anno VI numero 41 – 10 ottobre 2003, Giovanni Galli
Ogni luogo d’incontro tra i cittadini é un luogo potenziale di socializzazione e quindi di educazione. Istituzioni quali la scuola, l’esercito, i media, dalla radio alla televisione, internet, i consessi parlamentari sono altrettanti luoghi dove il cittadino é soggetto attivo o passivo di una pedagogia e di una “didattica” che lo concernono … di apparati che lo invitano, lo convincono, lo blandiscono … non foss’altro che con una pubblicistica ben congegnata gli dicono pure quale dentifricio usare e gli mostrano pure come muovere la mano.
Ma i super mercati stessi, le strade, gli stadi, le spiagge e così via sono essi stessi luoghi di omologazione a messaggi sociali (si fa per dire) pubblicitari.
La vita quotidiana è una scuola, senza mura e senza tempi
Pedagogie di classe cerca di contribuire a uno sforzo comune di resistenza ai piatti disegni omologatori e consumistici del tecno-capitalismo odierno.
Opera difficile considerando l’assoluta egemonia che pubblicità, giornali cafoni, notizie d’agenzia allineate, spacciate per giornalismo, ecc … prendono in ogni spazio.
Vi ricordate quando le previsioni del tempo non erano precedute dagli spot dello sponsor?
Finché questi spazi sono invasi da messaggi sulle creme, sui bombardamenti intelligenti, sulle frizzanti amenità dello showbusiness, ecc … difficile diventa pensare ad altro. Le menti vengono colonizzate. Orwell, nel romanzo 1984, descriveva bene come una delle opere prioritarie del potere era quello di ridurre il linguaggio ad un apparato controllato. Ciò al fine di controllare definitivamente il cittadino. Utopia inafferrabile? Chi vuole potrà disquisire e verificare quanto quel controllo descritto e temuto da Orwell sia reale.
Ma poco importa. Questa lunga introduzione mi serve per ricordare che in Ticino ancora troppo pochi sono gli spazi liberati. Che i “mugnai” del mulino abbiano a tener duro. Questo il mio augurio.
La tattica è sin troppo collaudata, discutere, discutere e ancora discutere, rimandando qualsiasi decisione, in attesa dell’esaurimento della spinta propulsiva dei compagni del Molino.
Temporeggiare sembra essere diventata la tattica predominante nel trattare le faccende giovanili.
Temporeggiare era già la tattica usata trent’anni or sono. Difatti oggi come ieri i preconcetti e le furberie sono all’ordine del giorno. Oggi come ieri spazi liberi, liberati o autonomi per le autorità e i benpensanti non dovrebbero esistere.
Le trattative per un centro sociale autonomo sembrano essere diventate una partita a ping pong dove sembra non esistere un punteggio finale (dove la partita non sarà mai chiusa).
Manifestare vale dunque la pena, ma occupare resta sempre la sola soluzione per chi sta ad aspettare. E’ una questione di educazione.