di Katia Barbone,
Alto potenziale cognitivo. Una definizione che rimanda a qualcosa di positivo, grande, eccezionale. Ma nella vita reale, purtroppo così non è. Specialmente per i bambini che lo posseggono. I ragazzi con un talento cognitivo superiore alla norma, misurabile attraverso il QI, si trovano infatti a vivere in grande difficoltà. Spesso sono lasciati in balia di se stessi perché ancora oggi risulta difficile diagnosticare una forte precocità di sviluppo intellettuale sia per ignoranza sia per mancanza di strumenti e preparazione adeguati da parte degli addetti ai lavori. Della tematica, probabilmente l’unico in Ticino, si occupa da una dozzina di anni lo psicologo e operatore di sostegno Giovanni Galli, autore di un’indagine clinica condotta proprio sul tema. Con il suo aiuto abbiamo cercato di capire meglio di cosa si tratta.
«Si può stimare che sui circa 35mila allievi che attualmente frequentano le scuole dell’obbligo in Ticino circa 800 posseggono un alto potenziale cognitivo – esordisce il nostro interlocutore –. Si tratta di bambini confrontati a difficoltà di diverso tipo. Un paradosso se si pensa che hanno un potenziale. Le caratteristiche principali che li distinguono sono quelle di imparare in fretta e precocemente, magari a 3-4 anni sono già capaci a leggere. Poi però in classe stentano a restare attenti, si annoiano perché vivono dei ritmi scolastici lenti e così smettono di ascoltare. Rispetto ai loro compagni hanno un modo diverso di “funzionare” nel senso che sono più intuitivi e poco portati all’aspetto esecutivo. Inoltre, l’alto potenziale non corrisponde sempre alla riuscita scolastica per cui può capitare che il bambino in possesso di questa prerogativa abbia uno scarso rendimento».
Sintomi spesso scambiati per svogliatezza e distrazione che oltre a causare nel bambino un forte senso di inadeguatezza e di frustrazione gettano i genitori, che cercano risposte alle questioni educative che incontrano, nella confusione più totale. «Spesso l’alto potenziale cognitivo viene frainteso e scambiato con disturbi dell’attenzione e dell’iperattività. Il disagio scolastico e i problemi di comportamento possono anche essere associati alla disprassia, alla dislessia o alla discalculia, ma ci vuole poco a capire la differenza – spiega ancora Giovanni Galli che sulla tematica sta preparando un manuale ad uso per gli operatori e i professionisti del settore –. Di fronte a un nuovo argomento ad esempio il bambino con alto potenziale lascia perdere tutto e ascolta interessato. L’allievo iperattivo invece non si lascia coinvolgere. Purtroppo questa potenzialità viene letta come un andicap e come un peso e non come una risorsa, una ricchezza. I bambini che la posseggono diventano così un elemento di disturbo difficili da gestire per mancanza di un’adeguata preparazione da parte del corpo insegnante. Nel contempo i genitori vengono redarguiti con frasi del tipo “vostro figlio se la cava ma non è poi una cima”, l’avete solo pompato, lasciatelo tranquillo”, “si direbbe che non è normale”». Pesi enormi da portare per un bambino, che vive con la sensazione costante di non essere capito. Questo emerge anche dallo studio effettuato dal nostro intervistato, redatto sulla base di esperienze personali e sulla raccolta di osservazioni, commenti, contatti con un certo numero di famiglie che si sono rivolte a lui in un recente passato, e che dimostra come in dieci casi su 16 l’allievo presenta segni di malessere quali disturbi del sonno, problemi di comportamento e aggressività fino ad arrivare alla depressione. Dal canto suo la scuola, di fronte a un alto potenziale, è stata ostile in 9 casi dimostrando un’evidente difficoltà a entrare in materia. Nonostante nell’ottobre del 2010 il Dipartimento educazione, cultura e sport abbia emesso delle importanti direttive a riguardo come ad esempio le responsabilità e i compiti della scuola e il diritto dei bambini e delle famiglie a ricevere delle risposte adeguate nella gestione pedagogica dell’alto potenziale cognitivo.
Ma che cosa si può fare per migliorare la situazione?
«In verità agli occhi dello specialista le cose sono chiare e relativamente semplici da descrivere e capire. Forse più difficile dare delle indicazioni pedagogiche – conclude Giovanni Galli –. Dobbiamo riconoscere che per gli operatori scolastici, pedagogici e psicologi come me, va sviluppato un grande compito di informazione. Nella scuola è necessaria una formazione sia diagnostica sia a livello di strumenti concreti per aiutare e supportare questi bambini. È il primo passo per migliorare le cose in futuro. Ai genitori invece voglio dire: primo, che non sono loro il problema e, secondo, che non devono sentirsi in colpa quando vanno dagli insegnanti a chiedere del proprio figlio, ma anzi devono farsi avanti e parlarne. Un figlio è sempre un regalo e se a 4 anni vuole leggere questo non deve essere un problema, né tantomeno un segnale di qualcosa che non va. I bambini con alto potenziale cognitivo esistono e credo sia arrivato il momento di affrontare il tema apertamente e di divulgare tutte le direttive utili e necessarie per affrontare al meglio la questione».
Il presente articolo è stato pubblicato ne La Rivista, mensile illustrato del Locarnese e valli, n° 5, maggio 2012, anno XIX, Dadò editore