maggio 2010, Giovanni Galli

Il sistema scolastico, che si vuole e si dice democratico, il sistema che dichiara e dice di perseguire le pari opportunità, funziona ugualmente e specialmente sui modi e sui ritmi del capitalismo (competitività, individualismo, “meritocrazia”), sulle disuguaglianze in genere.
La nostra società, capitalista, iper competitiva, deve misurare il merito individuale.
Ed il merito viene ben mascherare un principio ben conosciuto in fabbrica: il principio del lavoro a cottimo.

La formazione dei giovani alla vita, alla partecipazione sociale e attiva nella società, la comprensione delle dinamiche sociali, la fruizione della cultura e così via, sono altrettanti aspetti della scuola, che navigano e sopravvivono più o meno agevolmente in un contesto selettivo e classificatorio.
Alla ripetuta affermazione del valore in sé dello studio e del sapere si aggiunge quindi un suo valore strumentale. Già nelle scuole d’infanzia i genitori e i docenti si chiedono se e come un livello raggiunto possa essere accettabile e si chiedono come quel livello possa permettere al bimbo di raggiungere una posizione sociale di “merito”.
Ma la scuola obbligatoria non ha, e mai ha avuto, come compito quello di formare delle élite economiche e di formare un numero ristretto d’allievi particolarmente performanti (1).

Che l’industria cerchi di assumere lavoratori meglio qualificati e più performanti, è plausibile ed adeguato. Plausibile dal punto di vista padronale, dello sfruttamento e dell’ottimizzazione delle risorse; adeguato alla reale necessità di avere una mano d’opera qualificata.
Che questa selezione del “migliore” abbia a svilupparsi pure nella scuola dell’obbligo … ecco qualcosa di meno … posso dire plausibile?

La scuola che persegue “le pari opportunità” oggi é pure la scuola che “ottimizza” le differenze.
Al suo esterno le ottimizza nel riconoscimento degli apprendimenti informali.
Nel suo interno le ottimizza nella realizzazione di pedagogie differenziate. 
Nella nostra (si fa per dire) società iper competitiva e individualista, gerarchica e classista, sostenere queste differenze individuali appare come un processo democratico, egualitario. Così appare del tutto democratica l’opportunità che chi più ha più possa ricevere …

(1) Quando scrivo che “la scuola obbligatoria non ha, e mai ha avuto, come compito quello di formare delle élite economiche e di formare un numero ristretto d’allievi particolarmente performanti” in effetti voglio dire che questo non dovrebbe essere il compito della scuola.
“Ma, oggettivamente, è ben un compito della scuola dell’obbligo sotto il capitalismo, quello di contribuire a selezionare le “élite”. Perché se la selezione si attua principalmente sulla base sociale, ci sono comunque tempi e luoghi in cui l’istruzione obbligatoria è caricata di far di più che semplicemente “riprodurre” le diseguaglianze d’origine. Così, negli anni 20-30, l’emergere di nuovi posti di lavoro per lavoratori a livelli di competenze più elevate, fece si che la scuola diventò uno strumento di selezione su base meritocratica.
Allo stesso modo, negli anni 60-70, la scuola è stata incaricata di orientare verso l’istruzione superiore i “migliori” figli della classe media e della classe popolare, al fine d’alimentare il mercato del lavoro con laureati universitari” (Nico Hirtt).