Edoardo Martinelli
“Non ho bisogno di lasciare un testamento con le mie ultime volontà perché tutti sapete cosa vi ho raccomandato sempre: ‘Fate scuola, fate scuola. Ma non come me, fatela come vi richiederanno le circostanze’.
“Guai se vi diranno: ‘Il priore avrebbe fatto in un altro modo. Non date retta, fateli star zitti, voi dovrete agire come vi suggerirà l’ambiente e l’epoca in cui vivrete. Essere fedeli a un morto è la peggiore infedeltà”
don Lorenzo Milani – Testimonianza Adele Corradi, Insegnante alla Scuola di Barbiana.
Da questa viva testimonianza comprendiamo che il Priore non credeva nella democrazia travasata, ma vedeva la democrazia come lo strumento per apprendere. Una pedagogia dell’aderenza ai bisogni e le risorse circostanti e dentro la scuola!
Caro Giovanni,
mai come in questo ultimo mezzo secolo abbiamo assistito a tanti cambiamenti, in termini anche di strategie didattiche, nel mondo dell’educazione. Gli operatori scolastici hanno passato il loro tempo ad inventare tecniche e metodi per cercare nuove e più efficaci vie per giungere alla conoscenza o alla comunicazione. Favoriti dalla rapidità con cui vediamo quello che succede dall’altra parte del mondo ci convinciamo, stoltamente, di possedere tutto il sapere. Sommersi dalla facilità e dalla quantità delle informazioni raggiungibili, abbiamo perso la capacità di discriminare, selezionare e riflettere sulle fonti. Dove sono finiti la ricerca-azione e la didattica attiva?
Mai come oggi la scuola è, e resta, senz’anima.
Logica strutturale
In questo grande caos, per capire la situazione, dobbiamo dipanare i nodi all’interno dei quali muoiono i vecchi schemi e nascono i punti di vista nuovi. Se non siamo in grado di comprendere la logica strutturale, a causa della quale abbiamo perso e non sappiamo più dove sono finiti i vecchi valori, difficilmente capiremo dove, e come, si formano quelli nuovi. E’ probabile che l’equivoco nasca dal fatto che gli insegnanti, alla don Milani per intendersi, venivano direttamente dai mestieri e dalla vita. Non erano educatori professionali, che lo Stato forma e assume attraverso un semplice scritto teorico, a cui vengono semplicemente addestrati dai sindacati di categoria. A cosa servono i cerotti della S.I.S. a un malato terminale?
Marco, un mio compagno di riflessioni, mi fa notare che forse gli insegnanti che vengono dalla “vita” non esistono più, perché la “vita” da cui erano formati è cambiata. Sembra sia completamente cambiata la struttura stessa della società e quindi, l’educatore alla don Milani, non può più esistere? E’ vero che c’è stata anche una trasformazione antropologica dell’uomo, come dice Pasolini, che è stato modificato da quello che è diventato il valore primario: il denaro. Queste poche righe, che ci impressionano moltissimo per la profondità profetica risalgono a più di trent’anni fa: “c’è una idea conduttrice sinceramente o insinceramente comune a tutti: l’idea cioè che il male peggiore del mondo sia la povertà e che quindi la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura della classe dominante. In altre parole la nostra colpa di padri consiste in questo: nel credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese”.
La cultura, una volta privilegio di pochi, sembra sia diventata accessibile a ciascuno di noi, ma non è più la cultura che dava identità. Le barriere sociali permangono al di là del titolo di studio! Spesso se non sei il figlio del professionista col cavolo che trovi il lavoro adeguato.
