Giovanni Galli, novembre 2013
“Una “lettera di corsa”, o “patente di corsa”, era una garanzia emessa da un governo. Garanzia che autorizzava il corsaro, a catturare o distruggere, beni o personale, appartenenti ad un governo, un gruppo avverso. Questa garanzia veniva usata da privati (i corsari) per assalire e catturare bastimenti mercantili di una nazione nemica.
Se i pirati erano dei fuorilegge che tenevano per sé il frutto delle rapine, i corsari erano dei predoni salariati e protetti dai loro agenti.
La guerra di corsa era così una politica di rapina, per il dirottamento delle risorse nelle proprie tasche. “
Premessa
In Europa, dagli anni 80, l’attenzione portata alle scuole private, il loro sviluppo e la loro crescita hanno subito un cambio di strategia e paradigma.
Prima degli anni 80 lo sviluppo delle scuole private avveniva in maniera indipendente dalle politiche in educazione degli stati. Vale a dire: lo Stato e le strutture private agivano indipendentemente le une dalle altre, si sviluppavano e si modificavano secondo le loro proprie esigenze e politiche, facendosi poi una concorrenza più o meno forte a seconda delle contingenze storiche e locali.
Dagli anni 80, invece, lo sviluppo delle scuole private, è avvenuto sotto l’impulso delle autorità politiche, autorità pubbliche!, sedotte dalle parole d’ordine neoliberiste.
Per 100 anni lo Stato ha sviluppato le scuole pubbliche, le ha finanziate, le ha fatte crescere, eccetera. Adesso non più …si gratta, si gratta e poi si gratta il barile. E poi ancora. Ora del barile si gettano i pezzi (ricordate la proposta di Beltraminelli, di eliminare il 4° anno di Liceo?).
Dagli anni 80’ assistiamo ad una politica sistematica di delegittimazione della scuola pubblica. Oltre ai dibattiti sulla bontà e l’utilità delle scuole private, la supposta inefficacia di quelle pubbliche, eccetera … le autorità pubbliche hanno sviluppato sistematicamente una olitica di delegittimazione dello Stato e della scuola, grazie alla riduzione dei finanziamenti pubblici, l’aumento degli oneri, eccetera.
Se il sistema pubblico di insegnamento:
– non ottempera (o più semplicemente sembra non ottemperare) correttamente agli obiettivi che gli sono assegnati e
– nemmeno risponde alle aspettative delle famiglie,
le spinte (oggettive e soggettive) verso la privatizzazione risultano maggiorate e rinforzate.
Le spinte oggettive = apertura di servizi (?) privati, scuole private di “nicchia” (scuola religiosa, scuola Montessori, scuola Stern, lezioni private, eccetera), proposte di corsi specifici di aggiornamento, alternativi, eccetera.
Le spinte soggettive = l’insoddisfazione dei genitori.
Primo
Il disegno neolibersita non è totalmente velato. Lo sappiamo, avviato con il colpo di stato cileno, questi ha raggiunto tutto il mondo e imperversa in Europa, imponendo oggi alla Grecia le attuali scriteriate politiche di austerità.
Ricordiamolo in poche parole: il neoliberismo ha proposto e continua a proporre il mercato quale unico regolatore sociale ed economico della società. Privatizzazioni, ottimizzazioni, razionalizzazioni, riduzione dei compiti dello Stato, svendita dei beni pubblici, de-fiscalizzazione, sostegno alle banche …
Il neo liberismo è un processo economico, ma è anche un processo politico.
Il processo di conquista e di impadronimento neo liberista dello Stato è un processo politico e finanziario (non ci sorprende che il locale PLR (partito liberale) molto recentemente (ottobre 2013) ripropone una riduzione delle imposte).
Oggi, l’educazione di base rimane ancora a carico del potere pubblico, ma le famiglie sono chiamate sempre più a contribuire in maniera significativa alla loro istruzione, se esse vogliono offrire ai loro figli i complementi necessari alla formazione.
Due
In Svizzera ed in Ticino le scuole private si sono sviluppate meno che altrove, ciò nonostante permane un discorso pubblico che propone sempre la solita litania neoliberista.
