Martedì 10 marzo 2010, Eric Bruggemann

Essere dipendente, addicted … a una droga, presumibilmente leggera o dura, in una relazione, a una persona, o un rituale, o un’abitudine; in lingua francese o “franglese” non mancano le espressioni per designare questo particolare stato di schiavitù, che sia reale o figurato. Le dipendenze sono molteplici (alcool, medicine, droghe, giochi, cyberdipendenze, dipendenza affettive, ecc.), e per parecchi dipendenti sono cumulative (casi delle poli tossicomanie).

La ricerca biomedica descrive la dipendenza come una malattia della neurofisiologia del cervello, quest’ultimo trasformandosi nel caos dell’addizione [1]. Sul piano fenomenologico, la dipendenza è caratterizzata da un sistema compulsivo, dalla perdita di controllo, con conseguente incapacità di dire “no” all’oggetto al quale si é alienati, e sul quale la volontà non ha più alcuna presa.

In tutti i casi, la dipendenza è una malattia dell’eccesso, del “troppo”, dell’”iper” (consumo) e delle emozioni. Genera una sofferenza fisica e psicologica tra coloro che ne sono raggiunti (senza contare le persone vicine, per cui le ricadute sono spesso forti). L’interruzione brusca del consumo comporterà al dipendente uno stato di “mancanza” (manco), accompagnato per la maggior parte del tempo da una sindrome d’astinenza. Asservirsi da una dipendenza, generalmente è come un “percorso del combattente”, spesso intervallato da diverse ricadute, prima che compaia la “fine del tunnel”.

Dal punto di vista della comunità, le dipendenze hanno un forte impatto socio-economico (assicurazione malattia e cure sanitarie, l’assenteismo sul luogo di lavoro, la disoccupazione, l’aiuto sociale …). Non si dovrebbe, tuttavia, in questo caso, opporre in modo antitetico il piano individuale a quello collettivo, perché i due piani convergono in un medesimo fenomeno che possiamo denominare con il termine di s-legame. Con questo termine s’intende che le dipendenze, tanto sul piano individuale che sul piano collettivo, manifestano una tendenza alla rottura del legame sociale.

Ma la pedagogia cosa centra con tutto ciò?

Diciamo in primo luogo che ovviamente non si sostituisce alla profilassi medica, nè alla presa a carico e al sostegno terapeutico, quando sono necessarie. Piuttosto, abbiamo ipotizzato che l’istruzione propone parametri di riferimento educativi che possono avverarsi strutturanti, e quindi di preventivi, a partire dal momento in cui questi funzionano come risorse creative.

Mi spiego.

In primo luogo, vale la pena ricordare che l’istruzione concerne principalmente i giovani quali futuri cittadini e adulti. Pertanto, è interessante interrogarci sulla rappresentazione che ci siamo fatti dei giovani. Sembra che questa rappresentazione possa essere esaminata nella dicotomia seguente: i giovani sono un fattore di rischio o un potenziale (creatività)?

Se la nostra rappresentazione è propensa a sostenere il primo termine della alternativa, il nostro concetto di istruzione tenderà ad essere ridotto ad una serie di prescrizioni comportamentali (prescrizioni mirate a contenere (spesso illusoriamente) i rischi, che siano reali o immaginari). Se optiamo per il secondo termine, allora c’è spazio per considerare la pedagogia come una pratica di emancipazione (senza nessuna ricetta o bacchetta magica), coinvolgendo e dando spazio a una parola soggettiva.

Ma attenzione: la parola soggettiva, non si riferisce qui ad alcuna singola entità pre esistente. Essa rileva da ciò che noi chiameremo, con Félix Guattari, dei “concatenamenti collettivi di soggettivazione”.

In questo contesto, « la subjectivité est en circulation dans des ensembles sociaux de différente taille : elle est essentiellement sociale, et assumée et vécue par des individus dans leurs existences particulières. La manière dont les individus vivent cette subjectivité oscille entre deux extrêmes : une relation d’aliénation et d’oppression, dans laquelle l’individu se soumet à la subjectivité telle qu’il la reçoit, ou une relation d’expression et de création, dans laquelle l’individu se réapproprie les composantes de la subjectivité, produisant un processus que je qualifierais de singularisation » [2].

Situate nella articolazione del biologico, della soggettività e del sociale, le dipendenze crescono sulla prima estremità: quella del rapporto di alienazione e di oppressione, portando allo s-legame. Detto questo, la pedagogia non compie alcuna missione salvifica e non opera nessun miracolo, ma può offrire una alternativa a questa linea mortale sempre che favorisca l’altro polo della soggettività. 
Anzi, è favorendo un rapporto di espressione e di creazione e ri-appropriazione, che la pedagogia può esercitare una funzione formativa sia degli individui, ma anche contribuire alla prevenzione dei fenomeni di s-legame e di rotture dei legami.

[1] Lowenstein W, Ces dépendances qui nous gouvernent, Paris, Calmann-Lévy, 2005

[2] Guattari F, Rolnik S, Micropolitiques, Paris, Seuil, Les empêcheurs de penser en rond, 2007