La politica: ieri e oggi
Mi viene da sorridere pensando al contesto politico di oggi in Italia, tanto diverso da quello che vivevamo noi ai tempi di Barbiana, e alle forme di rappresentanza politica in Parlamento, che non sono certo un buon modello educativo. Tutti si pongono, destra o sinistra, il problema della governabilità a tutti i costi, anche se a governare ci andrà un’esigua minoranza. Si propone oggi, addirittura, qualcosa di peggiorativo della vecchia “legge truffa del ‘53!”. La famosa legge, per altro sconfitta sul campo dagli elettori, del dopo fascismo, che introdusse un premio di maggioranza consistente nell’assegnazione del 65% dei seggi della Camera dei deputati alla lista, o a un gruppo di liste apparentate, in caso di raggiungimento del 50% più uno dei voti validi.
I comunisti e i liberali di allora comunicavano con gli elettori. A loro volta la gente esprimeva, in questa dialettica o opponendovisi, il senso vero della democrazia. Veltroni e Berlusconi non comunicano, ma dicono troppo spesso le stesse cose. Non viviamo più le tradizioni in modo dinamico, rinnovando le esperienze oggettivamente trasmissibili e abbandonando quelle superate dai tempi. Ripetere momenti morti significa vivere un clima statico e razzista. Una vittoria a tutto campo della Lega Nord!
Il nostro sistema elettorale è andato quindi oltre, impedendo di fatto l’inserimento delle nuove generazioni nella vita culturale e valoriale della comunità a cui appartengono. Se qualche giovane s’inserisce è solo per la sua età anagrafica, che, come alle quote rosa, dà un premio d’appartenenza, e per volontà dei vertici di partito. Bella innovazione! Vorrei far notare che Mussolini, nel nostro contesto, avrebbe vinto “democraticamente” le elezioni. “A ragione” oggi qualcuno dovrà riscrivere la storia e dire che il popolo italiano ha voluto liberamente la dittatura.
E … forse la rivuole.
Logica del Priore
Con queste riflessioni che tu mi costringi a fare con le tue domande sulla democrazia nella scuola, diventa naturale parlare, pensando al nostro Priore, il quale, si riferiva solo ai bisogni concreti di studenti contadini. A loro era preclusa qualsiasi forma di vita partecipativa. Ma diciamolo, fuori dai denti: “Si è veramente ridotta la distanza tra l’intellettuale e l’uomo della strada?” Se la politica, come abbiamo visto, si basa solo sul consenso, che è in larga misura orientato dai mass media, attraverso il controllo della comunicazione si gestisce il consenso. Il meccanismo democratico sta somigliando sempre più all’auditel. Il risultato è sotto i nostri occhi: un radicale abbassamento della qualità complessiva della politica e quindi della democrazia.
Mentre ti scrivo mi viene alla mente un momento particolare che sta a cavallo tra le due grandi scritture collettive: la lettera a una professoressa e la lettera ai giudici. E’ un momento significativo per quello che mi chiedi. Siamo alla fine del ‘65 e inizio ’66. Un gruppo di ragazzi del liceo Parini di Milano scrive su un opuscolo “La Zanzara” alcune considerazioni che escono dagli schemi. Aprono un vero e proprio dibattito sulla democrazia nella scuola. Impongono nuovi argomenti: addirittura sulla sessualità, ancora tabù. Quegli stessi ragazzi, accompagnati da un amico del Priore, don Cesare Sommariva, salgono a Barbiana ed è scontro.
Il Priore li ascolta, ma poi sentenzia che la loro è una forma di democrazia piccolo-borghese. Se non si fosse imposto il maestro, questi liceali avrebbero parlato per tutto il tempo, mentre noi di montagna saremmo stati completamente muti. Proprio nel mediare tra il nostro silenzio e il loro rumore esagerato, decise che la scuola non può essere a priori democratica e egualitaria. Infatti poco dopo nella lettera a una professoressa scriveremo: “La scuola per fare cittadini sovrani, deve essere monarchica”. E ancora: “Fare parti uguali tra disuguali è il massimo dell’ingiustizia”. Io capii molto bene il significato. Il Priore intendeva che la libertà non si travasa, ma si costruisce insieme ai ragazzi dal basso, rispettando le risorse diverse presenti nel gruppo classe.
