una soglia … tanto poco definita, quanto oggetto di una prima tornata di riunioni tra docente, operatore SSP, ecc …

Con il modello avviato, in un primo momento, il docente non segnala più il bambino ma sottopone la situazione al consiglio di ciclo. In questo consesso il docente deve presentare il caso, descrivendo i problemi incontrati, i tentavi messi in atto, ecc …
Terminata la presentazione si apre una discussione collettiva dove i docenti, il direttore e gli operatori SSP (docente SSP più logopedista) – con domande, richieste di precisazioni, proposte, esempi di attività già svolte, suggestioni – formulano ipotesi e proposte di lavoro da attuare immediatamente in classe.
Si tratta, é importante rilevarlo, di trovare soluzioni praticabili all’interno della classe senza l’assunzione del bambino al SSP.

Oltre la discussione sulle situazioni problematiche in questi momenti si sviluppano riflessioni che riguardano per esempio:

  • la distinzione fra insuccesso, difficoltà scolastica, ultimo della classe, disadattamento scolastico;
  • la distinzione fra segnalazione e discussione di difficoltà (“se ho delle difficoltà non devo passare subito alla segnalazione”);
  • l’accettazione delle difficoltà (dell’allievo come pure le proprie) come elemento normale, quotidiano e costitutivo della professionalità scolastica;

In genere, tranne se il caso presentato é tosto, a questo momento il bambino non é segnalato, ma si attendono i risultati delle proposte fatte in sede collettiva.

In un secondo momento, che può distare due mesi mediamente dal primo incontro, il docente viene invitato dal direttore a ripresentare al collegio la situazione conosciuta.
Si tratta dunque di effettuare una valutazione delle prime proposte, delle prime ipotesi e del primo intervento attuato dal docente titolare.
Se il docente non dice più nulla, si considera tutto positivamente e si “chiude” il caso. Se il docente rilancia le difficoltà già presentate si presentano due possibilità:

  • o si ripete la dinamica del primo incontro con nuove riflessioni e proposte operative. In questo caso allora si verifica e si manifesta la possibilità della gestione in classe,
  • o il consiglio di ciclo (e non il docente titolare) decide per una segnalazione al SSP.

Ricordo ancora una volta che a questi incontri partecipano sempre anche gli operatori SSP (docente SP, logopedista). La decisione che riguarda la segnalazione viene presa dal consiglio, non dagli operatori SSP.
Solo dopo l’istanza di segnalazione interviene il SSP:

  • che deciderà chi osserva il bambino (docente SP, logopedista, psicomotricista, capogruppo) e valuterà la situazione in profondità;
  • che deciderà poi autonomamente chi seguirà il bambino, e con il docente titolare valuterà il tipo di assunzione (diretta, indiretta, in gruppo, …) e le modalità di gestione con la famiglia;
  • che proporrà con/per il docente titolare un itinerario con/per il bambino (progetto pedagogico). Questo progetto é da considerarsi chiuso con la fine dell’anno scolastico. Ad ogni nuovo anno scolastico il docente presenta al consiglio le nuove difficoltà incontrate.

Nota Bene 1: La discussione collettiva, in sede di ciclo, non deve essere parificata ad una segnalazione. Questa ha un suo iter “giuridico” preciso, che concerne l’investimento della famiglia, in un progetto pedagogico specifico (ad hoc) e richiede il permesso dei genitori (più segreto professionale, ecc …).
La discussione collettiva ha piuttosto le funzioni seguenti:

  • confronto, affinamento relativo a singole difficoltà, difficoltà specifiche, via via sino a difficoltà generali con l’obiettivo di: 1) accomunare (per quanto possibile) i disparati punti di vista; 2) mettere in comune proposte, materiali, …;
  • trovare, scoprire dei criteri prioritari (non tutti i bambini sono segnalabili) dell’istituto e non dei singoli docenti;
  • favorire una dinamica di co-costruzione relativa alla differenziazione dei curricoli;
  • trovare, scoprire, costruire, proporre interventi che possano essere svolti immediatamente, dal docente titolare, e in classe.

Nota Bene 2. Questi momenti di regolazione sono stati suddivisi in tre cicli: quello della scuola dell’infanzia, quello del primo ciclo e quello del secondo. Impossibile pensare e immaginare delle sessioni plenarie dove tutti i docenti fossero presenti a tutte le presentazioni. Questa suddivisione, che ai più può magari parere logica o naturale, non é stata immaginata subito: primo, perché per favorire l’armonizzazione fra i tre livelli l’Istituto necessità comunque di scambi longitudinali: secondo, perché per favorire una immagine evolutiva del bambino l’Istituto necessità di una continuità che viene interrotta ad ogni cambio di docente. E’ stata comunque una scelta meditata, rivolta principalmente a creare le condizioni migliori ben sapendo che delle mega riunioni plenarie non servivano a uno scambio rafforzato.

3) Noterella sull’osservazione

Presento adesso alcune brevi spiegazioni che concernono il presente rapporto.
La scelta della metodologia dell’osservazione, se si può parlare di scelta …, non risponde sicuramente a dei criteri di tipo statistico. Non sono stati distribuiti questionari per raccogliere le impressioni di tutti, non sono stati interrogati sistematicamente tutti gli operatori scolastici. Ecc …
Piuttosto, la mia scelta risponde più a dei criteri “clinici”, o semantici. Criteri costitutivi di senso o significati immediatamente informativi per quanto concerne la metodologia del consiglio e la gestione dei casi nei SSP. Vale a dire per sapere e scoprire – dall’ottica del SSP – come fare funzionare il ciclo, quali limiti fissargli, quali condizioni di funzionamento ecc …
La scelta metodologica é di per sé stessa un significante (cfr. McLuhan M.).

Desidero far notare che le osservazioni seguenti sono frutto di alcuni scambi e discussioni che il sottoscritto ha intrattenuto con figure professionali diverse, e sono state redatte su iniziativa del tutto personale.
Sono state raccolte progressivamente. In un primo momento però senza lo scopo di presentarle sotto forma scritta.
Non sono state immediatamente raccolte sistematicamente e nemmeno secondo un preciso piano di osservazione e di raccolta dei dati. Per cui si può benissimo immaginare che altri elementi ancora potrebbero rientrare fra gli osservabili.

La gestione del disadattamento a scuola deve rispondere a dei criteri precisi:

  • di segreto professionale;
  • di sostegno al bambino, secondo un piano di lavoro che segua principalmente un decorso di tipo evolutivo;
  • che si occupi di disadattamento, e non di ogni tipo di difficoltà;
  • che si occupi di prevenzione e di cura;
  • ecc …

Per rispondere a ciò valeva la pena chiedere direttamente i pareri e le annotazioni ad alcune figure cardine, che sono quelle menzionate, come pure indagare direttamente i criteri del funzionamento del Sostegno. Criteri che devono rispondere a precise scelte metodologiche, indipendentemente dalla loro frequenza.

