Lo psicopedagogista si chiede: ma è possibile che un bambino non sia naturalmente proiettato verso l’apprendimento? E’ possibile che la sensazione di poter diventare più competente (= di potercela fare) non sia, da sola, sufficiente a motivarlo?
Si può motivare ad imparare? Questa la domanda all’origine di alcune riflessioni.
In verità é una domanda da 100 milioni, come si dice, perché cuore, centro vitale stesso del nostro quotidiano lavorare. Domanda insidiosa ed irreparabile ma assolutamente centrale. Insidiosa perché chiedersi se si può motivare ad imparare equivale a chiedersi “ma é possibile non essere motivati ad imparare?”
La domanda sembrerebbe, ma solo in apparenza, porre un quesito che non ha da porsi. Una domanda che in verità non sarebbe domanda. Un assurdo. Un interrogativo che vedrebbe sorpreso ed incredulo solo Monsieur Lapalisse: “ma come, che domanda é. Certo che si può motivare ad imparare. Non solo. In verità non c’é bisogno di motivare. Chi vuole non-imparare? Chi non vorrebbe imparare qualcosa di nuovo? Qualcosa che ci porta sulla strada dell’autonomia, della crescita … Insomma non c’é bisogno di motivare ad imparare, perché non imparare é un po’ come morire …” Eccetera, eccetera.
Ecco. Invece nel mio quotidiano lavoro, nel nostro quotidiano, quanti allievi rinchiusi incontriamo? Quanti allievi in difensiva vediamo in classe? Quanti allievi ci disturbano, perché non corrispondono alle legittime aspettative del nostro impegno? Quanti allievi non imparando, perdono, frustrati, tristi, disillusi, la motivazione e la passione?
In fondo l’etimo di apprendere significa “prendere”, “afferrare”.
E allora. Cosa non si vuole prendere, o cosa non si può (non più) prendere? E perché? Quando? Si può concepire la crescita senza un bisogno e senza un desiderio?
Motivazione e apprendimento
Certo parlare di motivazione e di apprendimento esige molto. Esige considerare quale statuto si concedono alla motivazione e all’apprendimento.
Motivazione = essere come mi vogliono la maestra o i genitori (e sappiamo che sino all’età pre-adolescente il bambino se fa a scuola lo fa essenzialmente per ciò che sente di rappresentare per la maestra o per la mamma e il papà), oppure realizzare il mio sé, raccontandomi, mostrandomi, svelandomi quale sono, quale mi sento o quale vorrei essere?
Apprendimento = imitare dei comportamenti, meccanizzare delle abilità, assimilare degli algoritmi, oppure generalizzare, astrarre dei pensieri?
Vediamo come questa coppia di lemmi – motivare, apprendere – in verità realizza e indica delle dinamiche plurime, dicotomiche ma assolutamente inscindibili. Motivare e apprendere, ambedue, hanno un doppio versante, come le due sponde di un fiume.
Imparare a motivare
Certo parlare di motivazione e di apprendimento esige molto.
Il primo passo, per motivare ad imparare, é imparare a motivare. Questa la sponda da raggiungere per la maestra e il maestro che si vedono a dover motivare l’allievo.
Metodologicamente parlando significa avviare un percorso complesso, ma del tutto seducente. Il primo passo: osservare l’allievo; distinguere gli elementi cognitivi da quelli affettivi e dinamici della crescita; distinguere le abilità manuali e meccaniche, imitative, da quelle piuttosto cognitive; avere un modello della crescita che sia di volta in volte cognitivo, strumentale ed affettivo; saper quindi “cogliere” il bambino.
Il secondo passo: sviluppare delle ipotesi di lettura.
Il terzo passo (1 + 2 = 3) sarà quindi quello didattico: la proposta educativa.
Non possiamo trattare di questi 3 passi in poche righe.
Posso però immaginare il percorso sorvolando i 2 disegni che seguono.
Sono dello stesso bambino a poco più di un anno di differenza (il primo verso i 4 anni e mezzo).
Cosa possiamo vedere?
Possiamo vedere un bambino che non occupa “come si deve” lo spazio grafico, dal tratto male controllato, pasticciato. Che non rispetta i rapporti topologici, le persone che stanno sopra il treno (si intravedono male), o sopra l’uccello. L’approssimazione degli omini … La colorazione grossolana … Insomma: un bambino impulsivo, che non controlla e non trattiene le emozioni. Il realismo che mette nel disegno non è “sufficiente”. Un bambino che non disegna secondo i dettami del realismo canonico. Tra il primo e il secondo disegno poi non c’è veramente apprendimento nel controllo del gesto, nella organizzazione della realtà, nel rispetto delle grandezze, eccetera. In sintesi: non sa fare questo e quello …
Oppure possiamo veder un bambino vivo. Carico di esperienze ed emozioni che trasmette sulla carta. Un bambino che ci racconta qualcosa e che lo racconta con piacere e gusto interiori. Quale dovizia, quale emozione e forza in quel treno rosso sbuffante sotto il sole caldo di una giornata azzurra. E che felicità in quei colori dell’uccello e nel sorriso dei personaggi … persino nelle note che accompagnano il disegno. Un bambino che racconta una storia. Cosa voleva dirci?
Insomma un bambino che trasmette emozioni e che, implicitamente, sa servirsi del disegno quale mezzo narrativo.
Motivare ad imparare
Vogliamo sostenere il suo desiderio d’apprendere. Quali le domande allora?
1) Come posso correggerlo, come posso migliorare la sua produzione?
2) Cosa voleva raccontare, come continuerà la sua avventura? Che altro voleva trasmettere del suo mondo?
Queste domande sono ambedue relative al bambino, che dobbiamo conoscere e stimolare ad apprendere.
Nell’economia del nostro lavoro, il peso che riceveranno, l’accento e la forza con le quali le proporremo, potrebbe influenzare le ulteriori motivazioni del bambino.
Si tratta di una cosa sola. Capire e leggere: qual’é il bisogno dell’esecutore di questi disegni? Implementare delle situazioni di controllo persecutorio ed ossessivo del tratto, nella precisione della colorazione, delle forme e delle grandezze? O trovare occasioni per dare forza alla propria prorompente energia, alla propria gioia di raccontare?
Ecco, per le mia indole e la mia necessità professionali io mi pongo piuttosto sul secondo versante. Suggerisco di partire da qui: saper “cogliere” il bambino, non il suo prodotto. Non c’è rischio di sbagliarsi.
Ma devo sapere sicuramente anche come rispondere alla prima domanda. E’ quindi per questo che non mi ritroverò a proporre (eccessive) attività di colorazioni o persecutorie attività di organizzazione del foglio di disegno.
Con questo bambino piuttosto mi preoccuperei di attivare dei racconti visivi, delle serie di disegni, di stimolare questa necessaria ed evidente capacità narrativa.
Proverei ad interagire con le sue conoscenze del mondo. Con l’attenzione e la proposta di utilizzare materiali plastici e strumenti di disegno variati, così da moltiplicare e variare gli approcci “narrativi”. Troppo presto si imbriglia l’energia vitale del bambino. Gli si insegna a camminare e come cammina lo si vuole seduto.
Imparare a motivare non è nient’altro che sostenere i suoi bisogni.
Il presente articolo è stato pubblicato ne:
Ambientinfanzia anno 2° n°3 novembre 2009