novembre 2009, Giovanni Galli
I miei figli tornano da scuola. Ho fatto un test mi dicono. Bene dico io. Come è andata. Bene mi dicono loro.
Sono così soddisfatto della loro preparazione e mi ritrovo a sentirmi un buon padre.
E questo va bene come padre. Ma infine capisco che qualcosa mi sfuggiva. In fondo come non sapere più far 2 + 2. Finalmente me ne sono accorto, accorgendomi che non passa settimana senza test … e comincio a pensare …
La grande attenzione che viene messa attorno alle note e al controllo preciso degli allievi ha un forte significato negli attuali tempi di ottimizzazione, razionalizzazione e di incremento della competizione individualista.
L’ipervalorizzazione dei risultati scolastici, risentiti come elemento predittivi degli statuti sociali, professionali ed economici degli adulti, marcano in un certo senso la vittoria della scuola sulla società, come se fosse lei in una certa maniera a distribuire i posti nella società. Sappiamo però che non é così. Troppi determinismi indicano pur sempre il classismo, seppur malamente mascherato dal merito.
E sappiamo che il merito scolastico aumenta con l’aumentare del censo dei genitori. Lo vediamo nelle bocciature, nelle note, nell’accesso agli studi secondari e superiori …
Come contrastare questa “valorizzazione delle differenze” a scuola? Valorizzazione tutta tesa allo sviluppo di sistemi di monitoraggio delle competenze e alla misurazione degli standard acquisiti. Monitoraggio per niente neutro, visto che, con la definizione degli standar e la loro accettazione, é l’esclusione stessa che si definisce …
Che ciò avvenga nella scuola dell’obbligo é grave, molto grave. Già nelle scuole d’infanzia i genitori e i docenti si chiedono se e come un livello raggiunto possa essere accettabile e come possa permettergli di raggiungere una posizione sociale di “merito”.
Questo é uso totalmente privato della scuola dell’obbligo, uso individualista e classista.
Ma la scuola primaria non ha e mai ha avuto come compito quello di formare delle élite economiche e di formare un numero ristretto di allievi particolarmente performanti.
Insomma ci sono tanti test. Con un errore che vale 0,1 punti o una variazione sistemica o un errore che vale xy decimali di punto eccetera. Poi ci dicono che si tratta di formare i giovani alla partecipazione critica e consapevole alla cittadinanza, di sviluppare pienamente la loro personalità … questa la favola raccontata sin dalle prime pagine dei programmi scolastici!
In verità tutto ciò sa di professionalizzazione della scuola dell’obbligo. Vale a dire il suo inserimento in un contesto di riuscita, di produttività, di raggiungimento di standard ufficiali, di produzione di performances minime, e così via, invece che di formazione culturale eccetera … altro che formazione di cittadini critici, consapevoli e bla bla bla.
In questo contesto i partigiani delle note giustificano il loro operato con la necessità di sapere precisamente quali sono le competenze acquisite dagli allievi. Ma una questione è sapere quanto in alto puoi saltare, un’altra è l’ottimizzazione del salto per definire degli standard di accettabilità e di esclusione. Ciò che stupisce non è tanto questa prassi, ciò che stupisce e che la si applichi con bambini di 6, 7 anni, come a un adolescente di 15, o a uno studente liceale. Non c’è più infanzia, né protezione della stessa.
L’infanzia non è un santuario, non è sacra. E’ una palestra.