4) Alcuni sviluppi dell’esperienza

I consigli di ciclo sono stati suddivisi nella forma già descritta: uno per la scuola dell’infanzia (S.I.), un altro per il 1° ciclo della scuola elementare (S.E.) e uno per il 2° ciclo della scuola elementare.
L’esperienza, così come descritta, é durata due anni. Accettata all’unanimità nella fase propositiva, dopo il primo anno di prova é stata discussa in sede d’Istituto. Tutti i docenti hanno concordato sull’esito globalmente positivo e hanno proposto di continuare.
L’esperienza della condivisione é anche una scoperta. La condivisione non é solo quella di saperi, di teorie, di proposte che vengono trasmesse l’uno all’altro. E’ condivisione di problemi, scoprire che non si é soli, che altri colleghi si sono trovati nella stessa barca …

In ogni riunione sono sempre state discusse diverse situazioni. E’ comunque apparsa subito la necessità di uno scambio fra docenti e ciò indipendentemente dai bambini segnalati (in quanto troppo poca é ancora la condivisione dei punti di vista, proposte, ecc … relative alla gestione in classe del disadattamento).
Le osservazioni cliniche (sistemiche) ci spiegano come l’insorgere di problemi freni talvolta i momenti di riflessione per accelerare al massimo la ricerca di soluzioni immediate, di proposte da realizzare subito. Queste soluzioni sono perlopiù legate al trattamento del sintomo e a una sua supposta eliminazione. In tal modo la risoluzione del problema, ovverosia la “cura” proposta diventa lo stesso problema che inchioda il bambino a una ripetizione del sintomo … ma aggravato (a questo proposito cfr. Watzlawick P., “Quando la soluzione é un problema” ).
In genere l’onere di lavoro quotidiano dei docenti fa si che abbiano bisogno di risposte rapide, di apparati e materiali didattici praticabili senza dovere sobbarcarsi ulteriori corsi di formazione …
In questi casi le proposte non sempre portano ai risultati sperati, proprio perché troppo legate al sintomo curato immediatamente. Si rivelano allora magari controproducenti perché il “sintomo” viene ad autoalimentassi e perpetuarsi viziosamente (cfr. a questo proposito per esempio la coazione a colorare da me descritta ne ” La differenziazione in matematica: alcuni elementi per una riflessione “, oppure il mio articolo “L’intelligenza senso-motoria a scuola”).
La possibilità di discussioni in sede, specialmente libera da impegni e problemi immediati, permette una maggiore disponibilità e apertura alla discussione e al confronto. Favorisce dunque un maggior equilibrio tra proposta di “soluzioni” immediate e tempo necessario per la riflessione e la formazione.

In genere per ogni caso discusso sono stati usati 2 o 3 momenti (dunque due o tre riunioni) prima di giungere ad una eventuale segnalazione.
Questi incontri hanno portato alla definizione di ulteriori spunti di scambio.
Ecco alcune richieste tipo:

  • cosa fare, come organizzare in classe il lavoro con e per i bambini di sostegno;
  • come organizzare il lavoro in gruppi quando ci sono dei bambini che nel gruppo non danno nulla;
  • come organizzare DIMAT quando i bambini sono totalmente incapaci di auto-organizzarsi;
  • come gestire le relazioni fra compagni in classe quando il divario cognitivo/performativo é massiccio.

Questi incontri sono pure serviti per definire le bocciature, i rinvii alla S.I. che sono proposti/decisi adesso dall’istituto e non dal singolo docente.
Si capisce dunque come nel corso dell’anno vi sono state molte riunioni. All’inizio più legate alle segnalazioni (anche se non esclusivamente), durante il corso più legate a discussioni sulla gestione corrente del disadattamento e alla fine piuttosto legate ai rinvii e alle bocciature. Questo per ogni ciclo, e ciò per un computo di circa 20 riunioni (di circa 2 ore) alle quali il sottoscritto é stato presente.
E’ importante rilevare che questo é il numero di riunioni di ciclo e che queste riunioni non hanno eliminato quelle che l’operatore SSP faceva normalmente con il docente segnalante. Quando il ciclo decide per una segnalazione, l’iter della stessa procede poi per la strada di incontri, fra operatore SSP, docente titolare e genitori che già conosciamo. Le riunioni di ciclo sono dunque venute a precedere (ed aggiungersi) a quelle già di routine.

5) Gli obiettivi

Il lavoro svolto dai SSP é sempre stato soggetto a costanti evoluzioni (cfr. a questo proposito “Intrecci, sentieri, nodi …”).
Rilevo qui quelle maggiormente collegate alla discussione odierna.
Queste sono state caratterizzate da:
1. una modifica della casistica dei bambini seguiti dai SSP, nel senso di un allargamento progressivo della tipologia che si occupa indistintamente di disadattamento, difficoltà e/o insuccesso scolastico;
2. una modificazione del ruolo dell’operatore SSP, nel senso di un allargamento delle sue mansioni, per esempio relativo alla collaborazione nella gestione in classe, o alla realizzazione di progetti di differenziazione, … ;
3. un aumento lento ma progressivo delle segnalazioni e della assunzioni (come vedi dai dati riportati negli allegati);
4. una accettazione pressoché totale, da parte del SSP, di tutti i casi segnalati, e ciò riconoscendone implicitamente il disadattamento anche quando non ne era il caso;
5. una complementare difficoltà a definire e specificare le condizioni di accettazione di una segnalazione: specialmente per quanto riguarda la gestione in classe, del lavoro da svolgervi e della continuità dell’intervento;
6. una debolezza sul piano della osservazione e della metodologia da seguire relative alla qualificazione e alla quantificazione dei casi da seguire (che corrisponde alla necessità di ridurre il numero delle assunzioni, andate vieppiù aumentando negli scorsi anni). Vale a dire: se il SSP accetta tutti i casi non ha bisogno di sviluppare metodi di auto-osservazione che sappiano fare una lettura del suo proprio stesso funzionamento come istituzione; come pure dare significato alle proprie prassi di gestione del disadattamento. Ma se si desidera che la scuola si interroghi al fine di correggere alcune sue prassi bisogna ben pure porre il problema … . Attenzione. Non vorrei che si travisino le mie parole. Per quanto concerne la debolezza mi riferisco unicamente a quanto scritto, e cioé nello stabilire i limiti quantitativi e qualitativi entro i quali non assumere troppi casi.
7. un ultimo punto sembra non concernere il funzionamento interno del SSP. Eppure lo concerne, eccome! Se all’interno del SSP vi era e vi é un luogo fisico (l’équipe) di discussione e condivisione dei casi e delle difficoltà, una delle difficoltà segnalate dai docenti titolari era proprio l’assenza di momenti di condivisione fra colleghi. Ciò che talvolta li lasciava con un sentimento di abbandono. E d’altro lato obbligava magari l’operatore SSP a dover riprendere, ripetitivamente e singolarmente con ogni docente alla volta, alcune tematiche, invece di discuterne magari in gruppo…