Non è un mistero che uno degli scopi principali del neoliberismo è la trasformazione dei servizi in mercato. Così, regolarmente appaiono proposte di privatizzazioni, di finanziamento diretto o indiretto delle scuole private, confronti sull’efficacia delle scuole private e così via. Nel contempo gli investimenti sono stati ridotti e le condizioni di lavoro peggiorate.
Nel passato l’insegnamento privato derivava principalmente da un discorso d’ordine etico-morale, con la proposta di scuole religiose o “alternative”, per determinate nicchie di popolazione.
Oggi il discorso non è più sorretto da valori di un determinato tipo, ma da un principio economico. Nel passato, nel dibattito pubblico, le opposizioni fra i utenti della scuola pubblica e utenti della scuola privata investivano dei valori opposti (stato laico, scuole religiose, eccetera), valori che essi promulgarono.
Oggi, questa visione sociologica è sostituita da una visione organizzativa e manageriale. Non si tratta più di visioni e/o missioni educative differenti. Si tratta di supposta maggiore o minore efficacia.
Non sono più i programmi e le finalità educative a venire opposte, ciò che conta è la qualità mercantile.
La competizione viene innalzata quale processo di qualità e la scuola privata quale suo strumento.
Ai valori fondatori, la visione dell’uomo o della società, si sostituiscono dei valori strumentali: è il mercato e la competizione che migliora la scuola (non la ricerca in educazione … sig.).
La libera scelta dell’istituto, la concorrenza fra scuole, la competizione, eventualmente il ticket, sono considerati quindi regolatori e strumenti della qualità.
In verità sono le famiglie più ricche che si esprimono a favore della libertà di scelta della scuola.
E quando la competizione dovrebbe spingere le scuole ad innovare i loro progetti pedagogici, quando la competizione dovrebbe portare ad un processo virtuoso di crescita qualitativa di tutti i plessi scolastici, quasi come che le risorse fossero infinite e quindi potremmo vedere investimenti sempre crescenti per tutti, si osserva in verità la creazione di gerarchie scolastiche (scuole di serie A e di serie B). Ciò è inevitabile. Le risorse sono limitate.
I processi di privatizzazione sono unicamente delle dinamiche di pirataggio, e accaparramento, che dirottano le risorse verso l’uno o l’altro versante.
Tre
In verità, in regime di competizione, sappiamo benissimo che si producono delle “dinamiche di qualità”. La questione è che queste dinamiche creano scuole di serie A e scuole di serie B.
Ma ciò è lapalissiano. Non è certo ciò che si propone il modello neo liberista? Non è questa la diretta conseguenza di tutto ciò? Non è esattamente ciò che si vuole con la competizione? Può esistere una competizione senza vincenti e perdenti, senza il dirottamento delle risorse sui vincenti? Non meravigliamoci se le scuole di serie A e di serie B sono sociologicamente determinate e predestinabili.Una delle questioni è la modifica dei paradigmi di valutazione di ragionamento.
Un paradigma è un meccanismo produttore di immagini, di idee e di valori, di visioni del mondo. Viene pure utilizzato il concetto di matrice cognitiva. Un paradigma costituisce e delimita il campo, logica e prassi della ricerca stessa. Un paradigma è tanto più influente quanto è più egemonico, quanto più assume un carattere di evidenza.
L’attuale questione del dibattito tra pubblico e privato dà una indicazione del cambio di paradigma politico, di termini valori e categorie di ragionamento.
La scuola non è più indicata come luogo di socializzazione e di formazione dei cittadini, ma produttore di competenze e sapere i spendibili sul mercato del lavoro. Il neo liberismo ha un concetto del tutto economico della conoscenza.
conoscenza quale = capitale umano = risorsa da investire
La scuola non è più una istituzione al servizio dello Stato, al servizio della collettività (che sia laica o religiosa), ma una organizzazione orientata alla produzione di competenze individuali e di titoli scolastici che la certificano.
