(In riferimento all’articolo “L’intelligenza senso-motoria scuola“)
Nota
Quelli che seguono sono degli esempi che vogliono descrivere alcuni comportamenti di tipo senso-motorio a scuola. Sono solo delle descrizioni: senza commento, frammentarie, non articolate, scritte successivamente senza un ordine prestabilito e per quanto possibile, con una analisi ristretta al minimo possibile.
Spezzoni di comportamento estrapolati da percorsi più articolati e complessi – e nei quali si giustificavano determinati compiti che magari qua e là possono sorprendere.
Per una discussione un po’ più approfondita ci si può riferire al mio articolo, “L’intelligenza senso-motoria a scuola. Senso motricità e pensiero a scuola”.
Primo esempio
Andrea, in classe terza, non presenta particolari e specifiche difficoltà ortografiche. Sbaglia grosso modo quanto i suoi compagni.
Ha una buona competenza fonografica – sa far corrispondere correttamente ogni segno grafico a ogni suono – e sa segmentare le parole.
Andrea ama molto disegnare, specialmente curare i disegni.
Quando copia un testo, che sia a distanza o ravvicinato, scrive sempre una lettera dopo l’altra, copia lettera dopo lettera, senza mai fissare spezzoni di frase, parole o sillabe. Incede sempre senza mai fissare mentalmente più di un segno grafico per volta. Naturalmente in questa maniera non accede mai ai significati, non sa mai cosa sta scrivendo.
La grafia, il gesto grafico é curato, un buona calligrafia …
Un giorno la sua classe corrisponde in inglese con una classe estera. Una classe con al suo interno alcuni bimbi di lingua madre inglese non comporta problemi di traduzione e comprensione.
Andrea ricopia le lettere da spedire. Non parla inglese e ricopia due pagine manoscritte in inglese.
Un compito che a noi appare incredibile, improponibile, lo effettua senza obiezioni e senza ulteriori difficoltà.
Secondo esempio
Caterina é impegnata in una lettura.
Ebbene Caterina legge bene la scheda (una storiella), nel senso che la sua dizione é discreta, il testo ascoltabile, ecc … Normalmente, quando Caterina legge, legge sempre a sottovoce, mai mentalmente. Finita la lettura non sa rispondere a delle domandine. La docente invita la bambina a rileggere. Caterina rilegge per ben due volte. Ma ciò che ha letto non le pone il problema del significato. Sembrerebbe che per lei “leggere” sia pronunciare ad alta voce i suoni. Non immagina che il testo abbia un significato perché non si pone minimamente il problema che il testo ne possa avere uno.
Alla bambina viene proposta una scheda assolutamente illeggibile sul piano del significato. Le parole della storia proposta sono state tutte rimescolate aleatoriamente. Dopo una prima scheda gliene propongo una seconda. In questa maniera procede per circa 15 minuti di lettura ad alta voce. Ecco che alla fine di questo “esercizio” a una mia domanda risponde: “Mi é piaciuto, perché le lettere … mi piaceva dire”.
Terzo esempio
Ancora Caterina. Questa volta le propongo due versioni di un medesimo testo, con tutte le parole rimescolate in maniera confusa come descritto prima, con la sola differenza della formattazione. Uno occupa più spazio, sembra dunque più lungo. E dice: “questa storia (sig!) era più bella perché più lunga”.
La stessa cosa succede ancora quando a una versione corretta di un testo preferisce quella con le parole in disordine “perché più lunga”!
Quarto esempio
Grande – piccolo,
nero – bianco,
giorno – notte,
leggero – pesante.
… chilometro? …
ortemolihc!
Quinto esempio
Filippo, in classe quinta, guarda una sottrazione in colonna:
767 –
764=
A lato do un foglio con i numeri seguenti
3 – 72 – 628 – 1314
E chiedo “senza calcolare, prova a indovinare rapidamente quale può essere il risultato?” Da annotare che lascio guardare la sottrazione per un solo istante, poi la maschero.
Risponde 628 perché “ha tre cifre”. Filippo ha lavorato sulla configurazione.