Diciamo pure che se le segnalazioni sono aumentate il SSP si é ben prestato ad accettarle …

Se poi a quegli elementi colleghiamo:
1. l’invariabilità del numero dei posti di lavoro;
2. l’aumento del rapporto reale (non giuridico) operatore/n° allievi dell’istituto. Da 1:200 a 1:250, 1:270, e oltre con
3. l’allargamento del territorio d’intervento SSP, tramite l’entrata dei docenti SP nella scuola dell’infanzia;
capiamo come qualcosa si dovesse fare per provare ad arrestare quella spirale. Non era certamente più nell’interesse di nessuno continuare in quella maniera …

Ebbene:
1. uno degli obiettivi era appunto la diminuzione delle segnalazioni;
2. un secondo favorire una condivisione e lo svilupparsi di una cultura d’istituto;
3. un terzo obiettivo era relativo all’approfondimento delle situazioni di disadattamento. E ciò nel senso di differenziarle dall’insuccesso scolastico, considerando quest’ultimo come qualcosa di quotidiano e di “normale amministrazione”;
4. un quarto obiettivo concerneva la possibilità di avviare delle discussioni collettive. Limitare le frequenti situazioni di scambi ristretti fra operatore SSP e singolo docente (ciò almeno per quando si discute di questioni generali, non legate a un singolo caso);
5. un quinto obiettivo era di riuscire a far maggiormente capo alle risorse nascoste o implicite dei docenti, favorendo appunto dei momenti di scambio appositamente regolati;
6. il sesto cercare, nella misura del possibile, dei momenti di osservazione e valutazione comuni del disadattamento (per esempio in ogni classe ci sono dei bambini deboli rispetto alla media della classe, ma non tutti sono deboli nella stessa maniera)
7. il settimo smussare le pratiche individuali per cominciare a sviluppare dei processi che portano a definire dei criteri di scelta d’istituto (vedi ad esempio le segnalazioni, i rinvii S.I.).
8. l’ottavo obiettivo poteva veder nascere delle richieste specifiche relative l’approfondimento di singole tematiche e quindi il nascere di gruppetti che le affrontassero da un punto di vista formativo.

Vediamo subito allora come gli obiettivi possono avere una doppia valenza: una di tipo “amministrativo” e l’altra di tipo formativo.

6) Indeterminazioni e interrogativi

Nella valutazione dell’esperienza é opportuno distinguere due livelli di valutazione.Delle considerazioni di carattere generale, globalmente positive, riguardano i principi e gli obiettivi postulati con i Consigli di Ciclo (una valutazione positiva per quanto riguarda “l’entrata in materia”).Altre considerazioni di carattere particolare riguardano piuttosto la metodologia e gli strumenti che il Consiglio deve darsi in un prossimo futuro per perfezionare il proprio funzionamento.

7) Considerazioni generali

L’esperienza tentata é stata globalmente positiva. Ammetto che in partenza esistevano molteplici resistenze e timori (anche da parte del sottoscritto). Questi si sono avverati potenzialmente superabili.Gli elementi problematici non sono tali da impedire sviluppi positivi, se verranno affrontati progressivamente e programmati nelle prossime discussioni. Questi elementi sono tutti collegabili ad aspetti particolari dell’esperienza e non al suo principio ideale. Non per questo sono da tralasciare, perché su di essi e non sui principi generali si giocano le frustrazioni e le aspettative degli operatori. Se il media é un messaggio (come già ricordato), le scelte procedurali non sono neutre. Definiscono le linee e il nuovo contesto di lavoro che potremo creare.

Gli obiettivi prefissati sul piano generale sono stati affrontati e rispettati tutti.Gli operatori SSP hanno avuto una opportunità per presentare e sviluppare la loro professionalità, il loro punto di vista nella gestione del disadattamento a scuola, stimolare riflessioni per tutto il gruppo, riprendere puntualmente elementi che si manifestavano in situazioni differenti e farne una lettura comune, ecc …Questo apre, specialmente, una dimensione forse inaspettata di prevenzione e di formazione relative alla gestione del disadattamento. Dimensione sovente richiesta ma altrettanto tralasciata per impossibilità di tempo e numerosità degli impegni.E’ questa una nuova porta interessantissima. A mio avviso una possibilità non ancora sufficientemente esplorata e sviluppata dal Consiglio all’ora attuale, ma attuabilissima (tratterò di questa questione nel prossimo paragrafo “considerazioni particolari”).

Per quanto riguarda la diminuzione dei casi segnalati e delle assunzioni é ancora prematuro trarre un bilancio definitivo. L’esperienza é nuova vuoi e i dati sulle variazioni annuali sono comunque ristretti. Comunque per ora rileviamo:

  1. la diminuzione dei casi
  2. la maggior presenza di casi presso il docente SSP (evidentemente legato al fatto che le altre figure dei servizi, capogruppo, logopedista, psicomotricista, operano in tante altre sedi)
  3. una diminuzione delle nuove segnalazioni. In particolare alcuni casi che in passato erano automaticamente segnalati al SSP sono stati trattati all’interno del ciclo.

Bisogna pure aggiungere che la diminuzione dell’onere relativo alla riduzione dei casi é compensato dall’aumento considerevole del numero di riunioni. Se l’onere non si é modificato quantitativamente, si é però modificato qualitativamente, nel senso di una maggiore condivisione.

8) Ma vediamo le considerazioni particolari.

Per far ciò rimando agli sviluppi delle riunioni di ciclo verificatesi nell’Istituto (vedi capitolo 4).
In primo luogo tratto gli elementi più facilmente caratterizzabili in maniera positiva. Questi sono elementi che non richiedono attualmente una regolazione particolare. Riguardano specialmente i contenuti, ma non solo.
In seguito tratterò altri elementi, più aperti, quelli non ancora sufficientemente esplorati ed esercitati, senza per questo avere una caratteristica intrinsecamente negativa. Elementi che richiedono delle riflessioni e delle decisioni, elementi che necessitano un approfondimento e scelte relative alle metodologie da assumere. Riguardano quindi specialmente le procedure, ma non solamente.
Vediamoli:

elementi positivi

  • la condivisione “fattuale”: scambio di materiali, scambio proposte, suggestioni, aiuto reciproco,
  • il manifestarsi di momenti di riflessione,
  • l’uscita dall’isolamento, la condivisione é una scoperta che non siamo soli nelle difficoltà.