Insomma il cambio di paradigma non considera le finalità, ma l’efficacia, indipendentemente dai valori portati dalla scuola.
Ciò introduce un discorso manageriale che si costruisce con: – la definizione di obiettivi operativi,
– la promozione di una razionalità strumentale, – la costruzione di sistemi di valutazione e strumenti di regolazione fondati sulla competizione (esempio PISA),
– la costruzione di dispositivi di informazione, per determinare l’agenda del discorso pedagogico ed egemonizzarne i contenuti.
L’egemonia culturale è un concetto che indica le varie forme di dominio culturale e/o di direzione intellettuale e morale da parte di un gruppo o di una classe che «sia in grado di imporre ad altri gruppi, attraverso pratiche quotidiane e credenze condivise, i propri punti di vista fino alla loro interiorizzazione, creando i presupposti per un complesso sistema di controllo.
A. Gramsci, Quaderni del carcere
Il ruolo dello Stato oggi si basa in primo luogo a fornire una base comune a tutti, durante la scolarità obbligatoria. Poi può aiutare la costruzione di percorsi individuali, con le borse di studio. Ma favorisce la certificazione dei percorsi individuali al di là della base comune e degli aiuti individuali (vedi: note per un lessico di pedagogia).
Che poi per raggiungere l’eccellenza (vedi il tasso di bocciatura in prima e seconda liceo) siano necessari dei corsi privati alle medie è una forma particolare è rilevatrice di una strisciante privatizzazione dell’insegnamento (vedi punto 7).
Quattro (esercizio)
Il linguaggio è la coscienza reale, pratica
-K. Marx, L’ideologia tedesca
Lo sviluppo attuale della politica scolastica si basa su una terminologia seducente. Lemmi quali: autonomia, rispetto dei ritmi individuali, differenziazione, invitano il consumatore (genitori-allievi) ed il produttore (docenti) ad avvicinarsi in verità ad un terreno preparato e minato dalla politica neoliberista.
Questi concetti non sono neutri. Si sviluppano in un contesto, ne sono dipendenti, oltre che cinghie e meccanismi di trasmissione. Ciò perché il tutto riposa (per modo di dire) sui concetti di competizione e mercato.
Vi siete sicuramente accorti che una delle tecniche usate dai fautori del nuovo disordine mondiale è quella di rinominare (cioè chiamare con un altro nome) l’ingiustizia che producono. Con questo sforzo di rinominare le cose tentano di nascondere e rimuovere dalla coscienza i misfatti che nascondono (rimozione = processo che impedisce agli impulsi, ai sentimenti, e alle idee incompatibili – con il disordine mercantile – di insediarsi nella sfera della coscienza).
Facciamo allora un piccolo esercizio. Prendiamo le seguenti coppie e ad ogni prima definizione sostituiamo la seconda:
• libero mercato = furto legalizzato
• libero scambio = libero disordine
• ottimizzazione delle risorse = licenziamenti
• competizione = sfruttamento
• razionalizzazione = centralizzazione, abbandono delle zone periferiche
• libera impresa = sfruttamento obbligatorio
• datore di lavoro = padrone
• mondializzazione = imperialismo
• libera circolazione delle genti = circolazione della mano d’opera secondo i bisogni del mercato (emigrazione)
• liberalizzazione = abolizione delle protezioni sociali
• flessibilità = lavoro serale, notturno e festivo
• privatizzazione = disservizio, diminuzione del servizio
• deregolamentazione = abolizione degli obblighi contrattuali
• globalizzazione = “ancora di più …”
Eliminiamo le prime espressioni per utilizzare solo le seconde. Avremo un bel quadretto del “nuovo che avanza”.
Per esempio la frase “vogliamo la libera circolazione delle genti” in verità significa “vogliamo che la circolazione della mano d’opera segua i capitali”. Oppure: “siamo in una fase di globalizzazione e di ottimizzazione delle risorse” significa “ancora di più licenziamo mano d’opera”. Oppure: “la deregolamentazione favorisce l’espansione di un mercato libero” significa “l’abolizione degli obblighi contrattuali favorisce il furto legalizzato”.
