anno VII numero 8-9 – 20 febbraio 2004, Giovanni Galli
La recente riuscita dei referendum sulla scuola nel cantone Ticino sono un toccasana per la scuola e anche per coloro che – come me – lavora nelle scuole.
Oggi vorrei però spezzare una lancia per definire un nuovo fronte riguardante la democrazia della formazione.
La tesi è questa: si fa tanto parlare (per modo di dire) di democratizzazione degli studi ma si pensa sempre e solo alla scuola, la democratizzazione degli studi non è però una democratizzazione delle formazioni (= dare le medesime possibilità formative a tutti).
Ebbene si sa, tutti gli specialisti ne convengono, che oggi si imparano molte più cose fuori scuola che non dentro. A seconda delle opinioni dal 50 per cento all’80 per cento delle cose vengono imparate fuori (certo non pensiamo qui al calcolo, al leggere e allo scrivere).
Oggi la realtà è infinitamente più ricca e stimolante di quella diciamo di 20 – 30 – 40 anni or sono: radio, cinema, Tv satellitare, giornali, internet, ecc. bombardano il nostro quotidiano
Suonare uno strumento, andare a teatro o al cinema, recitare in un teatro, cantare in un coro, giocare a scacchi, esercitare una disciplina sportiva, realizzare un Dvd, visitare un museo o andare per esposizioni… sono altrettanti momenti, altrettanti luoghi e altrettante occasioni formative. Ciò sia che si tratti del piano formativo, che sociale, che personale. Ad esempio far parte di una squadra permette di imparare qualcosa sul piano della collaborazione, delle relazioni … e anche della geografia quando si va in trasferta. Partecipare ad una recita rinforza l’allievo sul piano dell’espressività, la mimica, la memoria, ecc.
(Chi si sente di negare che questa ricchezza formativa determina per una grande percentuale la riuscita scolastica?)
Ebbene quelle sono tutte occasioni importanti e decisive per la formazione e la crescita dei nostri ragazzi!
Eppure queste sono offerte dove il privato regna signore e padrone!
Privati e società reggono le lezioni di musica, di sport, di teatro, ecc.
L’accesso classista alla formazione è dunque così assicurato a coloro che possono pagarselo.
Chi può permettersi dei corsi di ippica? Chi va a giocare a calcio? (basta guardare i cognomi della nazionale sempre più multiculturale).
Quali ragazzi suonano uno strumento musicale?
Le scuole odierne solo lontanamente immaginano quanto il loro lavoro resta condizionato dall’invasione del privato nella formazione. Altro che uguaglianza delle chances. Oggi lo Stato rasenta la latitanza. La scuola si basa ancora su un concetto e una pratica ottocentesca; quando la scuola era forse l’unico luogo formativo, lo scopo era quello di avere la scuola gratuita e libera per tutti (favorendo poi l’accesso alle superiori con le borse di studio, e così via).
Oggi il compito deve andare ben oltre: siamo ricaduti nelle (discriminazioni) segregazioni di ieri.