La condivisione di materiali fra docenti é cosa corrente. E’ pratica corrente collaborare nella preparazione di materiali, itinerari, schede, ecc.
Cosa meno regolare era vedere questo scambio mirato alla gestione di casi di disadattamento, alla messa in comune delle esperienze e delle preoccupazioni legate alla sua gestione in classe.
Questo forse perché “rubava” tempo rispetto la programmazione globale ed era legato ad aspetti puntuali che si poteva credere unici, non ripetibili e magari di scarso interesse per il collega.
In genere non é evidente esporre i propri problemi ai colleghi ed accettarne le critiche. La condivisione permette di accomunare le singole esperienze. Di vedere che anche in questo ambito si possono avere materiali e proposte riproponibili, che siamo in tanti ad avere gli stessi problemi e a vivere delle difficoltà, che ci si ritrova sullo stesso piano, ecc …
Si può dire che in questa maniera si pongono delle basi affinché il disadattamento sia una preoccupazione di tutti gli operatori scolastici e non solo del SSP.

  • la decisione collettiva della segnalazione.

Bisogna rilevare la novità e l’importanza di questa procedura di decisione. Qualcosa che tende ad andare contro le abitudinali definizioni implicite e non condivise del disadattamento.
Per quanto concerne la decisone collettiva della segnalazione bisogna rilevare come questa abbia veramente potuto creare un momento di confronto. In generale si passa dalla visione “ti segnalo l’allievo perché é debole in …” riferita al gruppo classe, a “l’Istituto segnala questi allievi perché sono quelli che …”
E’ una pratica certamente da approfondire, specialmente nei suoi strumenti “diagnostici” (vedi in seguito). Si rivela però importante perché spinge i docenti a una decisione collettiva, a costruire una rappresentazione più larga delle difficoltà scolastiche, a una maggiore comprensione dei “rifiuti” (“questo allievo non lo segnaliamo”).
Il confronto con il gruppo mette il docente in situazione di responsabilità accresciuta. Ciò é importante per evitare sterili polemiche. La pratica di mettere a verbale le discussioni e le decisioni evita le pressioni nascoste sull’operatore SP (“perché non prendi il mio”, “non prendi il mio perché preferisci lavorare con tizio”, “ma io pensavo che …”, “tu avevi detto che …”, ecc…).

Nell’ottica della condivisione, i rinvii e le bocciature sono momenti topici. Senza eliminare la responsabilità singola del docente che ne intravvede la necessità, definiscono una frontiera, una configurazione, una soglia. Il confronto tende anche qui potenzialmente a creare un metro comune, a parificare, per quanto possibile, gli strumenti di osservazione e decisione.

elementi aperti

  • la partecipazione degli operatori SSP alle riunioni di ciclo
    (partecipazione a tutte le riunioni? solo a certe? ruolo degli operatori SSP a queste riunioni).

Attualmente gli operatori SSP partecipano a questi incontri un po’ come osservatori o uditori (si dice che così possono già acquisire qualche informazione rispetto i bambini presentati), ma anche in maniera più attiva formulando per esempio delle domande rivolte alla raccolta di maggiori informazioni rispetto la situazione presentata. La sua attuale specificità si sviluppa però completamente solo a partire dalla segnalazione.
La situazione attuale é che oltre a questi incontri l’operatore di SSP deve partecipare anche alle riunioni d’istituto, alle riunioni di regolazione con i docenti e nella preparazione di un Progetto pedagogico, alle riunioni con i genitori, ecc …
E’ importante fare una economia di tutto ciò? Mi sembra proprio di si.
Nell’ambito del ciclo deve rimanere aperte una autonomia degli operatori SSP,
– perché il loro ruolo é differente da quello dei docenti
– perché il loro ruolo e di tipo specialistico
– perché é membro di un altro gremio (équipe SSP)
– perché in primo luogo oltre che preoccuparsi di didattica sono le istanze psicopedagogiche e pedagogiche a muoverlo.
Tutto ciò non é attualmente molto chiaro ne molto definito.
Allora partecipare a tutte le riunioni? Si, no? Quali?

  • contenuto degli interventi SSP

A quella doppia presenza, o questo doppio ruolo, vi sono alcune questioni ancora poco chiare.
In primo luogo adesso é il Ciclo a decidere se un bambino viene o no ad essere segnalato. Il Ciclo però fa ancora fatica a prendere questa decisione (passare all’atto) che viene un po’ lasciata ancora agli operatori SSP.
In secondo luogo c’é la tendenza del ciclo a decidere chi si deve occupare del bambino (invece la decisone deve rimanere di spettanza del SSP), come pure a volere anticipare il tipo di assunzione (osservazione, valutazione, sostegno diretto o indiretto).
E’ ancora presente la confusione tra segnalazione e assunzione: la tendenza porta a credere che decisa la prima la seconda é assicurata. Questo é proprio sbagliato.
In terzo luogo si assiste a una sorta di cortocircuitazione del capogruppo SSP che tende ad essere dimenticato (ma ciò é la conseguenza diretta di quanto appena ricordato in precedenza).
(Bisogna allora spingere affinché tutte le segnalazioni (e non solo in parte come sino adesso) vengano consegnate al capo-équipe, che deciderà poi autonomamente come affrontarle? Ciò dovrebbe essere fatto con tutte le segnalazioni, perché le eccezioni sono poi sempre state mal capite e fonte di inopportune generalizzazioni?)

E’ difficile pensare a una partecipazione costante, assidua a tutte le riunioni. Già per la logopedista si pone il problema della sua partecipazione alle riunioni di 2° ciclo.
Come non incappare e cozzare con le mescolanze di ruoli tra momenti di discussione e segnalazione? O queste mescolanze non sono reali?
Il gruppo Ciclo deve potere funzionare indipendentemente dalla presenza del SSP?
Ciò significa che il gruppo deve potere essere in grado di discutere e sviluppare gli obiettivi descritti nel capitolo 5 senza la presenza degli operatori SSP? Per alcuni obiettivi si deve pensare a una dispensa degli operatori SSP?
Per riassumere si potrebbe chiedere: cosa vanno a fare gli operatori SSP nelle riunioni di ciclo? Quale il loro ruolo e i compiti di loro spettanza? Una definizione sarebbe sufficiente a specificare le ragioni e le modalità della loro presenza (assenza)?