Sesto esempio
Un docente sta presentando un sistema di rappresentazione del raggruppamento per decina
di un insieme numerico. Ciò per introdurre il valore posizionale relativo alla base 10. Racconta alla classe: “ecco ogni 10 palline facciamo un sacchetto …”. Una bambina non ha capito, o ha poco ascoltato, il che equivale alla stessa cosa. In seguito il docente dice: “bene adesso fate l’esercizio. Fate come me”. Ebbene la bambina riproduce esattamente lo stesso raggruppamento eseguito dal docente (due sacchetti e poi ancora tre palline), anche se il numero degli elementi o degli oggetti non corrisponde alla situazione stimolo (per esempio aveva 45 palline), non applica dunque il raggruppamento in base 10 alle differenti situazioni proposte. Esegue una azione non una operazione. E ad ogni nuova situazione, ad ogni nuovo insieme numerico, non capisce perché non riesce ad eseguire rapidamente il raggruppamento “due sacchetti e poi ancora tre palline”.
Settimo esempio
Un bambino ripete, per imitazione, l’atto d’imboccare. Imbocca una bambola, ripete l’atto, muove il braccio. Ma per lui tutta l’attività, a questo stadio, si risolve nell’aspetto motorio, muovere il braccio meccanicamente e ripetutamente. E’ questo un esercizio funzionale, della funzione che muove il braccio … é una reazione circolare. Un’azione simbolica si manifesta quando, ritrovando la stessa situazione precedente il bambino si immagina i risultati della sua azione, il nutrimento, il capriccio. Per esempio quando muove le labbra nel gesto di mangiare … Abbiamo qui un passaggio dal semplice fare meccanico a un fare simbolico. Da un gioco funzionale, meccanico-esecutivo (magari di tipo imitatorio) a un gioco simbolico.
Ottavo esempio
Su una scheda di calcolo c’é scritto “esegui la sottrazione seguente”. Ebbene il bambino non sa cosa fare. Solo quando sentendo un suo compagno o sbirciando s’accorge che c’é tracciato il segno “-” (meno) da qualche parte dice “ah devo fare il meno”. Il segno grafico meno ha fatto scattare un pattern di tipo esecutivo, immediato e meccanico. Ma il bimbo non é giunto al simbolo (la lingua é un sistema di simboli), tanto é vero che non sa fare il collegamento tra esso e il termine “sottrazione” che rimane incompreso, pure dopo vari anni di frequenza scolastica.
Nono esempio
La lettura, silenziosa o non, quando é unicamente manifestazione della corrispondenza tra segno scritto e suono. Cosa che non é altro che una corrispondenza termine a termine e che converrebbe forse semplicemente chiamare “dizione”. A scuola si confonde ancora spesso e volentieri il comprendere un testo e la sua dizione.
Decimo esempio
La lettura, silenziosa o non, quando é unicamente manifestazione della corrispondenza tra segno scritto e suono. Cosa che non é altro che una corrispondenza termine a termine e che converrebbe forse semplicemente chiamare “dizione”. A scuola si confonde ancora spesso e volentieri il comprendere un testo e la sua dizione.
Undicesimo esempio
Un bambino sa rispondere in situazione di stereognosia tridimensionale (3D) di un oggetto – “ho in mano una mela”. Ma non é in grado di rispondere in situazione di stereognosia bidimensionale (2D). La mela, non é il disegno della mela, la scala non é la sua raffigurazione, l’uovo non corrisponde al suo profilo di forma più o meno ovale …
Forse l’esperienza stereognosica 2D é difficile perché manca una immagine più direttamente correlata con l’oggetto fisico … la stereognosia 2D di un oggetto (per esempio il profilo cartonato di una mela) equivale alla stereognosia della sua immagine (vale a dire alla stereognosia di una costruzione di una rappresentazione).
Dodicesimo esempio
Con Adelmo, all’inizio dell’anno scolastico, riordino il materiale di matematica (DIMAT). Questo é organizzato in maniera tale che il programma é suddiviso in un numero preciso di argomenti, nel programma in questione sono 21, con una progressione facile, medio, difficile. Così il bambino, davanti a lui si ritrova 63 fogli – corrispondenti a 63 “test” – relativi agli argomenti e ai tre livelli di difficoltà. Ogni foglio ha la sua intestazione e numerazione relativa all’argomento. Il bambino riceve tutto il materiale già ordinato.
Da notare che sono già due anni Adelmo lavora con questo sistema e il materiale appena ricevuto é identico a quello dell’anno precedente.