Provate voi adesso a coniugare le vostre frasi, combinandole in tutti i modi possibili.
Cinque
Che bisogno c’è di confrontare i modelli educativi se vengono standardizzati i programmi e gli obiettivi (esempio Harmos)?
Risposta: si confrontano i modelli educativi standardizzati (tramite le competizioni PISA) per metterli meglio in competizione fra loro.
La competizione fra sistemi educativi permetterà di farne una graduatoria. Graduatoria sicuramente illuminante nell’ottica della scelta dell’istituto.
E’ questo un parto del pensiero neo-liberista, sviluppato CON i tagli alla formazione pubblica.
La questione degli standard non è (in prim’ordine) una questione pedagogica: è una questione economica, che, solo in second’ordine, i ricercatori tentano di rendere plausibile.
La certificazione dell’informale, certificazione organizzata tramite lo strumento Portfolio, sembra introdurre un movimento contraddittorio alla standardizzazione.
In effetti riconosce la varietà e la ricchezza dell’informale, la varietà e la ricchezza degli apprendimenti che avvengono fuori dalla scuola. Vuole appunto certificare questa ricchezza che la scuola non può oggi offrire da sola.
Allora a che scopo “stringere”, limitare, omologare, standardizzare la formazione e la certificazione da un lato, per allargarla, arricchirla, dall’altro?
Risposta: economicamente parlando, il riconoscimento degli apprendimenti informali e la loro certificazione rende interessante l’offerta e il mercato dei corsi ed istituti privati.
Li rende competitivi rispetto al servizio pubblico derubato, derubato nelle risorse e sdandardizzato nelle sue offerte da parte delle politiche neo-liberiste.
La verità è che, in qualche maniera, la definizione degli standard ha a che fare con le leggi del mercato (vedi leggi della domanda-offerta, della competizione, della riduzione dei costi di produzione) e non con la pedagogia. Vale a dire con l’instaurarsi di un mercato della formazione. In qualche maniera la definizione degli standard ha a che fare con l’aziendalizzazione della scuola.
In effetti, come abbiamo descritto, uno degli obiettivi nella definizione degli standard in educazione è quello di permettere il confronto fra modelli educativi.
Non dobbiamo poi meravigliarci se i costi pubblici (gli investimenti) in educazione vengono rosicchiati sino a raggiungere ed oltrepassare il fondo del barile: tutto ciò ha a che fare con l’impostazione neo-liberista della scuola: la riduzione dei costi di produzione.
“Autonomia“, “progetti“, “obiettivi“, “competenze” … nel campo dell’istruzione, il vocabolario utilizzato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), è molto seducente.
Carpito ai docenti progressisti, i più contrari alla trasformazione capitalistica della scuola, è ora utilizzato per giustificare la liberalizzazione dei sistemi di istruzione e per costruire la “nuova scuola” (privata o non): un linguaggio che meglio caratterizza la riduzione degli investimenti, la delegittimazione dello Stato e l’occupazione del discorso pedagogico (come il cuculo che depone il proprio uovo nel nido di un altro uccello).
Proviamo quindi a tradurre alcune parole d’ordine del moderno volgo pedagogico.
• Standardizzazione = riduzione dei contenuti scolastici, appiattimento
• Valutazione = selezione
• Autonomia = dipendenza dal campo
• Competenze = saper fare
• apprendimenti non formale = corsi eseguiti in tempi extrascolastici
• certificazione dell’informale = legittimazione (certificazione) degli apprendimenti extrascolasti
• meritocrazia = maggiore produttività
Per cui una frase come “la valutazione dei contenuti standard” diventa “la selezione dei contenuti omogeneizzati”; “acquisire le competenze per l’autonomia” significa “sapere fare gli esercizi senza necessitare la presenza del docente”;
alla “tradizionale valutazione va associata la certificazione informale” diventa ”oltre gli apprendimenti dispensati dalla scuola vanno legittimati quelli extra”.
“Va premiato il merito” diventa “va premiata la produttività”.
Sei (Meritocrazia)
La meritocrazia sembra essere uno dei nuovi obiettivi del contratto sociale.