  • La distinzione fra discussione e segnalazione

E’ sicuramente meglio, per chiarezza e distinzione dei momenti, ma pure per distinzione dei ruoli e delle modalità d’intervento separare la discussione collettiva (più l’eventuale decisione) dalla segnalazione del caso al SSP.
In 1° luogo si deve considerare la segnalazione al SSP come l’ultima ratio e farla seguire solo dopo un primo tentativo di gestione in classe. Il punto di partenza é la gestione del disadattamento in classe. Tranne per casi gravi che porteranno ad un intervento immediato, questa é dunque la prima fase di lavoro indipendente dalla possibile assunzione futura dell’allievo da parte del SSP.
Non sempre però tutto ciò é ancora totalmente chiaro. Le aspettative dei docenti non sono sempre indirizzate in questa direzione. Forse perché la speranza implicita del docente é quella di vedere accettata la propria domanda – come succedeva regolarmente in passato.
Il rischio poi di non vedere una applicazione in classe delle proposte fatte dal Ciclo sino alla decisione della segnalazione e della eventuale assunzione é ancora presente.
Bisogna dunque ben chiarire che scopo del primo incontro non é la segnalazione ma piuttosto una mediazione. Il ciclo crea un “organo” precedente alla segnalazione che deve permettere il raggiungimento (o almeno un avvicinamento) degli obiettivi prefissati.
Non si tratta dunque di modificare l’iter della segnalazione in sé e per sé (cosa che é e rimane di competenza del SSP) ma si tratta di capire: “cosa posso fare prima di segnalare?”.

  • natura della discussioni

Per i docenti …
é naturale che se le discussioni vertono solamente sull’opportunità o meno di segnalare, il rischio é quello di vedere frustrato chi si vede bocciato nelle sua istanza. E’ importante condurre le discussioni secondo un principio di scambio e aiuto reciproci sulle modalità di gestione in classe. Bisogna fornire degli aiuti concreti al docente.
Per quanto concerne le decisioni bisogna evitare il principio della maggioranza, ma cercare un principio consensuale. Il rischio é quello di vedere imposizioni e frustrazioni.

Per gli operatori SSP …
si pone il problema già descritto della necessità di partecipare a tutte le riunioni.

  • coordinatore della riunione

E’ importante mettere a verbale l’insieme delle ipotesi, proposte, riflessioni e decisioni che vengono fatte. Quella del verbalista e/o coordinatore é una funzione importante senza la quale il ciclo non potrebbe funzionare. I verbali fanno stato e rappresentano il materiale di partenza per ulteriori sviluppi.
E’ impossibile pensare ad un gruppo lasciato a sé stesso senza temere che gli operatori SSP si vedano fagocitati dal gruppo. E’ impossibile pensare a un gruppo gestito anche solo occasionalmente dall’operatore SSP.
L’accettazione del ciclo può essere fatta senza una garanzia della presenza di un coordinatore?

  • metodologia e preparazione della segnalazione
    (indeterminazione, tipo di materiali e osservazioni da presentare al gruppo, valutazione, definizione implicita dei problemi e domande relative non esplicite, capacità di sintesi).

Si pone qui il problema dell’efficacia del Ciclo nella constatazione delle difficoltà e della messa in pratica di misure adeguate in classe, del reale approfondimento delle situazioni prima dell’assunzione al SP. Si pone il problema della creazione degli “strumenti diagnostici”.
E’ innegabile il fatto che alcune situazioni non vengono più segnalate al SSP. Quelle meno gravi, che possono e devono essere trattate in classe; quelle che devono immediatamente essere segnalate ad altri servizi (SSP, CCF, …); quelle che sono insufficientemente descritte, che richiedono una maggiore preparazione da parte del docente.
Ciò non toglie che vi siano ancora delle difficoltà a questo livello. Nel passato eravamo a volte sorpresi e increduli rispetto alcune segnalazioni poco sviluppate, imprecise, spurie, ecc … Evidentemente non basta passare alla presente modalità di funzionamento per ottenere automaticamente maggiore rigore e precisione. Probabilmente manca ancora un sufficiente esercizio e una chiarezza su come osservare i bambini, su come e cosa osservare in classe a livello di comportamento, performance, cognizione, e così via.
In questo senso il Ciclo può intervenire come regolatore, nella richiesta di maggiori elementi, di proposta, di confronto …
La metodologia della segnalazione non é per niente chiara. I docenti non sanno cosa presentare e come, non hanno ancora un modello di sintesi comune, ecc … L’abitudine a funzionare secondo il proprio metro e senza confronto non ha ancora avuto abbastanza tempo per essere superata. Il ciclo può senz’altro spingere nella direzione di una raccolta di osservazioni metodologicamente più ricca.

E’ sufficiente superare queste difficoltà proponendo una segnalazione tipo o una serie di segnalazioni tipo? Segnalazioni da usare come modello e canovaccio? Bisogna fornire i docenti di prove pedagogiche (possibilmente tarate)? Come aiutare a sviluppare una metodologia dell’osservazione efficace e che aiuti il docente a cogliere le difficoltà in classe?

Certamente la metodologia della osservazione deve essere migliorata, però, é importante ribadirlo, deve essere un obiettivo non un pre-requisito del ciclo.

Rimane poi il problema di chi può sviluppare questi strumenti e come. Non é certamente giusto dire ai docenti “adesso voi dovete fare anche questa cosa” … .

  • ancora sulla natura delle discussioni

La definizione delle casistiche da seguire a SSP non é ancora trasparente.
La questione é la seguente (ed é collegata a quella della presenza a tutte le riunioni o parte delle riunioni di ciclo). Bisogna implicare gli operatori nel ciclo ogni qualvolta la situazione presentata si distanzia dalla media della classe? Bisogna implicare gli operatori nel ciclo ogni qualvolta l’allievo “resiste” agli insegnamenti?

Quando implicare gli operatori SSP? Quando si pensa di segnalare? Quando si ha una difficoltà (di qualsiasi tipo sia)?

Vi sono delle difficoltà scolastiche che si possono considerare quotidiane, che non implicano la dimensione del disadattamento. Non essere chiari e rigorosi su ciò rischia:
1) di allargare continuamente la casistica;
2) di reificare la media della classe accettando sempre meno le variazioni rispetto ad essa;
3) di conseguenza abbassare la soglia di sopportazione delle differenze;
4) non riconoscere che l’apprendimento é sempre frutto di squilibri;
5) aumentare le richieste della presenza degli operatori SSP.
Ci sono due opzioni fondamentali che riguardano la gestione del disadattamento a scuola e che ne definiscono il territorio.

La prima riguarda parte degli allievi segnalati e assunti, quelli per cui l’intervento era sicuramente da assicurare. Per semplificare diciamo gli allievi con importanti difficoltà d’apprendimento …

La seconda riguarda la discussione di tutte le situazioni difficili, o inaspettate, o situazioni che si discostano dalle aspettative. Tutte le situazioni che si discostano dalle aspettative relative al programma o alla norma … Situazioni o bambini che fanno “resistenza” …
Nella attuale esperienza del ciclo gli operatori stanno vivendo la seconda opzione. E’ opportuno? Il carico di riunioni non diventa eccessivo? E quale lettura dare di questo ruolo?