Ebbene io elimino tutti i riferimenti “classificatori”: le intestazioni (titolazioni dei 21 argomenti) presenti su ogni foglio, le numerazioni (in quanto la titolazione ha una sua numerazione associata). Lascio solo le consegne relative alle operazioni aritmetiche, le misure, i numeri, ecc … su ogni foglio tolgo dunque ciò che serve per ordinare il materiale nel classatore, e lascio tutto quanto é relativo all’esecuzione di operazioni aritmetiche. Lascio pure le indicazioni facile, medio, difficile.
Eliminati i riferimenti descritti, mescolo i 63 fogli é chiedo al bambino di ordinare il materiale secondo i suoi criteri.
Da notare che i raggruppamenti spontanei non corrispondono per niente a quelli del materiale. Adelmo raggruppa per esempio schede che concernono operazioni aritmetiche di segno differente, oppure di misure differenti, ecc …
Ecco alcune sue verbalizzazioni:
- “vanno assieme perché hanno … i cerchi” (nei fogli presi ci sono dei numeri sparsi inscritti in una forma circolare);
- “vanno assieme perché hanno … la mano” (qui c’é una mano come elemento iconografico per indicare qualche cosa);
- “vanno assieme perché hanno … i quadrati (stessa cosa come per i cerchi);
- “vanno assieme perché hanno … c’é scritto indica e indicare” (nel testo della consegna Adelmo scopre queste parole);
- “vanno assieme perché hanno … queste colonne”;
- ecc.
In questo caso quale allora la funzione del linguaggio? Quella di raggruppamento e descrizione logica? Oppure di descrizione di pattern?
Tredicesimo esempio
I numeri con l’apostrofo, i numeri con l’accento.
Ciò concerne lo statuto o il concetto della virgola. Ecco i materiali all’origine della confusione:
scheda 1
Conosci bene i numeri entro il 1000? | ||
La cifra 3 | quanto vale nel numero 638? | ……………….. |
e nel numero 103? | ……………….. | |
La cifra 7 | quanto vale nel numero 754? | ……………….. |
e nel numero 972? | ……………….. |
scheda 2
Conosci bene i numeri entro il 10000? | ||
La cifra 2 | quanto vale nel numero 4623? | ……………….. |
e nel numero 4276? | ……………….. | |
La cifra 5 | quanto vale nel numero 4053? | ……………….. |
e nel numero 5904? | ……………….. | |
e nel numero 2245? | ……………….. |
scheda 3
Conosci bene i numeri entro il 100000? | ||
La cifra 2 | quanto vale nel numero 92003? | ……………….. |
e nel numero 28976? | ……………….. | |
e nel numero 5,2? | ……………….. | |
La cifra 5 | quanto vale nel numero 5803? | ……………….. |
e nel numero 98154? | ……………….. | |
e nel numero 1821? | ……………….. | |
e nel numero 12,58? | ……………….. |
Adelmo non sa distinguere ciò che é numerico da ciò che é linguistico, la virgola dei numeri decimali dalla virgola del testo. Tutto é confuso e indistintamente apostrofo o accento.
Quattordicesimo esempio (linguaggio prescrittivo)
Una collega incontra un bambino alla scuola dell’infanzia. Fanno una attività e le dice: “guarda sul quel tavolo c’é una matita, prendila”. Il bambino guarda e si dilunga un po’ con tutti gli oggetti che sono sparsi sul tavolo. Forse non ha nemmeno bene capito quanto deve fare o forse ha visto qualcosa di più interessante. La collega allora dice: “muoviti un po’”. Il bambino allora si mette a saltellare ed agitarsi.
Quindicesimo esempio
Un collega deve rispondere improvvisamente al telefono durante una seduta di lavoro. Prima stava realizzando una figura sagomata, un personaggio. Prima di staccare la cornetta il collega rapidamente dice: “pittura il vestito”, il bambino esegue prontamente l’invito pitturando il proprio vestito, cioè quello che indossava.
Sedicesimo esempio
Un bambino, chiamiamolo Tito, di cinque anni e mezzo gioca con i suoi compagni. O forse sarebbe meglio dire che imita il gioco dei compagni ma sempre agendo un po’ in ritardo rispetto a loro. Giocano con il materiale Lego.