Il ‘68
A questa nostra provocazione cosa risponderebbero i giovani di oggi? Capirebbero? I giovani del ’68, quei meravigliosi giovani tra i quali militavo anch’io, non solo non compresero, ma non la notarono nemmeno, perché tale espressione era poco funzionale alle ideologie dettate dal tempo. Non fu colpa loro. Furono le mistificazioni degli intellettuali, i falsi maestri, a travisare e strumentalizzare. Per comprendere i nostri enunciati così pesanti, va considerato che la nostra non era una scuola per elite o avanguardie isolate. E’ necessario riflettere, e non poco, su quanto fascismo, in questo istante sto ripensando a Pasolini, era ed è rimasto ancora dentro di noi.
Apprendimento cooperativo
Ma, allora che senso ha avuto ribadire l’importanza di un’entità autorevole, anzi monarchica, a premessa? Si comprende soltanto se questo concetto è capace di ribaltare le logiche del nostro vivere quotidiano, dentro la scuola.
La scuola antifascista educava alla democrazia calando i valori dall’alto verso il basso. Non per nulla uno degli strumenti vitali era il comizio. L’obiettivo massimo, oggi tanti si accontenterebbero, gramsciano, era quello di formare l’intellettuale organico. Invece, Lorenzo Milani, in quel contesto elitario, presta un’alta attenzione all’interazione tra le varie componenti del suo popolo. Le costringe al dialogo. Utilizza le potenzialità educative esistenti nelle loro relazioni. I suoi occhi non vedono persone separate, ma percepiscono l’insieme, anche degli affetti. Con tutti gli elementi che si legano alle aspettative, ai rifiuti, alla solidarietà, ecc….
Raggiunge l’obiettivo, che la società dovrebbe richiedere, ma non lo fa, dell’autorealizzazione.
Conclusione
Il primo giorno di scuola la rete delle relazioni è tutta da costruire. Allora perché gli insegnanti e gli allievi non stanno mesi interi a riflettere insieme e a costituire il gruppo? Perché sopravvive ancora questa campanella che scandisce il tempo e impedisce qualsiasi forma di continuità? Che valore ha la relazione maestro-allievo in un gruppo classe con 8 quando non 12 figure di riferimento?
Alla scuola di Barbiana il lavoro di gruppo, una risorsa troppo trascurata, aveva cambiato radicalmente il ruolo dell’insegnante che era diventato regista del processo educativo e portatore di strumenti. Il Priore ci formava alla cooperazione, al superamento dei ruoli sociali e dei pregiudizi a essi legati. Le istruzioni che ci dava erano prive d’ambiguità, perché delegavano l’autorità a regole condivise, alla formazione di ruoli, possibilmente scambiabili, e al contributo di tutti i componenti la comunità contadina.
L’apprendimento cognitivo non era sopravvalutato a scapito delle relazioni e del coinvolgimento emotivo. La cultura era una vera strategia di orientamento esistenziale. Saper progettare la propria esistenza significava riempirla di scopi e di ideali. Significava disporre l’animo all’accoglienza, alla responsabilità e al rispetto. Significava, ancora, dare alla scuola il senso di comunità. Una comunità che era, essa stessa, strumento di democrazia. Il nostro Maestro considerava tutte le dimensioni dell’essere e non il semplice diploma da spendere sul mercato del lavoro. Anche se le domande che ci rivolgeva il Priore possono apparire “domande chiuse”, in realtà, tali quesiti, aprivano la nostra mente, perché il percorso nel quale ci faceva entrare era pieno di risposte multiple.
Cosa dobbiamo fare per creare questo clima democratico?
Purtroppo l’istruzione tradizionale, basata sul libro di testo e il grande gruppo, impedisce il contatto con i giusti materiali: il giornale, la Biblioteca, i vocabolari, gli atlanti e la rete telematica. Consuma e fa comprare solo saperi inscatolati. Impedisce di fatto ogni relazione. Non ha senso apprendere cosa sia la democrazia, ma la democrazia deve essere lo strumento, il veicolo, per apprendere. E’ mezzo e fine.