  • metodologia e preparazione della valutazione delle prime ipotesi e delle proposte svolte in classe.

Si pongono qua problemi analoghi a quelli descritti nel punto precedente. In particolare la mancanza di strumenti di osservazione del primo intervento. Talvolta manca l’esame di materiali concreti e ci si basa solo sulle impressioni del momento.

  • allungamento dei tempi di segnalazione e assunzione di un caso da parte del SSP.

E’ vero, con queste procedure il processo di raccolta di dati che porta alla segnalazione sembra allungarsi. Ma anche qui bisogna distinguere. Cosa significa dire che la segnalazione avviene in ritardo?
E’ la segnalazione che avviene in ritardo o é la raccolta dei dati ad allontanarla? Non é la stessa cosa: ci possono essere segnalazioni senza raccolta di dati, o con dati insufficienti. Oppure ci possono essere raccolte di dati che non comportano automaticamente delle segnalazioni.
In verità nel passato abbiamo ricevuto molte segnalazioni insufficientemente motivate e questo ci obbligava a una fase di raccolta di dati e informazioni. Cosa che ritardava conseguentemente, ma io direi rimandava, il momento di elaborazione e decisione del progetto pedagogico.
Certamente una segnalazione rapida fa sfoggio di efficienza; di rapidità agli occhi del docente e del genitore. Ma rapidità non fa rima con profondità (delle osservazioni, delle motivazioni, della conoscenza individuale dell’allievo, ecc … ).
Il problema della supposta lentezza o rapidità non deve essere considerato solamente rispetto alla segnalazione ma piuttosto rispetto la decisione del tipo di assunzione (sostegno, diretto, indiretto, controllo, individuale, in gruppo, … depistaggio ad altri servizi) e del momento di elaborazione e programmazione di un progetto pedagogico. E’ quello il momento che deve essere considerato.
La realtà di questa supposta lentezza é dunque tutta relativa alla fase di raccolta di dati. Fondamentalmente dovrebbe dirci che la raccolta dei dati é stata effettuata.
Non corrisponde certo a un ritardo nella elaborazione di un progetto pedagogico.
L’efficacia non deve essere valutata solamente in termini di rapidità. L’efficacia deve essere valutata in termini di maggiore conoscenza.
Una buona raccolta di dati può ben essere considerata già come un buon livello di prevenzione in quanto permette il docente di muoversi su delle piste di indagine e conoscenza.

Evidentemente questi vantaggi sono direttamente legati allo sviluppo degli strumenti metodologici descritti precedentemente (capacità sintesi, sapere cosa osservare, prove pedagogiche, ecc…). Queste positive ricadute a livello di prevenzione sono però per il momento più possibili che reali.

Bisogna poi relativizzare l’importanza data a questa supposta lentezza, quando sappiamo che le assunzioni rischiano di essere protratte lungo tutto l’arco della scuola elementare (dunque sull’arco di tre, quattro o magari cinque anni).

  • la prevenzione

Quello della prevenzione é forse uno degli elementi più importanti e centrali di tutta la faccenda, ma é pure quello che é venuto alla luce più lentamente. Meriterebbe una riflessione a parte, nel senso di definire più concretamente – e quantitativamente, perché no? – modalità e tempi dei momenti dedicati alla prevenzione.
Il fatto che la sua importanza sia emersa lentamente é significativo del fatto, un paradosso, che ancora, se parliamo di prevenzione … non ne parliamo preventivamente.
Approssimativamente le cose succedono così. Quando c’é una contingenza si discute e si propone. Si cerca di allargare la discussione generalizzandola ad altre situazioni cercando gli elementi di esperienza comune a tutti. Sembra un paradosso: la prevenzione viene discussa dopo una emergenza, viene pure pensata regolarmente, ma non riusciamo a relaizzarla preventivamente.
La presenza degli operatori SSP a tutte le riunioni di ciclo può essere un elemento importante di crescita della prevenzione del disadattamento. E inutile però fingere e credere che la prevenzione possa farsi senza darle spazi e tempi preventivati.
In termini di efficacia la domanda allora é: quali spazi, tempi e contenuti vogliamo dargli?

Quella della prevenzione é una potenzialità (enorme) che però non mi pare sia ancora sufficientemente esplorata nelle sue costituenti concrete. Numero di riunioni, tipo di riunioni, contenuto, relatori, verbalista, materiali per l’osservazione, prove pedagogiche, ecc … sono da definire se non vogliamo rimanere sul piano di buone intenzioni poi difficilmente e faticosamente realizzabili. Questo per quanto riguarda gli elementi di funzionamento.
Ma pure si dovrebbe riflettere su una minima accettazione comune dei casi da segnalare, sulla realtà, sul concetto e sulla pratica del disadattamento e dell’insuccesso scolastico, …
Non si può fare prevenzione se si lavora sempre sul piano della “emergenza” (i casi da segnalare e quelli segnalati) e in genere il numero e il tipo di impegni che attanagliano quotidianamente gli operatori scolastici li frena a voler assumere nuovi compiti.

Ammessi spazi e tempi, vari sono i contenuti da dare alla prevenzione.
Ne rammento solo alcuni:

  1. la segnalazione e l’elaborazione dei materiali di osservazione e valutazione dell’allievo;
  2. le prove pedagogiche da svolgere in classe quali elementi comuni standardizzati;
  3. la discussione e la formazione relative alla gestione in classe del disadattamento;
  4. la capacità di gestione delle relazioni con le famiglie (e non solo quelle non collaboranti).
  5. definizione di norma, accettabilità e soglia oltra la quale richiedere un intevento

9) Considerazioni finali

Mi sembra di poter dire: si capisce come una esperienza del genere non possa venire improvvisata.
O forse sarebbe meglio dire: bisogna avviarla, con la prontezza di modificare progressivamente la metodologia delle riunioni. Specialmente nel senso di approfondire le problematiche elencate. In questo senso un percorso d’osservazione delle riunioni dei consigli di ciclo é importante. Ma un percorso che segua un piano preciso, che risponda a un disegno condiviso fra i SSP in primo luogo e concordato poi fra SSP e istituti scolastici dall’altro.
In particolare se l’operatore deve svolgere il suo ruolo di specialista del disadattamento può trovare nei consigli di ciclo una nuova posizione, interessante e ricca che deve però essere giustamente considerata e valorizzata.
Se poi una delle sue funzioni riguarda la prevenzione (vedi anche regolamento cantonale dei SSP) bisogna valutare come il consiglio di ciclo debba essere programmato affinché ciò possa avvenire (per esempio di volta in volta o con un calendario predefinito).
Questo modo di lavorare non é privo di rischi per l’operatore SSP che rischia di essere travolto un’altra volta da una mole di lavoro che gli sfugge di mano (numerosità delle riunioni e contenuti affrontati) e vedere fagocitata la sua autonomia amministrativa e formativa.
La figura del coordinatore che sappia regolare gli incontri é importante. Decisiva nella programmazione, nella coordinazione e nella gestione dei dibattiti.