Per esempio un compagno prende una automobilina e la fa viaggiare su una stradina. Poi fa sembiante che sale in montagna. Con la voce fa il rumore del motore.
Tito guarda imbambolato, poi, con un certo ritardo, rispetto il compagno fa la stessa cosa, praticamente esattamente la stessa cosa, ripetendo reiteratamente la serie di movimenti (ha guardato e memorizzato bene la scenetta) – intanto il compagno ha continuato la sua storia facendo viaggiare ancora l’automobilina, facendo intervenire dei personaggi ecc … .
Questo tentativo di entrata in relazione di Tito fallisce perché per lui tutto funziona ancora a un livello ripetitivo: fa i rumori della automobile, muove il braccio in alto e in basso (cosa che continua a fare per un minuto), ma senza costrutto simbolico. Per lui il gioco consiste nel fare brum brum e muovere il braccio, il gioco stesso é dire brum brum e muovere il braccio. Non sa cosa fare d’altro, non ha nessun slancio creativo, il brum brum e il muovere il braccio non sono legati a una storia ma fini a sé stessi.
Non sta giocando simbolicamente, agendo una storiella come il compagno, ma sta giocando con il corpo e la voce, fa “azioni per ripetere” (reazioni circolari). La relazione con il compagno fallisce perché questi non trova in Tito un interlocutore sul piano simbolico.
E’ interessante anche rilevare come tutto questo per Tito avviene senza parole e suoni, tranne la onomatopea del motore. Il gruppetto dei compagni, invece descrivono ciò che fanno, fanno proposte, fanno parlare i personaggi, variano le onomatopee …
Dopo questa scenetta Tito ne imita un’altra, sembrerebbe quasi che sta per entrare nel gioco, ma finisce col ripetere la stessa dinamica descritta con l’automobilina.
Diciassettesimo esempio
A una bambina di terza elementare ho proposto una schema di raccolta di informazioni e dati che riguardava storielle e racconti vari più o meno fittizi.
Dopo la lettura del testo la bambina era invitata a rispondere a delle domande. Una serie di domande sempre uguale per ogni testo differente. Sulla scheda, accanto a ogni domanda, avevo poi tracciato delle righe, ciò a indicare lo spazio dove scrivere le risposte.
Qualcosa di questo genere:
Domanda 1 | ………………………………………………………………………….. |
Domanda 2 | ………………………………………………………………………….. |
Domanda 3 | ………………………………………………………………………….. |
ecc.. | ………………………………………………………………………….. |
Questo tipo di esercizio, mirato a un atteggiamento di ricerca attiva di indizi e che speravo potesse essere appreso e generalizzato, é stato esercitato per una decina di volte sino a quando un giorno consegno un nuovo esercizio con lo stesso schema tranne che per l’indicazione (le righe) dello spazio in cui scrivere.
Qualcosa di questo genere:
Domanda 1 |
Domanda 2 |
Domanda 3 |
ecc.. |
Non l’avessi mai fatto. La bambina entra in crisi: “ah ma questo non lo so fare, non so rispondere a queste domande, no … no é troppo difficile.
Ebbene cosa é successo? La bambina invece di porre delle domande che provvisoriamente adesso vorrei chiamare “domande cognitive” ha fatto delle “domande percettive”. Invece di dire/chiedere: “non c’e lo spazio per scrivere, dove devo scrivere, posso avere un foglio per scrivere le risposte che qui non posso”, ecc …, quindi fare delle domande legate a una compresnione dell’esercizio, si é bloccata di fronte la constatazione non espressa: “qui le righe non ci sono”. Invece di fare una domanda legata alla comprensione/esecuzione del compito ha fatto una domanda legata a un elemento percettivo del foglio …
Un medesimo dispositivo di risposta, almeno quello che io ritenevo fosse un dispositivo identico, si avvera fuorviante per la bambina. Sicuramente lei si é limitata ad osservare la disposizione spaziale, per così dire, dello schema di domande e spazi dove scrivere, non certamente il tipo di domanda. Se io pensavo di potere generalizzare lo schema di domande la bambina ha solamente, per ora generalizzato la disposizione spaziale. Per questo e non per altro si é bloccata di fronte al compito e solamente con un mio intervento regolatore é riuscita ad ammettere ed accorgersi che tutto era identico: certamente, sul piano cognitivo, non sul piano percettivo.