Sia a destra come a sinistra, l’idea del merito, dagli anni 80 in poi, è venuta ad imporsi quale strumento della scalata (gerarchia) sociale e della sua legittimazione scientifica.
Non più il sangue, non più il ceto, non più la ricchezza ma … il merito diventa lo strumento della organizzazione e della stratificazione sociale.
Come ogni parola anche “meritocrazia” indica qualcosa di non neutrale.
In verità il merito viene (va) misurato e la scuola promuove la selezione basata sulle “valutazioni oggettive”.
La metodologia sostenuta dalle valutazioni, e basata sulle valutazioni, trasforma gradualmente il sistema scolastico. L’istruzione non è più impartita uguale per tutti, ma va differenziata secondo i “ritmi di sviluppo personali” degli allievi.
Dall’educazione uguale per tutti, si passa all’educare secondo il potenziale di ognuno.
Quindi il merito viene stratificato con misurazioni oggettive.
In qualche maniera l’origine storica e sociale di questo moderno pensiero è pre-illuministica: tutti gli individui sono ineguali.
Ben lontano dall’essere uno strumento di emancipazione e di democrazia, la meritocrazia non fa che inchiodare i cittadini alle loro disparità ed inchiodare gli allievi ai “propri spontanei” ritmi di sviluppo.
La meritocrazia non abolisce le ineguaglianze, oltre che abitarle, le stabilisce.
La meritocrazia si diffonde in veste scientista, mistificando l’iniquità del sistema sociale.
E’ un termine abusato, perché in verità non viene premiato il merito, ma viene premiata la produttività.Merito = valore, qualità, azione lodevole, pregio, virtù.
Si tratta quindi di una falsificazione (manipolazione) ad uso autoritario e subordinato all’economia di mercato del diritto alla formazione.
L’idea poi che con il “premio al merito” si abbia a promuovere l’emancipazione e la scalata sociale dei cittadini, TUTTI i cittadini, indipendentemente dalle origini, e in particolare dalle origini di classe, è del tutto allucinatoria, uno specchietto per le allodole. Perché? Ma perché le posizioni di partenza sono sempre molto socialmente determinati,
perché gli strumenti culturali a disposizione degli allievi sono sempre molto socialmente determinati,
perché le spese culturali che le famiglie possono effettuare con la loro busta paga sono socialmente determinate …
E così via.
Piove sul bagnato (vedi ancora: note per un lessico di pedagogia).
Sette
Certamente, in CH e in Ticino, oggi, l’educazione di base rimane ancora a carico del potere pubblico, ma le famiglie sono chiamate sempre più a contribuire in maniera significativa alla loro istruzione, se esse vogliono offrire ai loro figli i complementi necessari alla formazione, per una migliore riuscita.
Dalle ricerche condotte nel cantone Ticino sappiamo che gli utenti dei corsi privati di recupero sono originari di categorie sociali medio alte, se non alte. La necessità per queste categorie di migliorare il livello per formativo di propri figli, è vista probabilmente come garanzia per una migliore riuscita nelle filiere successive, vedi il liceo.
La fruizione di corsi particolari di recupero servirebbe quindi a garantirsi un migliore e più alto livello futuro.
La ricerca internazionale indica che le materie più gettonate, in questa rincorsa all’eccellenza, come in Ticino e in CH, sono la matematica e le lingue.
Per essere più precisi, ciò che il privato offre in questo caso è un sistema di formazione, parallelo e dipendente. Se non ci fossero le scuole di base non ci sarebbero i corsi particolari. I corsi particolari si propongono come accompagnamento normale della scolarità. È una preparazione a lungo termine per la formazione individuale, mirata alla successiva iscrizione agli studi liceali, poi universitari e/o politecnici.
Il lavoro proposto dalle lezioni private, o dai corsi privati di recupero, non garantisce un alto livello informativo, o una qualità accresciuta di strumenti didattici o una novità in questi ambiti! Il lavoro proposto dalle lezioni private fornisce delle qualità relazionali specifiche, di cui hanno particolarmente bisogno gli allievi che si sentono sotto pressione o devono tenere il colpo.