Bisogna certamente garantire e valorizzare agli operatori SSP la loro autonomia organizzativa e formativa e un ruolo differenziato all’interno del ciclo. In particolare formalizzare bene che
– riunione di ciclo,
– segnalazione,
– e assunzione di un bimbo a SSP,
marcano competenze, decisioni e ruoli ben differenti.
Come marcare allora l’autonomia dell’operatore SSP? Come favorire allora l’accettazione di questa autonomia?
Limitando la sua presenza a numero ristretto di riunioni di ciclo? ma quali allora? Bisogna considerare l’idea di un consiglio di ciclo che funzioni senza la presenza degli operatori SSP?

E’ importante pensare un organigramma che descriva l’iter procedurale della segnalazione e del funzionamento delle discussioni di ciclo. E’ importante pure disegnare una mappa che situi i vari elementi nelle loro relazioni reciproche. Una mappa tale da permettere il migliore sviluppo a tale progetto.
Il Consiglio di Ciclo era da prvare. Ma dopo una fase necessariamente esplorativa deve ricevere la necessaria attenzione per specificare le sue condizioni di attuazione. L’assenza di una sua programmazione più precisa sicuramente rende e ha reso possibile l’esperienza. Ne determina però pure le sue debolezze.

Quello avviato é un processo ricco di potenzialità.
Una valutazione negativa dell’espaerienza sarebbe sbagliata. Bisogna però offrire le condizioni atte a garantire uno sviluppo positivo e ampio.

Vi sono condizioni oggettive e soggettive

  • affinché una maggiore efficacia possa essere sviluppata nella gestione del disadattamento
  • affinché i docenti si sentano più tranquilli e disponibili al confronto
  • affinché le procedure di segnalazione diventino momenti di prevenzione e maggiore conoscenza dell’allievo
  • affinché gli operatori di sostegno non vengano fagocitati e sommersi da troppi compiti

In queste pagine mi pare di avere elencato alcune piste di riflessione legate alla realizzazione di alcuni momenti oggettivi. Quelli soggettivi possono svilupparsi senza quelli?

Alla fine di queste righe vorrei ricordare ancora la raccomandazione fatta all’inizio di questo rapporto. Non vorrei che quanto scritto venga letto come espressione di un giudizio.
Ho voluto solamente esprimere delle piste di riflessione. Spero che queste possano aiutare a rilanciare l’esperienza in atto.

10) Bibliografia

Bateson G, Ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976

Dati statistici relativi agli allievi seguiti dai SSP, anni 1985 -1998, USR, Bellinzona

Galli G. – Miotto Altomare G., Gli indici del disadattamento e la situazione nella scuola elementare, Verifiche, Mendrisio, XXI, 5, 1991

Galli G., La differenziazione in matematica: alcuni elementi per una riflessione, documento di lavoro équipe SSP 6° circ. S.E., Locarno 1995

Galli G., Storie del disadattamento e/o topologie del cambiamento, in: a cura di Galli G., Intrecci, sentieri, nodi …, atti del seminario AOSSP, ed. AOSSP, Locarno, 1997

Galli G., L’intelligenza senso-motoria a scuola. Senso motricità e pensiero a scuola (alcuni percorsi di ricerca), Psychologie et Education, Soletta, 2, 24, 1998, pp.16- 32

La gestione del disadattamento scolastico nella scuola dell’infanzia e la scuola elementare, Bellinzona, DIC, 1995

McLuhan M., Gli strumenti del comunicare, Garzanti, Milano, 1986

Minoggio W., Le rappresentazioni sociali del disadattamento, USR Bellinzona

Palazzoli S., Sul fronte dell’organizzazione, Feltrinelli

Watzlawick P. – Weakland J. H. – Fisch R., Change, sulla formazione e la soluzione dei problemi, Astrolabio, Roma, 1974


11) Allegato 1

percentuale allievi SSP seguiti nel cantone 
(fonte: “Dati statistici relativi agli allievi seguiti dai SSP”, USR, Bellinzona)

annopopol.
S.I.
popol.
SSP
S.I.

% SSP
S.I.

popol.
S.E.

popol.
SSP
S.E.

% SSP
S.E.

popol.
S.I.+ S.E.

popol.
SSP
S.I+S.E.

% SSP
S.I+S.E.
85-8631731374.32644370110.8896168388.7
86-87 46002665.789514108611.411411413529.58
87-8866454106.1711939139811.711858418089.73
88-8971514866.8013219166412.5923370215010.55
89-9068083825.6113082157812.061989119609.85
90-9168774236.1513215159512.0720092201810.04
91-9268425528.0713171157811.9820013213010.64
92-9370806379.0013633168012.3220713231711.19
93-9472695908.1213715176512.8720984235511.22
94-9574845787.7213812177112.8221296234911.03
95-9676465887.6914090182612.9621736241411.11
96-9776987189.3314376186812.9922074258611.72
97-98776582510.6214555190313.0722320272812.22
S.I. = Scuola dell’infanziaS.E. = Scuola elementare
SSP = Servizio Sostegno Pedagogicopopol. = popolazione

percentuale allievi SSP seguiti nel cantone
(fonte: “Dati statistici relativi agli allievi seguiti dai SSP”, USR, Bellinzona)

12) Allegato 2

L’assunzione a SP può avvenire solo in base alle motivazioni del docente? In che misura l’assunzione deve potersi appoggiare su prove pedagogiche da passare a tutta la classe?
Una delle condizioni di assunzione del sostegno potrebbe essere la duplice raccolta di osservazioni: quelle del docente e quelle relative alle prove pedagogiche somministrate a tutta la classe.
E’ anche una questione di maggiore efficacia e migliore funzionamento.

Attualmente la maggior parte delle segnalazioni sono giustificate da elementi “soggettivi”, ovverosia da osservazioni eseguite dal docente secondo un suo metro personale.Succede così che raramente vengono presentati materiali concreti. E ancora più raramente i materiali sono confrontati con il livello medio della classe.
Una delle conseguenze (forse maggiormente appariscenti in 3a e 5a S.E.) é quella di vedere apparire amare sorprese, “ma come? perché non é mai stato segnalato?”.
In un contesto di lavoro che richiede maggiore efficacia bisogna evidentemente eseguire delle prove pedagogiche (rimane però il fatto a sapere chi le deve fornire e di che tipo devono essere).

Non credo però che il giudizio debba basarsi solo sulla base dei risultati a tali prove. Gli elementi clinici, funzionali, dinamici, l’immagine di sé del bambino ecc … sono altri elementi che devono essere associati.
Basare il giudizio unicamente solo su elementi quantitativi porta ad errori di impostazione e valutazione.
Molti allievi deboli vivono bene la loro situazione, molti allievi sono deboli senza per altro essere dei disadattati scolastici …
Molte situazioni sfuggono poi perché si considerano solo i risultati performativi, la riuscita meccanica …

Le prove pedagogiche possono essere un buon punto di partenza dell’indagine. Restano insufficienti quando al confronto tra profilo individuale (dell’allievo) e profilo medio (della classe) non vengono associate:
1) la definizione di un profilo soglia (un risultato basso non é automaticamente segno di disadattamento scolastico)
2) l’osservazione delle modalità di esecuzione del bambino (quanto tempo ci mette, come reagisce di fronte agli errori, ecc …).
Le prove pedagogiche se sono un buon punto di partenza. L’arrivo é raggiunto con l’anamnesi pedagogica , con la descrizione del comportamento in classe, con la descrizione delle modalità di lavoro dell’allievo, ecc … (ma la domada come in altre occasioni é: chi prepara la prove pedagogiche?)

Non possiamo certamente basarci solamente su aspetti quantitativi e normativi!

Il problema delle prove appare con maggior forza e necessità nei momenti di passaggio: tra S.I. e S.E., tra il 1° e il 2° ciclo, tra 5a S.E. e scuole medie.
Appare perché:
1. c’é una discontinuità nei contenuti, che ad ogni passaggio ricevono un impulso, direi esponenziale;
2. c’é una discontinuità educativa, nella relazione specifica, con il cambio di docenza. Nella maggior parte dei casi questi passaggi sono marcati dal cambio del docente (che non conosce i suoi nuovi allievi, che necessità di tempo per conoscerli, ecc …);
3. c’é una frattura educativa generale, nell’impostazione globale della relazione pedagogica e del programma. Ricordo le frequenti incomprensioni rispetto la cosiddetta autonomia dell’allievo. Ad ogni passaggio si manifestano bambini “non autonomi” che in precedenza erano ritenuti autonomi;
I docenti di prima, negli recente passato, sono stati invitati a svolgere delle prove d’entrata. Queste prove venivano svolte sistematicamente in tutte le prima. Purtroppo questa abitudine sta scemando e le conseguenze sono quelle di vedere apparire segnalazioni meno documentate, un ritardo nel depistaggio delle difficoltà, una confusione negli elementi riportati e pure una momentanea riduzione delle segnalazioni. Ma ciò perché:
1. le difficoltà non vengono rilevate per tempo (appaiono in maniera appariscente in 2a o 3a);
2. non si sa più fare una lettura che sappia collegare le difficoltà riscontrate con delle ipotesi riguardo gli sviluppi futuri;
3. talvolta le prove passate non servono alla programmazione differenziata e allora non servono per l’impostazione del programma quotidiano.

L’utilizzazione restrittiva ed esclusiva delle prove pedagogiche nella osservazione delle difficoltà scolastiche é poi foriera di quanto già descritto. Succede che allievi ben allenati sappiano mascherare le loro difficoltà rispondendo meccanicamente a una prova …

Quello della riduzione delle assunzioni e quello della metodologia della segnalazione non sono pure degli elementi associati alle condizioni di assunzione al SSP? (se si pone un limite al numero di allievi seguiti si deve ben pure porre il problema anche sotto questo aspetto. E’ il problema di “chi si e chi no”).

Questo problema é collegato a quello di un maggior approfondimento delle situazioni.
Bisogna per esempio costruire maggiori garanzie per evitare assunzioni a SP di situazioni che devono essere trattate ad un livello psicodinamico.
La definizione di un periodo di prova o una assunzione a termine può essere un sistema che aiuta questo approfondimento?
I casi per cui si suppone la necessità di una psicoterapia sono forse casi rari, ma sono casi che incidono fortemente sulla economia personale degli operatori SSP. Situazioni dove l’assunzione viene fatta pur accertandone l’inopportunità (“sarebbe meglio che vada al SMP). Assunzione fatta in sostituzione o come alternativa alla mancanza di una terapia fatta da altri servizi.
Obiettivi e modalità dell’assunzione a termine dovrebbero essere allora concordati nel momento di elaborazione del progetto pedagogico.

Nel passato abbiamo pure vissuto qualche volta momenti di incomprensione (per esempio quando non si propendeva automaticamente per i sostegni diretti) e di sconforto dovuto al numero troppo alto di bambini da seguire.
In generale perché c’era una aspettativa non esplicita che tutti gli allievi, perché segnalati, fossero assunti dal sostegno specialmente e automaticamente in maniera diretta.
Nel frattempo in tutti gli operatori scolastici, docenti compresi, é però pure nata una comprensione del fatto che ciò non sia più né corretto, né possibile.
La costruzione di una metodologia della segnalazione, come abbiamo già trattato in precedenza, come pure quella delle prove pedagogiche (specialmente se tarate) e la differenziazione in classe e la presenza nella griglia oraria di tempi finalizzati alla regolazione del disadattamento in classe possono essere altri elementi che concorrono a questa maggiore conoscenza?

Nello stesso tempo quello della riduzione delle segnalazioni é un problema collegato alla indipendenza decisionale del SSP riguardo l’assunzione e il tipo di assunzione (segnalazione non é = a sostegno diretto) e riguardo alle condizioni di assunzione (non si può assumere un allievo se le premesse e il terreno di lavoro non forniscono sufficienti elementi positivi) che deve essere assolutamente salvaguardata e rafforzata. La creazione dei ciclo può comportare un indebolimento ulteriore di questa autonomia. Per questo la distinzione e la specificazione di quei elementi problematici descritti deve essere fatta con forza.
Una maggiore definizione delle casistiche da seguire a SSP va costruita nel tempo e non può essere eterna. Approfondimento delle situazioni e definizione (definizione = limitazione) della casistica vanno di pari passo. Ma vanno tanto di pari passo che non si sa più quale sia il nesso causale. Vale a dire: viene definita prima la tipologia o la quantità di casi da seguire?
Ma se devono esserci delle limitazioni queste devono pure essere accettate (nei casi di psicoterapia mancata si sente spesso con insistenza “ma prendili almeno tu in mancanza di altro” e nei casi dove non vengono attuate delle pedagogie della differenziazione la risposta e sostanzialmente la stessa).