Gli allievi apprezzano prima di tutto la capacità di adattamento di cui devono fare prova gli insegnanti di corsi privati. Questo suppone che si stabilisce una relazione di vicinanza e magari di confidenza tra allievo e docente.
Disponibilità, adattabilità, particolare attenzione alle competenze e alle performance dell’allievo fanno sì che il corso privato può essere particolarmente efficace. Il principio è quello di seguire attentamente lo sviluppo dell’allievo.
Per diventare performante, raggiungere la competenza attesa, è magari necessario acquisire dei metodi di lavoro particolari, di essere puntualmente guidato nel proprio lavoro, nell’applicazione di questi metodi e di essere messo in situazione di fiducia. Quello che va sottolineato è come il successo di questi corsi è costruito sui parametri tutt’altro che accademici, piuttosto relazionali.
Dalle ricerche condotte nel cantone Ticino sappiamo che gli utenti dei corsi privati di recupero sono originari di categorie sociali medio alte, se non alte. La necessità per queste categorie di migliorare il livello per formativo di propri figli, è vista probabilmente come garanzia per una migliore riuscita nelle filiere successive, vedi il liceo.
La fruizione di corsi particolari di recupero servirebbe quindi a garantirsi un migliore e più alto livello futuro.
La ricerca internazionale indica che le materie più gettonate, in questa rincorsa all’eccellenza, sono la matematica e le lingue.
Interessante scoprire che i dati ticinesi corrispondono completamente a quelli internazionali.Pensando alla riduzione del numero degli allievi per classe, ci si chiede perché le alternative che si prospettano alle famiglie sono: le classi numerose o il precettorato.
Otto
Infine vale poi la pena ricordare il concetto di “capitale sociale”. In verità un escamotage per raccogliere studenti originari di un medesimo gruppo sociologico, etnico, religioso o altro, gruppo che dovrebbe condividere determinate norme, professare una specifica dottrina o ideologia, ma in verità che oltre le caratteristiche culturali, sociali manifesta condizioni economiche privilegiate (alla scuola cattolica non vanno tutti i cattolici, vanno quelli che possono …).
Insomma l’idea è che se si condividono delle norme si crea un capitale sociale che sfocia in performance scolastiche, in quanto tutti condividono gli stessi valori. La ricerca in Belgio (dove c’è una lunga secolare tradizione e storia di confronto e convivenza tra scuole private confezionare scuole pubbliche) dimostra che:
– verificate le caratteristiche individuali degli allievi
– considerate le caratteristiche socioculturali
e scuole pubbliche fanno meglio di quelle private.
Uno degli argomenti dei promotori delle scuole private è che costano meno e danno risultati migliori.
Balle! A partire dei risultati Pisa 2000 – 2003 e 2006, in Svizzera non si vedono tendenze significative.
Il presente articolo è stato pubblicato in Sinistra.ch
Riferimenti
Ball S. J. – Youdell D., (2007) La privatisation déguisée dans le secteur éducatif public.
Bray M., (1999), A l’ombre du système éducatif. Le développement des cours particuliers: conséquences pour la planification de l’éducation.
Cavet A., (2006), Le soutien scolaire entre éducation populaire et indutrie des services.
Galli G., Sette lezioni per una pedagogia di classe,
Galli G., Hirtt N., Note per un lessico di pedagogia.
Glasman D., (2004), Le travail des élèves pour l’école en dehors de l’école.
Hirtt N., La prova starr, La grandezza delle classi é‘ determinante per la riuscita degli alunni,
Hirtt N., Quand les marchés se saisissent de l’éducation, Cahiers Marxistes, Critique multidisciplinaire et éducation, CM n°220, nov.-déc. Bruxelles 2001
Inchiesta: Lezioni private di ricupero scolastico nel nostro istituto, novembre 2002, Scuola Media Losone.
Lezioni private, in Scuola ticinese, periodico della divisione scuola, DeCS, anno XXXI, serie III, 2002, 253